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Stefania Mazzone: «La letteratura femminile è plurivocità, incoerenza, esodo, meticciato»
Ospite della serie Femminile plurale è Stefania Mazzone, professore associato di Storia delle dottrine politiche abilitata per la prima fascia, Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, Università degli Studi di Catania. Studia il rapporto tra ideologie e istituzioni, con particolare attenzione alle manifestazioni artistiche, letterarie e di genere. Di recente si è occupata del dibattito tra interventismo e astensionismo in Italia nei primi anni del ’900 e del rapporto tra eversione e ordine pubblico nell’Italia post-unitaria fino al fascismo. Suo interesse permanente la postmodernità e la corporeità politica in senso migrante. Tra le sue pubblicazioni Tempo e Potere (2004), Sul Cristianesimo (2007), Goliarda Sapienza: del femminismo eversivo della scrittura (2010), La filosofia del corpo (2012), Seta e Anarchia. Teorie e prassi degli anarchici italiani a Paterson (2018), Narrare le Migrazioni. Tra diritto, politica, economia (2019), Generose utopie. Il giornalismo politico di Guido Dorso (2019), Eva Kühn: la traduttrice futurista di Dostoevskij in Italia (2019).
La scrittura contemporanea può annoverare letterate illuminate, vere pioniere quanto a innovazione e rispetto della tradizione. Qual è l’attuale status della letteratura esperìta da donne?
Interessante notare come la scrittura femminile abbia avuto, dalla fine degli anni Novanta del Novecento, un nuovo slancio demistificatore degli stili e delle topografie che avevano dominato quell’universo in discussione già dagli anni Sessanta. Assistiamo a una fortissima delocalizzazione della produzione femminile che dal tradizionale contesto famigliare o politicamente rivendicazionista dell’Occidente si sposta all’impoliticità nomade dei percorsi orientali, mediorientali, postcoloniali. È il caso, per esempio, della Cina, dove emerge una letteratura al femminile totalmente priva di stereotipi novecenteschi, disinibita e altrove di fronte alla sfida della modernità e del liberismo economico. L’Oriente, medio ed estremo, vive un’accelerazione delle sue trasformazioni interne e significanti, dalle contraddizioni profonde tra tradizione e postmodernità che nella neutralizzazione delle differenze produce specchi autoriflettenti. Una letteratura «intimista», dell’«io assoluto», in contrapposizione al genere legato all’ideologia. Scrittrici come Hong Ying, Lin Bai, Xu Xiaobin sono interpreti della scrittura del privato, i cui temi intimi e borghesi si meticciano col genere satirico, materialistico, urbano. E ancora erotismo, privato e intersezioni femminili caratterizzano le scrittrici israeliane che rappresentano continuità e discontinuità di genere con i tre grandi autori classici quali Yeoshua, Oz, Grossman. Si tratta di Zeruya Shalev, biblista e raffinata narratrice di vissuti senza veli, Avirama Golan, redattrice e giornalista di punta sui quotidiani «Davar» e «Haaretz», conduttrice televisiva di una trasmissione letteraria. I suoi Corvi racconta l’impossibilità del ritrovamento del nido per una bambina che osservando i corvi capisce gli adulti, con scrittura solida, dai riferimenti ebraici. Né da meno è la genialità di Sara Shilo che attraverso l’ironia smonta e rimonta relazioni, nuclei monocefali, famiglie allargate, in una narrazione del sé e dell’altro.
Le scrittrici sono e sono state sensibili a diverse ideologie, visioni del mondo, sensibilità politiche e filosofiche; personalità diverse tra loro e spesso assolutamente inconciliabili. Riesce a scorgere un fil rouge che annoda le plurime e molteplici anime della letteratura declinata al femminile?
Molto difficile ridurre a unità un universo che, per definizione, è moltitudinario e nomadico. Proprio questa caratteristica, insieme alla plurivocità, l’incoerenza, l’esodo, il meticciato, rende la letteratura, letteratura femminile.
Taluni reputano che la Letteratura non prescinda dal tempo per interpretare semplicemente lo spirito della Storia universale e che, ciononostante, essa sia congiunta alla finalità delle mode e a qualsivoglia ambito del gusto. Quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?
Parlare di funzione della scrittura può essere estremamente pericoloso. La scrittura, in sé, non ha funzione, anzi, la sua funzione è esattamente l’espressione di uno spazio infunzionale. Spazio ritagliato dai resti, dal margine, come diceva Bela Hook, nel quale il possibile destruttura funzioni e prefigurazioni.
Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. La sua storia personale può documentare ostacoli dovuti alla sperequazione di genere?
Parlare di ostacoli potrebbe far intendere quegli inciampi del patriarcato che hanno impedito e impediscono tuttora la concreta «uguaglianza» delle donne e degli uomini in termini di opportunità. Una questione che risale al femminismo rivendicazionista di diritti e neutralità. La mia generazione cresce e si nutre del femminismo della differenza, quello nel quale, a partire dalla corporeità, la rivendicazione diventa autocoscienza, posizionamento, separatezza.
Da chi è costituita la «Generazione Z» e che idea ha del femminismo?
La generazione Z, globalizzata e digitale, tende ad avere un rapporto ambivalente con il femminismo. Una consapevolezza forte della parità, ma l’assoluta impreparazione alla differenza, alla sua costruzione biologica e culturale. Istintivamente fluidi e razionalmente consapevoli dei processi di transizione dalla corporeità carnale a quella cyborg, appaiono intimamente sconosciuti a se stessi ma, allo stesso tempo, desideranti spazi vuoti di progettualità di genere col doppio effetto di dislocarsi in avanguardie militanti e retroguardie vittimarie.
Perché il patriarcato è tutt’altro che scomparso dalla nostra società?
Perché non sono mutate le condizioni oggettive e soggettive, strutturali e sovrastrutturali, che lo hanno prodotto e consolidato.
Le trappole e i pregiudizi spesso hanno origine in famiglia. Quando deve scattare il campanello d’allarme per le ragazze e i ragazzi?
Quando sentono di mancare di riconoscimento.
Quale significato assume, oggi, il termine «femminismo»?
Per la maggioranza del mondo occidentale «femminismo» è termine amichevole, ironico, unificante, mistificatorio di un riconoscimento d’alterità che, in realtà, non solo non c’è stato – in quanto simpaticamente troviamo uomini che si definiscono «femministi», persone comuni che diffondono la vulgata del «tutti siamo per le donne» –, ma vive nella ambiguità, ormai da tempo superata dalla teoria critica femminista postcoloniale, che la questione si riduca a uomini violenti e donne vittime. Il femminismo intersezionale ci dice molto altro e smonta anche comodi retaggi borghesi del femminismo della parità, versione Ottocentesca di un femminismo che difficilmente funzionerebbe in culture altre.
Si può diventare l’eroina della propria storia oppure il miglior sidekick del mondo per un’eroina di proprio gusto. Si può diventare colei che fa cambiare l’organigramma di una redazione oppure colei che diffonde la notizia che l’organigramma è mutato. Si può diventare colei che contribuisce a redigere le leggi che ci conducono a una società più equa e libera dalla paura del diverso oppure colei che quelle leggi le vota. Come si fa la rivoluzione femminista?
Come Antigone, sottraendosi dallo schema del potere, nella formidabile impoliticità dell’amore.
A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 5, maggio 2022, anno XII)
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