Inedito. «Non si può evadere dalla nostra storia» di Adrian Cioroianu (III)

Pubblichiamo un altro racconto tratto dal volume Nu se poate evada din istorie noastră («Non si può evadere dalla nostra storia») di Adrian Cioroianu, storico, giornalista, politico e saggista, professore presso la Facoltà di Storia dell’Università di Bucarest e attualmente Ambasciatore della Romania presso l’UNESCO. Adrian Cioroianu è autore di numerosi volumi di storia, saggi storici e politici e di documentari televisivi. Inoltre collabora con prestigiose riviste culturali e con alcuni canali della televisione romena.
Nu se poate evada din istorie noastră («Non si può evadere dalla nostra storia») è il secondo volume della raccolta Cea mai frumoasă poveste («La storia più bella»), Curtea Veche, București, 2014. Una raccolta di racconti sulla storia romena, con retroscene e dettagli che affascinano il lettore, addentrandolo nel vivo della storia politica e sociale della Romania del XX secolo. I due volumi hanno ispirato anche il programma televisivo, trasmesso dal canale TVR1, 5 minute de istorie («5 minuti di storia»).


Il comizio fatale del 21 dicembre 1989


Cari amici, a volte abbiamo come l’impressione che la Storia si ripeta. In realtà, gli storici sanno bene che la Storia non passa mai dalla stessa stazione. È pur vero che alcuni episodi del passato sembra si assomiglino tra di loro – lo scrittore americano Mark Twain disse che alle volte la storia presenta delle rime, in cui un evento pare rimare con un altro. Oggi vi propongo di parlare dell’ultima rima della vita di Nicolae Ceaușescu: il comizio in Piazza del Comitato Centrale del 21 dicembre 1989.
In questa piazza del Comitato Centrale del partito, Nicolae Ceaușescu conobbe il momento più glorioso della sua carriera politica il 21 agosto 1968, quando da questo balcone condannò, con un coraggio ragguardevole, l’invasione sovietica in Cecoslovacchia. Precisamente dopo 21 anni e quattro mesi, sempre da questo balcone Nicolae Ceaușescu cercò di parlare ai romeni di ciò che lui credeva fosse la “verità” sulla rivoluzione di Timișoara. Ma il risultato fu completamente diverso da quello che egli desiderava.
Così come è stato menzionato in un altro episodio del volume, nel pomeriggio del 20 dicembre Ceaușescu ritornò dalla visita a Teheran e, quasi subito, iniziò a preparare [1] un discorso che tenne la sera, intorno alle 19, in diretta radio e alla televisione.
Dopo questa apparizione pubblica, ebbe una nuova video-conferenza con i segretari provinciali di partito, dopodiché emise un decreto presidenziale, istituendo lo stato di emergenza sul territorio della provincia di Timiș. Nella stessa sera del 20 dicembre, intorno alle 21, Ceaușescu contattò il segretario di partito nonché sindaco della Capitale, Barbu Petrescu. Apparentemente, Ceaușescu avrebbe voluto organizzare all’indomani un incontro faccia a faccia con la gente di Bucarest, sperando senza dubbio di convincerla, così come aveva fatto nel 1968 (anno dopo il quale fece una dozzina di comizi in tutto il paese). Obbediente, il sindaco Barbu Petrescu, promise a Ceaușescu che il giorno dopo, il 21 dicembre, all’ora di pranzo, un bagno di folla si sarebbe raccolta ai piedi del dittatore, sotto il balcone del Comitato Centrale.
Ma esiste anche un’altra versione di questo episodio. Effettivamente, noi non conosciamo ancora oggi tutti i retroscena del comizio del 21 dicembre. Molto probabilmente, l’idea partì da Ceaușescu. Ma altri ex militanti dell’élite di partito credono che l’idea sia stata dello stesso Barbu Petrescu – ex leader sindacale dello stabilimento «23 agosto», diventato poi sindaco – il quale si mostrò fedele e sostenitore della causa, essendo egli stesso parte di un complotto (dal mio punto di vista, la prima alternativa rimane, comunque, quella più plausibile).
Le informazioni che abbiamo oggi sul comizio del 21 dicembre 1989 ci mostrano che fu sabotato intenzionalmente, ma è difficile stabilire da parte di chi. Poco dopo le 12 di quel giorno, Nicolae ed Elena Ceaușescu, affiancati da alcuni membri del governo e del Comitato Centrale, apparvero al balcone.
Cinque rappresentanti dei lavoratori scelti iniziarono a lodare Ceaușescu e a condannare i «teppisti» di Timișoara. Dopo un quarto d’ora, il sindaco Petrescu invitò al microfono Nicolae Ceaușescu. Questi iniziò a parlare, ma dopo quattro-cinque minuti fu interrotto da un caos indescrivibile. Sotto di lui urla, delle esplosioni, un rumore sordo e profondo, di sottofondo una strana vibrazione sonora, come se decine di carri armati ed elicotteri avessero combinato i loro suoni.
La gente spaventata cominciò a scappare in tutte le direzioni. Le ultimi immagini filmate sul balcone ritraggono Ceaușescu attonito, che riusciva appena a pronunciare le celebri parole: “Ehi, Ehi! Rimanete ai vostri posti!”. Ma nulla più rimase al suo posto.
Per quanto mi riguarda, in base al materiale a cui ho avuto accesso e alle testimonianze di quei giorni, sostengo l’idea che il comizio del 21 dicembre fu boicottato usando dei mezzi tecnici che colsero di sorpresa Ceaușescu (come anche gli organizzatori dell’incontro). D’altronde, in un altro episodio di questo volume mostrerò che quella strana vibrazione sonora fu sentita anche in altre città del paese. Chi l’ha adoperata? Credo che la risposta possa essere cercata sia all’interno della Romania quanto fuori dai suoi confini, dove vi era almeno uno stato vicino che non avesse buoni ricordi del balcone del Comitato Centrale.
Il comizio del 21 dicembre 1989 è stato l’atto finale della caduta di Ceaușescu, e forse quello più importante, poiché avvenne dinanzi a tutta la nazione. Ciò che doveva essere una dimostrazione di forza del regime si trasformò nella sua pietra tombale. Quel pomeriggio, subito iniziò una grande protesta nel centro di Bucarest. Il sindaco Barbu Petrescu, l’organizzatore del comizio, dopo il 1990, ha preferito non parlare mai più di quell’episodio. La morale della nostra storia è questa curiosa rima spaziale: lo stesso balcone del Comitato Centrale su cui Ceaușescu raggiunse il suo successo nell’agosto del 1968 divenne lo spazio della sua fine politica nel dicembre del 1989.
Fu solo una coincidenza? Fu l’orgoglio del dittatore il quale sperava di ribaltare di nuovo la storia? O qualcuno lo «spinse» verso questa fine già premeditata?






A cura di Ida Libera Valicenti
(n. 10, ottobre 2020, anno X)




[1] Chiaramente chiese che gli fosse scritto.