A Roma, la rassegna «Calvino Itinerante». In dialogo con Tatiana Marchisio

La rassegna Calvino Itinerante, a cura di Tatiana Marchisio e Andrea Pergolari e organizzata dal Municipio XV di Roma, in corso dal 6 ottobre 2023 si svolgerà fino al 22 dicembre, proponendo una maratona di letture, cinque spettacoli, un concerto, tre convegni, due presentazioni di libri e poi letture e laboratori sparsi per tutto il municipio e una mostra itinerante interamente dedicata a Libereso Guglielmi, il giardiniere di Calvino, figura fondamentale per la formazione dello scrittore; con la partecipazione di personalità artistiche e la presentazione di ben quattro spettacoli in prima assoluta.
La rassegna utilizza quindi la chiave di lettura del teatro, uno degli aspetti meno conosciuti della personalità dello scrittore, per illuminarne temi, motivazioni e ricerca, e collocarli nel contesto sociale, culturale e politico italiano del secolo scorso, in un percorso che va dal fascismo fino quasi alla fine della Guerra Fredda, passando per la Resistenza, con particolare attenzione agli anni giovanili.
A questa bellissima iniziativa e all’eredità calviniana è dedicato il nostro dialogo con la dottoressa Tatiana Marchisio, assessora municipale alla Cultura.


L’opera e la personalità di Italo Calvino sovente appaiono contraddittorie, considerata la grande varietà di atteggiamenti che, verosimilmente, riflette l’accadere delle poetiche e degli indirizzi culturali nel quarantennio fra il 1945 e il 1985. È possibile, tuttavia, rinvenire un’unità d’intenti?

Sì, senza dubbio. Anzi, per me la contraddizione diventa uno dei principi fondamentali per comprendere il sistema espressivo dello scrittore, che spesso nasce da un’oggettivazione di idee e di pensieri, se non in conflitto, spesso distanti tra loro. Calvino non riflette poetiche e indirizzi culturali del ‘900, ma quasi sempre li prevede e li anticipa, sa coglierli al volo nel momento della loro formazione. Il passaggio dal neorealismo al fantastico, dall’ideologia alla fantascienza, allo sperimentalismo al postmoderno, la trasformazione della narrazione in una forma di romanzo-saggio sono tutte cifre di uno scrittore alla ricerca del modo «giusto» di mettere in parola il mondo. Una «giustezza» mai trovata e che proprio nell’approssimazione all’oggetto del racconto trova la sua ricchezza: partendo dal racconto frontale, realista di fatti e personaggi a cui è legato, Calvino progressivamente se ne distacca, così come si distacca dai generi letterari e dalle forme consuete di scrittura. L’identità di uno scrittore diventa quella di chi è alla ricerca della percezione dell’identità del mondo, in tutti i suoi aspetti: dal quotidiano alla cosmogonia. La frontalità della visione viene azzerata, il rapporto tra scrittore e realtà (e, come conseguenza, tra scrittore e lettore) si pone in forma interrogativa, le posizioni si scambiano, si mischiano, si confondono. Ecco che l’origine del mondo è spiegata con un’imprevedibile voglia di tagliatelle che esplode nella materia concentrata nel punto d’origine dell’universo (Le cosmicomiche) o ecco che il rapporto tra autore e lettore diventa centrale in un anti-romanzo come Se una notte d’inverno un viaggiatore. Non è un caso che la morte coglie Calvino mentre sta lavorando a un libro sui cinque sensi, ultima (per forza di cose) e obbligata tappa della ricerca sulla percezione dell’esistente e la sua riproduzione.    


Neorealismo, gioco combinatorio, letteratura popolare sono tra i numerosi campi d’interesse toccati dal percorso letterario di Calvino.
Su quali aree si è concentrata la sua attenzione?

Su tutte e tre. Essendo Calvino itinerante una rassegna lunga e articolata, in qualche modo multimediale, ci sembrava giusto modellarla proprio sulla lunga e ininterrotta ricerca espressiva dello scrittore, proprio per metterne in rilievo la complessità e l’unitarietà. Lo abbiamo fatto con una chiave d’interpretazione inconsueta, almeno dal punto di vista critico-letterario, cioè tramite il teatro, terreno d’elezione del rapporto dualistico tra autore e fruitore di un’opera, teso a raddoppiare la natura ludica della creazione letteraria. Così siamo partiti da un incontro di presentazione di un libro sulla partecipazione di Calvino alla Resistenza (Italo Calvino. Il partigiano Santiago, di Daniela Cassini e Sarah Locke Loiacono), e attraverso gli spettacoli dedicati alle Fiabe italiane, al Barone rampante, alle Cosmicomiche e al Castello dei destini incrociati, arriviamo al gioco combinatorio della scrittura e dell’invenzione scenica con due laboratori di narrazione, in cui viene chiesto ai partecipanti di ricreare il loro rapporto con la realtà attraverso gli strumenti che ci offre Calvino. In questo percorso sono stati centrali una Maratona di lettura – che ha messo in evidenza il lungo trapasso espressivo dal realismo di Ultimo viene il corvo al descrittivismo di Palomar – e la messinscena di alcuni brevi atti unici di Calvino, per comprendere come la sua opera riesca a dialogare continuamente con sé stessa ma anche con qualsiasi linguaggio di comunicazione: dalla tv al fumetto, mantenendo sempre al centro la letterarietà della struttura e dell’ideazione.


