Silvia Manciati: «L’unità di fondo per Calvino è Calvino stesso»

«Quasi una capacità camaleontica, spesso profetica e anticipatrice sui tempi e le correnti».
Del lascito calviniano dialoghiamo con Silvia Manciati, assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Roma «Tor Vergata», dove ha conseguito anche il Dottorato in cotutela con l’Université de Poitiers. Ricercatrice in Italia e in Francia, dove collabora con diversi gruppi e istituzioni, è responsabile di redazione della rivista «Pirandelliana. Rivista interazione di studi e documenti». Ha incentrato i suoi studi sul teatro italiano e francese del XVIII secolo, con particolare attenzione agli scambi fra scena e pagina. Si è inoltre dedicata a letterate e attrici italiane dal Settecento alla contemporaneità. Affianca da sempre alla formazione accademica quella professionale nelle discipline del teatro e della danza; è fondatrice dell’Associazione culturale «Arcadia delle 18 lune», che dal 2005 si occupa della promozione e diffusione delle arti performative, realizzando numerosi progetti didattici, culturali, performance e spettacoli. 


L’opera e la personalità di Italo Calvino sovente appaiono contraddittorie, considerata la grande varietà di atteggiamenti che, verosimilmente, riflette l’accadere delle poetiche e degli indirizzi culturali nel quarantennio fra il 1945 e il 1985. È possibile, tuttavia, rinvenire un’unità d’intenti?

Certamente. Calvino è senz’altro noto per la sua versatilità, che si traduce in una grande varietà stilistica, in un’esplorazione ampia di tematiche e generi letterari, sempre a contatto – anche quando sembra distante – con i profondi cambiamenti sociali e politici della realtà che ha vissuto. Quasi una capacità camaleontica, spesso profetica e anticipatrice sui tempi e le correnti. Io credo che l’unità di fondo sia da rintracciare in una profonda coerenza con sé stesso, con la sua creatività singolare e militante. In altre parole: l’unità di fondo per Calvino è Calvino stesso e la sua capacità di leggere la realtà, andando oltre, far confluire la sua riflessione intellettuale e artistica nella forma più appropriata, attraverso una prospettiva di visione unica e singolare. Un po’ come Cosimo ne Il barone rampante, che guarda il mondo dagli alberi. Così Calvino trova una sua coerenza e fedeltà proprio in questo «camaleontico» modus operandi, in questa prospettiva originale dalla quale legge e interpreta la realtà.


Neorealismo, gioco combinatorio, letteratura popolare sono tra i numerosi campi d’interesse toccati dal percorso letterario di Calvino. Su quali aree si è concentrata la sua attenzione?

Dal momento che i miei interessi di ricerca hanno sempre riguardato il teatro, anche per Calvino la mia attenzione è andata alla sua capacità di «scrivere per immagini» e dunque alla dimensione orale e scenica della sua opera. Oltre ad aver scritto per il teatro (e mi riferisco, dunque, all’attività drammaturgica e librettistica), Calvino ha scritto per la radio e per la TV. È un ambito ritenuto da alcuni secondario, ma che io ritengo centrale per inquadrare l’interdisciplinarietà e la poliedricità di Calvino. Mi sono concentrata, dunque, sull’attività che lega nell’officina dello scrittore narrativa, teatro, radio, musica.


«Nel Novecento è un uso intellettuale (e non più emozionale) del fantastico che s’impone: come gioco, ironia, ammicco, e anche come mediazione sugli incubi o i desideri nascosti dell’uomo contemporaneo». Così Calvino. In qual misura il «fantastico» calviniano si fa pioniere del contemporaneo?

Dicevamo di come Calvino abbia avuto la capacità di indagare la realtà da un’altra prospettiva, leggendo anche quegli spazi «invisibili» (per citare una parola cara all’autore) che nascondono la complessità del mondo e della vita umana. Il fantastico è una delle porte d’ingresso verso questi mondi invisibili e sconosciuti, seppur originati dalla realtà, che la letteratura è in grado di creare. È la conferma del potere della parola di generare visioni, di creare una nuova e diversa realtà. Di scoperchiare il «non detto» dell’inconscio individuale e collettivo. È proprio in questa chiave di accesso che il fantastico calviniano dialoga con il contemporaneo.


Il 2023 celebra il centenario della nascita di Italo Calvino. Qual è il suo lascito alla posterità letteraria?

