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Il cinema romeno durante la dittatura comunista
Durante la dittatura comunista, come in tutte le cinematografie del cosiddetto est europeo, il cinema diventa uno strumento di propaganda dell’ideologia comunista. In Romania, specialmente negli anni Ottanta, il culto della personalità è diffuso e portato al parossismo, secondo un progetto «scientifico», che trova nel cinema il veicolo ideale. La censura preventiva è soffocante, così pure la cancellazione improvvisa dalla programmazione di film non graditi, con censori che spesso non sono in grado di leggere le sceneggiature. Il noto regista cinematografico e teatrale Lucian Pintilie [1], però, in un’intervista concessa alla giornalista Silvana Silvestri esprime, con il suo feroce sarcasmo, un’idea personale, ma sostanzialmente vera. La domanda era:
«D.: Perché il cinema romeno, a differenza di altre cinematografie dell’est, sotto Ceauşescu non poteva neanche sviluppare metafore?
R.: Mi accorgo che insistete su questo argomento, che non tralasciate questo argomento assai delicato. Va bene, sarò molto chiaro. Considero del tutto pietosa la relazione che i cineasti romeni hanno intrattenuto con il potere. Attenzione, non con la censura, dico proprio con il potere. Riproduco qui sotto un frammento del mio intervento indirizzato al Parlamento Europeo di Strasburgo, il 13 novembre 2001, in occasione del 6° Forum del Cinema Europeo:
“La censura cinematografica dei dittatori socialisti non è stata onnipotente? La metà dei capolavori del cinema mondiale fino alla caduta del Muro non viene forse da questi paesi comunisti?
- E la Romania, tu l'hai dimenticata...rincara A.
- La Romania, lascia perdere... In Romania anche la censura era corrotta.
- Come, corrotta? - Vuol dire che il regista romeno, con rare eccezioni, non aspettava che questo: rimpiazzare la censura con l'autocensura, infinitamente più restrittiva. E la censura è stata ʻcomprataʼ con la dolce prospettiva dell'ibernazione: ʻVai a dormire tranquilla, hanno detto i registi romeni alla censura, riposati su di noi, siamo noi stessi a incaricarci di fare regnare l'ordine qui e ancora meglio che nei tuoi sogni più pazziʼ.
- Tu vuoi insinuare che l'assenza di censura...
- … no, non la sua assenza, ma la sua frivolezza, la sua vacuità. In Cina la censura è consistente. Il numero di capolavori cinesi dimostra che si può dialogare, negoziare con la censura. Il cinema iraniano non è forse severamente censurato? La censura non può forse sviluppare, in modo sconcertante un incitamento all'interiorità, alla sottigliezza? E lo stile bizantino, dico, spingendomi ancora più lontano, non è forse il risultato geniale della conversione delle costrizioni e dei divieti...
- Stai facendo l'elogio della censura? s'indigna il regista A saltandomi nuovamente alla gola.
- No, voglio semplicemente dire che i capolavori se ne infischiano abbondantemente della censura mondialista, come in altri tempi della censura comunista. In breve, i Romeni si sono autocastrati. Il massimo che si sono permessi è stata una formula “pietosa” di metafora».[2]
In ogni caso in questo clima di costrizione si sono espressi registi che hanno saputo affrontare con coraggio la dittatura, utilizzando un linguaggio allusivo o simbolico, che ha permesso loro, almeno per qualche giorno, di farsi conoscere dal pubblico. Durante la dittatura comunista sono stati prodotti dei film di buona e anche ottima fattura tecnica. Spesso scivolavano tra le maglie censorie cose pregevoli, che solo per la colpevole distrazione della critica occidentale non ottenevano la meritata fama, come invece accadeva per altre cinematografie quali la cecoslovacca, dal sublime sarcasmo, la polacca, dall’altero aplomb, o l’ungherese, dal cordiale distacco.
