Volontariato estivo in Romania: Don Rigoldi e l'esperienza dell’Associazione Bambini in Romania «Fai il male, pensaci. Fai il bene, scordalo». È un saggio principio di vita che ben vale per le tante realtà di associazionismo e volontariato che, specie in Italia, hanno scelto di farsi prossimo allargando i propri progetti specie nell'Europa dell’Est. È il caso dell’Associazione Bambini in Romania Onlus, presieduta da don Gino Rigoldi, prete di Milano nato nel 1939 e impegnato da sempre con minori abbandonati, detenuti, stranieri in difficoltà, nei settori sociali più degradati e feriti. Da oltre undici anni l’Associazione organizza campi estivi di animazione a favore di bambini in condizioni di disagio sociale in Romania e in Repubblica Moldova: dal 1999 ad oggi, ha portato più di 2.500 volontari italiani in Romania e, da tre anni, anche in Repubblica Moldova.
Cambiare, spezzare e allargare sono tre semplici parole che cercano di riassumere quello che siamo e quello che proponiamo. Proviamo a tracciare l'orario di una giornata tipo durante il campo estivo, per avere un’idea concreta di che cosa fa un volontario: quali sono gli elementi centrali sul versante educativo e operativo? Una giornata tipo all’interno di un istituto è organizzata in due momenti di attività divisi tra mattina e pomeriggio, interrotti dalla pausa pranzo. Non esiste uno standard fisso per ogni missione: orari, spazi e materiali sono concordati a inizio missione tra il gruppo e la dirigenza della struttura. Regola generale è che ogni mattina l’attenzione degli ospiti del centro viene catturata dai bans lanciati energicamente dai volontari: si tratta di canti ballati in gruppo basati sulla ripetizione di semplici motivi, volti a convogliare l’energia dispersa degli utenti in un unico coro e organismo. Tutto in un momento, ragazzi che vivono sotto lo stesso tetto ma che spesso si ignorano reciprocamente collaborano e si divertono assieme. Una volta suscitato interesse con il ballo, le attività ludiche proposte successivamente possono essere delle più varie: giochi di gruppo o individuali, creatività e lavori con i colori, movimento, tutto calibrato sulle capacità e potenzialità della specifica utenza a cui viene proposta la giornata. Alla chiamata della masa (in lingua romena, tavola) le attività della mattina si interrompono per il pranzo e riprenderanno dopo una pausa digestiva. Le occupazioni del pomeriggio non si allontanano significativamente dagli standard del mattino. Il momento serale solitamente non prevede attività organizzate ed è volto (su scelta del gruppo in missione) al semplice stare in compagnia degli ospiti dell’istituto. In alcuni centri, soprattutto dove sono presenti giovani adulti, questo momento è particolarmente apprezzato e si passa una parte della serata a condividere pensieri, raccontarsi storie o a giocare a carte o a fare braccialetti, prima che il gruppo si ritiri in un momento privato di verifica della giornata e organizzazione delle attività dei giorni successivi. Nessuno dei volontari solitamente ha alle spalle una formazione professionale in ambito educativo, ma quello che si legge negli occhi dei copii (bambini, in lingua romena) a fine missione è indubbiamente qualcosa di positivamente diverso dalla quotidianità che vige durante il periodo di assenza dell’associazione durante l’anno. Don Rigoldi, lei afferma che esperienze come queste sono una scuola di relazioni. Guardando la vostra proposta dal versante romeno e moldavo, come è maturato in questi anni lo spirito di servizio degli educatori e assistenti sociali di questi due Paesi? Se ci pensiamo bene, i volontari sono solo di passaggio. Fanno, sicuramente, un lavoro importantissimo, cercando di costruire qualcosa che vada oltre ai 15 giorni di animazione estiva, cercando di lasciare qualcosa di buono, una speranza, una motivazione, uno stimolo. Chi rimane tutto l’anno sono gli educatori, gli assistenti sociali, le cuoche e le infermiere. In questi anni ho incontrato persone che si dedicavano con passione e dedizione al loro lavoro negli istituti. Col passare degli anni mi capita di vedere sempre meno violenza, meno indifferenza. La nascita di associazioni e nuovi volontari che si dedicano alla realtà degli istituti sono un segno tangibile del lavoro di BiR fatto nel tempo che danno un senso al tutto, come sapere di persone che hanno vissuto sulla propria pelle il dramma dell’abbandono e che hanno passato l’infanzia