La potenza della sua immaginazione, che genera tanto parole quanto visioni, e che si riflette sia nella narrativa che nella sua riflessione intellettuale. Le Lezioniamericane continuano a stimolare e pungolare l’attualità e a spingere oltre le riflessioni, così come i personaggi della sua narrativa continuano a «reincarnarsi», ogni volta nuovi, e Se una notte d’inverno un viaggiatore a stupirci per la sua sperimentazione metaletteraria. Il lascito è aver creato non solo delle opere, ma un immaginario unitario, come solo i grandi autori sanno fare.


Quali sono, secondo lei, le sfide più ardue che la critica letteraria, e in particolare l’italianistica, deve affrontare al giorno d’oggi?

La sfida più ardua resta a mio avviso quella che ogni epoca deve affrontare: ossia saper mantenere un dialogo vivo con il contemporaneo. Nella nostra società globalizzata tra le sfide c’è senz’altro quella di comprendere e analizzare la diversità (sia essa culturale, di genere, di provenienza, di lingua) con gli opportuni approcci critici. Basti pensare, in tal senso, alla discussione nata in ambito critico sullo stesso termine di «letteratura italiana» in una società multiculturale, plurilinguistica, globale (chi scrive la letteratura italiana, oggi?).
Un grande lavoro da fare riguarda anche la rivalutazione delle comunità marginalizzate dagli studi precedenti. Un esempio su tutti, quello dei gender studies: si tratta non solo di studiare la singola opera scritta da una donna dimenticata dalla storia, ma di ridefinire i processi in base alle acquisizioni critiche ormai assodate.
Un’altra grande sfida riguarda il dialogo con la tecnologia e i nuovi media, che influenzano tanto la produzione quanto la ricezione della letteratura. Le forme narrative emergenti (come, ad esempio, la letteratura transmediale e interattiva) necessitano di nuovi strumenti e approcci teorici per poter essere analizzate e studiate. E per arrivare ancora oltre, una sfida sempre più ardua è rappresentata sempre di più dall’intelligenza artificiale, ambito in cui il dibattito è quanto mai vivo e complesso.


Romano Luperini sostiene che il saggio critico, così come ereditato dal secolo passato, non ha più futuro. Come vede lei la trasformabilità di questa forma che si è istituzionalizzata in un vero e proprio genere letterario, sul quale si sono cimentati filosofi e critici celebri, tra cui Adorno e Lukács?

Come qualsiasi forma, per dirla con Pirandello, muore nel momento in cui si cristallizza. Anche in questo caso la sfida è quella di dialogare con il contemporaneo e i suoi strumenti per mantenere “viva” la sua fondamentale funzione. Senz’altro il dialogo con il contemporaneo porta a una necessaria trasformazione in termini di ricezione, accessibilità, versatilità, dall’open acces alla considerazione della più ampia comunità, oltre a quella scientifica.


L’edizione 2023 del Premio Strega ha segnato non solo la vittoria di una scrittrice, ma anche un record di donne: otto scrittrici nella dozzina e quattro nella cinquina. Come si configura l’attuale status della letteratura esperita da donne?

Credo che sia florida e piena di validissimi esempi, non so dirle se più o meno di altre epoche storiche. Il problema, infatti, è da ricercare più in generale nella sottorappresentazione e marginalizzazione delle donne. A fronte di secoli di storie taciute, di profili oscurati, di pagine tenute nascoste o uscite sotto pseudonimo, ma anche di ambienti culturali in cui è normale parlare e pensare solo al maschile, e di storie della letteratura (e non solo) scritte da uomini... dovremmo poter avere a disposizione una storia «vera», che ci dia la possibilità di contestualizzare correttamente questa meravigliosa presenza femminile al Premio Strega 2023. Questa edizione è stata davvero incoraggiante, sia per i risultati letterari, sia per questo risultato: ci si auspica che la presenza femminile negli spazi culturali, come i Festival, cresca sempre di più.


La letteratura romena è costantemente tradotta in italiano e la rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» ne registra le pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2023. In che misura pensa sia conosciuta in Italia e quali scrittori romeni hanno attirato la sua attenzione?

Ho conosciuto Cioran proprio grazie a Calvino e alla curiosità innescatami da quella citazione all’interno di Perché leggere i classici? Ho proseguito poi scoprendo le poesie di Ana Blandiana e il suo impegno civile. Come notava già Calvino, credo ci sia ancora molto da fare per far conoscere la letteratura romena, come merita, al più ampio pubblico e iniziative come quella di «Orizzonti culturali italo-romeni» sono davvero encomiabili.


A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 12, dicembre 2023, anno XIII)