«La scrittura, un esercizio votato alla vacuità». In dialogo con Stelian Tănase Quest'anno, alla XVIII edizione del Festivaletteratura di Mantova (3-7 settembre), la Romania è stata rappresentata dallo scrittore Stelian Tănase, la cui partecipazione è stata resa possibile grazie al sostegno dell’Istituto Culturale Romeno e dell’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia, partner del Festival. Nell'intervista che qui pubblichiamo, l’autore condivide con noi le sue impressioni sul Festival, toccando altri argomenti relativi al suo romanzo Morte di un ballerino di tango (edito dalla Atmosphere Libri di Roma) e ai suoi prossimi impegni di scrittore. Stelian Tănase, questa è la sua prima volta al Festivaletteratura di Mantova: quali le attese prima di arrivare e quali le sue impressioni prima di ripartire da Mantova? Non avevo grandissime aspettative perché è stata la mia prima partecipazione a un festival di letteratura, non sapevo che cosa mi sarebbe aspettato. Mi sono sentito benissimo e sono stato colpito dal folto pubblico che ha pagato un biglietto per partecipare a un dialogo con me, uno scrittore sconosciuto in Italia. Nei due eventi ai quali ha partecipato, ha dialogato con Andrea Molesini, docente di letteratura comparata nonché scrittore, sul suo romanzo Morte di un ballerino di tango e con lo scrittore Antonio Moresco nell’ambito dello spazio «Vocabolario Europeo», dove lei ha proposto la parola «zădărnicie». Come le è sembrata questa doppia esperienza? Non immaginavo che una storia romena potesse suscitare tanto interesse. Ero davvero curioso di vedere la reazione di alcuni intellettuali stranieri, italiani in questo caso. La reazione è stata ottima, empatica. Ciò infonde coraggio per scrivere altri libri. Morte di un ballerino di tango è un titolo accattivante e suggestivo, dietro al quale si nasconde un mondo romeno (o valacco, come Lei sottolinea nel romanzo) colto nei momenti tragici – trasfigurati in una fiaba «noir» – della Seconda guerra mondiale e che il lettore italiano scopre probabilmente per la prima volta. Gogu Vrabete, il protagonista, potrebbe vivere nella Romania dei nostri giorni? In linea di massima credo di sì. Un Gogu Vrabete è presente in ogni epoca. Un tipo umano molto romanzesco. Quanto hanno inciso la sua formazione ed esperienza di filosofo, politico e giornalista nella sua attività di scrittore? Semmai è successo il contrario. È stato lo scrittore a essere stato influenzato dagli altri. Comunque sia, dopo il 1990, si può affermare che la mia scrittura sia stata influenzata dal lavoro di ricerca che ho svolto negli archivi. Si dice oggi che gli scrittori, la scrittura siano morti: che senso ha ancora scrivere per lei? Buona domanda. Non saprei che cosa rispondere. È probabilmente un esercizio votato alla vacuità. Attraverso la scrittura, si affronta l’assurdo dell’esistenza, il caos. La scrittura dà un ordine al mondo. I suoi prossimi progetti editoriali? Sto scrivendo un romanzo che spero di finire per questo inverno che dovrebbe intitolarsi Il funerale di un cane.
Intervista realizzata e tradotta da Mauro Barindi
(n. 10, ottobre 2014, anno IV) |