negli orfanotrofi e che vogliono tornarci come volontari, dedicando una parte di loro stessi agli altri. Ragazzi che vogliono studiare per poter lavorare come educatori, perché vogliono che le cose cambino negli istituti e nella società. Giovani romeni che si impegnano quotidianamente per migliorare situazioni di fragilità per combattere e prevenire situazioni d’abbandono, che vogliono sensibilizzare alla solidarietà. Certo, spesso non ci sono mezzi adeguati, spesso il senso di impotenza fa fare ancora meno di quello che si potrebbe ed è difficile parlare di miglioramento, ma in questi anni qualcosa si è mosso e si è evoluto. Tanti pregiudizi circolano in Italia verso l’Est Europa, specie la Romania, a motivo purtroppo della delinquenza che vede coinvolte persone provenienti da tale area. Partire con tanti italiani per la Romania e la Moldava è una sfida: quali cambiamenti di mentalità si riscontrano nei volontari che vengono a contatto diretto con romeni e moldavi nel loro rispettivo Paese? Come tutti noi sappiamo bene, la mente umana è particolarmente incline ai pregiudizi. Lo si nota anche camminando per le strade di una Milano multiculturale come quella attuale. A volte ci sentiamo quasi spaventati da questa pluralità. Sappiamo, però, altrettanto bene, che il fenomeno migratorio che coglie l'Europa in questi anni deve essere visto come un'occasione, una possibilità di crescita e conoscenza di nuove storie e realtà. Il modo migliore per combattere le generalizzazioni e la falsa informazione è il ricercare con le nostre forze la verità. Una verità che è antica come il mondo: che siamo tutti fratelli. I volontari che partono con BiR ogni estate vivono un'esperienza di incontro-scontro con un universo nuovo e sconosciuto, imparano l'importanza del dialogo, molte volte anche non verbale, un dialogo che unisce il bambino e il volontario, così come il mondo romeno con quello italiano. È proprio dentro a questi istituti, nel cuore della loro cultura e all'interno dei loro più intimi profili individuali, che possiamo imparare a conoscere le differenze e ad amare le somiglianze. Basterebbe svuotare la mente dai pregiudizi meschini ed iniziare un percorso di incontro, già qui sul territorio milanese, per spezzare i confini ed allargare gli orizzonti. Papa Francesco ribadisce continuamente l’importanza di vivere le periferie. Non crede, don Rigoldi, che anche per gli Oratori italiani – molto forti e radicati nel territorio – sia giunto il momento di ‘europeizzare’ le loro esperienze estive parrocchiali (tipo il Grest), organizzando iniziative anche nei Paesi dell’Est con oratori ecumenici tra cattolici, ortodossi, protestanti? A fianco di BiR esistono tante altre associazioni italiane che realizzano campi estivi all'estero, di volontariato e di scoperta, che sensibilizzano i giovani su realtà a loro molto distanti e sconosciute. Sicuramente in un mondo che tende a diventare sempre più piccolo e all'interno di un'Europa sempre più collaborativa, viene facile pensare a un genere di scambio che favorisca l'integrazione fra i popoli. Ma le cose non sono così semplici da gestire. Ogni ente di volontariato, tra cui anche la Parrocchia e le esperienze in oratori ecumenici, hanno le loro organizzazioni che, a volte, sono difficili da incanalare verso un obiettivo comune. Tuttavia questo genere di incontri portano a una crescita interiore e a un miglioramento generale non indifferente. Proprio per questo motivo vale la pena provarci. Sarebbe interessante riuscire a far coincidere delle esperienze di oratorio estivo con una relazione multiculturale in altri Paesi. I giovani ne gioverebbero, entrando in relazione con una realtà nuova, pur mantenendo la sicurezza di un ambiente conosciuto, come la Parrocchia. Ma, comunque, non dobbiamo dimenticare che il lavoro deve partire per prima cosa dal territorio nazionale, valorizzando le differenze culturali e cercando di rompere una barriera invisibile nata dall’intenso fenomeno migratorio. Se si è indifferenti sul proprio territorio a chi è diverso da te, un'esperienza all'estero sarebbe difficile da realizzare. Se, invece, si sensibilizzassero i giovani e gli adolescenti, fin dalla propria quotidianità, all'incontro con l'altro, l'entusiasmo di uno scambio estero porterebbe alla nascita di qualcosa di più concreto.
Intervista realizzata da Giacomo Ruggeri
(n. 4, aprile 2015, anno V)
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