Stella Poli: «Ognuno può trovare nell’intelligenza mobile e molteplice di Calvino il suo talismano»

«Credo che ognuno possa trovare nell’intelligenza mobile e molteplice di Calvino il suo personale talismano per affrontare l’esistenza».
Continua a dicembre il nostro Speciale Centenario Calvino con l’intervista alla giovane scrittrice Stella Poli. Nata a Piacenza nel 1990, è assegnista di ricerca in linguistica italiana presso l’Università di Pavia e insegna poesia contemporanea nel master editoriale MasterBook. È nella redazione di «Trasparenze» e «La Balena Bianca». Suoi racconti sono usciti su numerose riviste, fra cui «inutile», «‘tina», «l’inquieto», «narrandom», «Nuova Tèchne». 
La gioia avvenire, finalista alla XXXIV edizione del Premio Calvino, è il suo romanzo d’esordio.
Una riflessione coraggiosa sul consenso, sulla fallibilità della giustizia umana e sulla persistenza delle ferite, ma, come ha scritto la giuria del Premio Calvino, soprattutto «un romanzo di grande intensità emotiva, reso particolarmente efficace dalla lingua scabra e spigolosa con cui è costruito».

L’opera e la personalità di Italo Calvino appaiono spesso contraddittorie, considerata la grande varietà di atteggiamenti che, verosimilmente, riflette poetiche e indirizzi culturali che variano nel quarantennio fra il 1945 e il 1985. È possibile, tuttavia, trovare un’unità d’intenti?

Penso che, spesso, autenticità significhi vicinanza alla contraddizione. Ma non trovo Calvino contraddittorio: certo, cambia idea, evolve, s’interroga. Le speranze e gli ideali della Resistenza partigiana, il comunismo di quando scrive negli anni Cinquanta di scioperi e risaie cambieranno modo, a volte, senza cambiare davvero segno.


Neorealismo, gioco combinatorio, letteratura popolare sono tra i numerosi campi d'interesse toccati dal percorso letterario di Calvino. Su quali aree si è concentrata la sua attenzione?

Io non sono un’esperta calviniana, ma ho studiato in questi mesi il Calvino antologista, per Zanichelli, oltre al Calvino traduttore di Ponge. Ho provato a ricostruire, al di là dei vuoti d’archivio, il rapporto con questo poeta particolarissimo e geniale, da cui, senz’altro Calvino impara tanto, anche prima di Palomar.


«Nel Novecento è un uso intellettuale (e non più emozionale) del fantastico che s’impone: come gioco, ironia, ammicco, e anche come mediazione sugli incubi o i desideri nascosti dell’uomo contemporaneo». Così Calvino. In qual misura il «fantastico» calviniano si fa pioniere del contemporaneo?

La citazione proviene da un’intervista del 1970, di «Le Monde», che si riallaccia al dibattito innescato dalla pubblicazione del saggio di Todorov, Introduction à la litterature fantastique. Per Todorov, il fantastico è quell’esitazione che si prova davanti al soprannaturale, avendo a disposizione solo leggi naturali per spiegarlo.
Calvino parte da lì, spiegando che nell’Ottocento la letteratura fantastica, innervata dal Romanticismo, era letteratura popolare; mentre nel Novecento, appunto, si intellettualizza. Continua dicendo che quel che a lui preme è «l’ordine che [un] fatto straordinario sviluppa in sé e attorno a sé, il disegno, la simmetria, la rete di immagini che si depositano intorno ad esso come nella formazione d’un cristallo».
Forse, ora, il fantastico può servire non tanto da cristallo quanto da specchio: penso al carattere distopico di alcune narrazioni, che ci aiutano a guardarci, a inchiodare la contemporaneità a sé.


Il 2023 celebra il centenario della nascita di Italo Calvino. Qual è il suo lascito alla posterità letteraria?

Potremmo prendere le sue Lezioni americane, Six Memos for the Next Millenium come appunti, post-it raffinatissimi, per il futuro. Ma credo che in realtà ognuno possa trovare nell’intelligenza mobile e molteplice di Calvino il suo personale talismano per affrontare l’esistenza.


Quali sono, secondo lei, le sfide più ardue che la critica letteraria, ein particolare l’italianisticadeve affrontare al giorno d’oggi?

Il dubbio (o la certezza) della sua insignificanza, direi. La marginalizzazione del dibattito letterario, scollato dalla società e dalle urgenze, rende la critica più un soliloquio per riempire, a peso, le mediane.


La letteratura romena è costantemente tradotta in italiano e la rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» ne registra le pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2023. In che misura pensa sia conosciuta in Italia e quali scrittori romeni hanno attirato la sua attenzione?

Credo che non sia ancora conosciuta e riconosciuta adeguatamente, ma certo alcuni dei nomi che lei fa hanno ottenuto attenzione e riconoscimento. Ammiro Cioran, fin dall’adolescenza. Ho recentemente letto Abbacinante, di Cărtărescu: libro di grande potenza.




A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 12, dicembre 2023, anno XIII)