«Nel Novecento è un uso intellettuale (e non più emozionale) del fantastico che s’impone: come gioco, ironia, ammicco, e anche come mediazione sugli incubi o i desideri nascosti dell’uomo contemporaneo». Così Calvino.


È uno dei punti d’attrazione della sua opera, una delle cose che più ce lo fa amare. Il fantastico in Calvino diventa quella deviazione dalla norma che può farsi addirittura surrealtà e che frantuma l’assolutezza di una Verità e l’oggettività della Realtà in tante piccole briciole che corrispondono all’identità frantumata dell’uomo contemporaneo. La frontalità del realismo non ha più gli strumenti per cogliere l’interezza di un esistente che non ha più punti di riferimento.


Il 2023 celebra il centenario della nascita di Italo Calvino.
Qual è il suo lascito alla posterità letteraria?

Calvino è stato il primo scrittore italiano che ha fatto esplodere gli orizzonti della letteratura e allargato il campo dell’ispirazione alla scienza, alla tecnologia, all’antropologia. In qualche modo può essere accostato in questo a un autore apparentemente tanto lontano da lui come Carlo Emilio Gadda, che cercava le parole per raccontare il mondo nella matematica, nell’ingegneria, nel dialetto per raggiungere la migliore sintesi possibile tra parola e rappresentazione. Calvino fa di più, utilizza la scienza come sorgente di racconto, arriva a flirtare con l’intelligenza artificiale, ha visioni metropolitane improvvise che sembrano descrizioni dell’oggi. Proprio per la sua capacità di trasformarsi e rinnovarsi in ogni momento, per la sua dinamicità di struttura e di pensiero, è uno scrittore che può dialogare potentemente anche con le nuove generazioni.


Quali sono, secondo lei, le sfide più ardue che la critica letteraria, ein particolare l’italianisticadeve affrontare al giorno d’oggi?

Il confronto con una letteratura disgregata, un orizzonte ideologico ristretto, un minimalismo di racconto che non riesce o non sa osare con le grandi invenzioni di scrittura. E l’abominio di un linguaggio impoverito, omologato, conforme a un pensiero unico di massa che non sa più raccontare le eccentricità e quindi discostarsi da un punto di vista centralizzato, anche quando sembra meno conforme alla norma. È un problema che anche un letterato e critico teatrale come Franco Cordelli ha ritrovato in campo teatrale. Vale un po’ per la cultura in generale.


Romano Luperini sostiene che il saggio critico, così come ereditato dal secolo passato, non ha più futuro. Come vede lei la trasformabilità di questa forma che si è istituzionalizzata in un vero e proprio genere letterario, sul quale si sono cimentati filosofi e critici celebri, tra cui Adorno e Lukács?

Il saggio critico può e deve rinnovarsi nella forma e nella sostanza, ma non può certo scomparire. Finché c’è una scrittura creativa o di analisi, finché c’è una comunicazione espressiva, ci sarà un’interpretazione. Il saggio critico potrà contaminarsi con altre forme tecnologiche, aprirsi di più alla storiografia, fare i conti con diverse fonti di ricerca, diversamente consultabili, ma è fondamentale. Basti pensare, per restare in argomento, al saggio storico-critico epocale che Domenico Scarpa ha dedicato a Italo Calvino quest’anno, Calvino fa la conchiglia.


L’edizione 2023 del Premio Strega ha segnato non solo la vittoria di una scrittrice, ma anche un record di donne: otto scrittrici nella dozzina e quattro nella cinquina. Come si configura l’attuale status della letteratura esperita da donne?

Senza contare che Benedetta Tobagi ha scritto il Campiello. Per me però la scrittura non ha distinzione di genere. Si legge e si scrive indipendentemente dal sesso.


La letteratura romena è costantemente tradotta in italiano, con nomi di punta quali Ana Blandiana, Herta Müller, Norman Manea, Mircea Cărtărescu, Emil Cioran, Mircea Eliade, e la rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» ne registra le pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2023. In che misura pensa sia conosciuta in Italia e quali scrittori romeni hanno attirato la sua attenzione?

Emil Cioran, di questo gruppo, è uno degli scrittori di riferimento per noi, anche per l’importanza che dà all’ironia come strumento di accesso alla comprensione dell’assurdo del mondo. Il che ci ricorda che uno dei più grandi uomini di teatro del Novecento, uno di quei francesi che hanno fatto la storia della cultura del XX secolo, è in realtà rumeno, ed è Eugène Ionesco. Ed è proprio uno di quegli autori che andrebbe riletto compulsivamente per comprendere la società odierna.


A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 11, novembre 2023, anno XIII)