Posso citare alcuni titoli di film vietati: Duminică la ora şase (Domenica alle sei) del 1966 e Reconstituirea (La ricostruzione) del 1969 di Lucian Pintilie, Nunta de piatră (Nozze di pietra) del 1973) di Mircea Veroiu e Dan Piţa [3], Dincolo de nisipuri (Oltre le sabbie) del 1974 di Radu Gabrea [4], Mere roşii (Mele rosse) del 1976 di Alexandru Tatos [5], Probă de microfon (Prova microfono) del 1980 di Mircea Daneliuc [6], De ce trag clopotele, Mitică? (Perché suonano le campane, Mitica?) del 1982, ma il film ebbe la première solo nel 1990, di Lucian Pintilie; Faleze de nisip (Scogliere di sabbia) del 1983 di Dan Piţa e Glissando (id.) del 1984 di Mircea Daneliuc. Cos’hanno questi film di meno delle opere dei vari e famosissimi Miklós Jancsó, Andrzej Wajda, Miloš Forman, Jiří Menzel?
Perfino la produzione sovietica otteneva più spazio in Italia. Se non fosse stato sovietico, avremmo mai conosciuto il regista moldavo Emil Loteanu [7], autore di Lăutarii (I Lautari) del 1971? Quasi nessuno si era accorto che gli zingari protagonisti del film ambientato nell’Ottocento zarista parlavano il romeno!
L’attore Victor Rebengiuc [8], splendido protagonista di Pădurea spânzuraţilor (La foresta degli impiccati)del 1965 e di Moromeţii (I Morometi) del 1987,mi ha raccontato in un’intervista del 3 marzo 2010 il caso di Faleze de nisip di Dan Piţa. Il film era stato selezionato per partecipare al festival di Manila (Filippine) nel 1983. La delegazione romena venne inviata senza neppure un ban de buzunar (argent de poche). Dopo la visione del film, un regista ungherese, presente alla manifestazione, si rivolse ai romeni dicendo: «Ma è stato approvato questo film in Romania?». In effetti, nessuno ancora sapeva che Ceauşescu, nella celebre assemblea plenaria di Mangalia, aveva criticato aspramente il film«pentru denaturarea realităţii socialiste» («per il travisamento della realtà socialista»). Sulla strada del ritorno dopo aver fatto scalo a Copenhagen, salendo sul volo Tarom, chiesero dei giornali romeni e Rebengiuc fece vedere, secondo la sua previsione, che il film non appariva nella programmazione ed era stato brutalmente vietato.[9]
Tornando al secondo dopoguerra il cinema romeno si trova, per motivi evidenti, a ripartire da zero, quello che il critico di film Dominique Nasta (Università di Bruxelles, Belgio) definisce «falso livello zero», perché in ogni caso la pretesa dei comunisti di fare un cinema nuovo era scesa al compromesso di dover attingere all’esperienza dei registi «borghesi» come Jean Mihail (1896-1963), Paul Cǎlinescu (1902-2000) e perfino il tanto vituperato e calunniato Jean Georgescu (1904-1994). Nel novembre 1948 l’industria del cinema viene ufficialmente nazionalizzata e nel 1950 ha inizio la costruzione dei celebri studi di Buftea, vicino a Bucarest. Viene pure creato l’Istituto d’Arte Cinematografica diretto da Victor Iliu (1912-1968) [10], ex allievo di Ejzenštejn.[11]
Come nelle cinematografie sorelle di sventura, anche la Romania seppe produrre, come accennato più sopra, personaggi e film di grande valore, non necessariamente con opere contro, come ad esempio Scurtǎ istorie (Breve storia) del 1957, cortometraggio a cartoni animati di Ion Popescu-Gopo (1923-1989), vincitore per la Romania della Palma d’Oro a Cannes, primo riconoscimento internazionale dalla fine della guerra, o Pǎdurea spânzuraţilor (La foresta degli impiccati) del 1965 di Liviu Ciulei (1923-2011), premio per la regia sempre a Cannes.
Gli Anni Sessanta e Settanta vedono le mega produzioni di Stato di carattere storico, quali Dacii (I Daci) del 1967 o Mihai Viteazul del 1971, entrambi di Sergiu Nicolaescu (nato nel 1930), opere tecnicamente ineccepibili, ma anche film adulatori, almeno questo si sussurrava tra gli spettatori, fuori dal cinema, a proposito di Puterea şi Adevǎrul (Il potere e la Verità) del 1972 di Manole Marcus (1928-1994), premio Selezione della Critica a Venezia nel 1972. Il protagonista Stoian, interpretato da Mircea Albulescu, sembrava ricalcare il percorso politico di Ceauşescu; per molte persone però il film era da vedere in ogni caso, perché per la prima volta si mostrava chiaramente il Canal, cioè il canale artificiale Cernavodǎ-Constanţa, iniziato con i lavori forzati dei prigionieri politici, lasciato in sospeso come opera inutile del periodo stalinista e infine, tragica ironia della storia, fatto portare a termine da Ceauşescu.
Achille Tramarin
(n. 4, aprile 2012, anno II)
NOTE
1. Lucian Pintilie, nato a Tarutino (oggi Ucraina) il 9 novembre 1933, è stato definito il Gogol balcanico per l’inflessibilità del giudizio morale sul mondo che lo riguarda, per il suo feroce sarcasmo e per come sottolinea il grottesco della vita. Ha saputo creare personaggi e ambientazioni nello spirito della satira classica romena. Nel 1972 il suo allestimento del Revisore di Gogol venne vietato dal governo alla terza rappresentazione. Nel 2003 ha pubblicato la sua autobiografia Bricabrac, tradotta anche in francese. Oggi vive tra Romania e Francia.
2. L’intervista e le parti in corsivo sono di S. Silvestri in AA.VV., Guardare in faccia il male: Lucian Pintilie tra cinema e teatro, Revolver Libri, Bologna, 2004, pp.20-21 e p.16.
3. Mircea Veroiu: nato a Târgu Jiu, il 29.04.1941 e morto a Bucarest il 26.12.1997; tra il 1986 e il 1990 si stabilì in Francia. Dai critici italiani fu definito il Visconti romeno.
Dan Pița: nato a Dorohoi il 11.10.1938, nel 1992 vinse al Festival di Venezia il Leone d’Argento per il film Hotel de lux.
4. Radu Gabrea: nato a Bucarest il 20.06.1937. Dopo la censura al suo film, nel 1974 si stabilì in Germania, paese di origine di sua madre, fino al 1990. Vive e lavora tra Romania e Germania.
5. Alexandru Tatos: nato a Bucarest il 09.03.1937 e morto il 31.01.1990.
6. Mircea Daneliuc: nato a Hotin (Regno di Romania, oggi in Ucraina) il 07.04.1943.
7. Emil Loteanu: nato a Clocuşna (Regno di Romania, oggi in Moldavia) il 06.11.1936, morto a Mosca il 18.04.2003.
8. Victor Rebengiuc: nato a Bucarest il 10.02.1933.
9. Ben diversamente, nel 1970, l’emergente Nicolae Ceauşescu, nel Comitato Centrale del 10 febbraio, durante la discussione per vietare Reconstituirea, uscì con questa frase “controcorrente”: «Filmul critică nişte miliţieni. Ei şi?» ( «Il film critica dei poliziotti, e allora?»). Vd.: 22 – Revista grupului pentru dialog social, n°8, 16-22 febbraio 2010.
10. Vd.: Dominique Nasta, Cinema romeno, in Storia del cinema mondiale, a cura di G. P. Brunetta, Einaudi, Torino, 1999-2001, p.1475.
11. Autore di La “Moara cu noroc”(Al “Mulino della fortuna”) del 1956, dall’omonima novella di Ion Slavici.
12. Vd.: Nasta 1999-2001, p. 1475. |
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