Intervista all’artista Salvatore Pepe, a cura di Maurizio Vitiello

Salvatore Pepe nasce a Praia a Mare (Cs) nel 1962. Frequenta gli ambienti della nuova generazione artistica degli anni ‘80 e lavora con importanti protagonisti nel campo delle arti visive e dello spettacolo. Dal 1988 ha tenuto significative mostre personali in Italia e ha partecipato a prestigiose rassegne internazionali. È stato promotore e direttore del Museo Civico di Praia a Mare (1994-2006). Sempre nella sua città realizza tra l’altro: la «Porta del Sole» in occasione del Giubileo del 2000; il monumento dedicato «Alle vittime del mare»; la maestosa «Croce» sul monte Vinciolo e la stele dedicata al calciatore «Armando Bencardino». Ha curato i video «Nato Frascà-L’Arte all’ombra di un’altra luce» e «Lamberto Pignotti e la poesia visiva». Esegue il progetto grafico del cd «Eos» del jazzista Umberto Napolitano, realizzato a Ulm in Germania dalla Yvp Music. Ha partecipato al progetto «Affreschi» per il Teatro La Piramide di Roma, diretto da Memè Perlini e ad «Arte Tango» allestimento scenico al Teatro Verdi di Cesena.  Ha collaborato con il Museo Nazionale «L. Pigorini» di Roma e la Sovrintendenza storica, artistica e archeologica della Calabria; con l’Ente Parco Nazionale del Pollino, la Geo Arte Onlus, l’ETSI regionale Lazio. A Vibo Valentia gli è stato conferito il Premio «Limen Arte 2013» – sezione artisti calabresi. Attualmente è docente di Disegno e Storia dell’Arte al Liceo «P. Metastasio» di Scalea (CS). Hanno scritto di lui importanti critici e storici. Sue opere si trovano presso il MAON; il Museo R. Bilotti Ruggi D’Aragona e all’UNICAL di Rende; alla Casa delle Culture di Cosenza; al Museo «R. Leoncavallo» di Montalto U. (Cs); al Museo Civico di Taverna (Cz); al Museo Limen di Vibo Valentia e in diverse collezioni pubbliche e private. È presente in Enciclopedia dell’arte di Calabria-ottocento e novecento di Enzo Le Pera, edizione Rubbettino. Della sua attività si è occupata la stampa specializzata e le maggiori testate giornalistiche, la RAI ed emittenti radiotelevisive private.


Puoi segnalare tutto il tuo percorso di studi?
Sia l’aspetto estetico che quello etico dell’arte e della vita? 

Verso la metà degli anni ‘70 ero solito frequentare lo studio del mio zio paterno, Marcello, apprezzato e stimato pittore realista, dal quale ho appreso i primi rudimenti. Nel ‘77 decisi di iscrivermi all’Istituto Statale d’Arte di Cetraro. I miei cari genitori, seppur con qualche perplessità, assecondarono le mie attitudini e le mie scelte, sostenendomi, ma soprattutto, seppero infondermi energia giusta e nobili sentimenti, che mi hanno portato nel tempo a valorizzare sia l’aspetto estetico che quello etico dell’arte e della vita. Conseguii il diploma di Maestro d’Arte e poi il diploma di Maturità d’Arte Applicata in Arte della Ceramica e successivamente anche in Arte dei Metalli e dell’Oreficeria. Nel 1981 mi iscrissi al corso di Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Roma. Studi che completai nel 1985 con una tesi in Storia dell’arte su Emilio Vedova con relatore il ch.mo prof. Alberto Boatto. Nel 1987 soggiornai a Parigi, per approfondire le mie conoscenze sulle Avanguardie artistiche e sulle nuove tendenze museologiche. Successivamente mi sono abilitato all’insegnamento della storia dell’arte e di varie discipline artistiche per intraprendere poi la carriera scolastica. L’essere artista e insegnante è un vortice meraviglioso che ha condizionato positivamente, a volte anche a scapito di forti rinunce, tutta la mia vita.

Come potresti definire e sintetizzare i desideri iniziali?

Il mio unico desiderio era dare corpo agli apprendimenti acquisiti durante gli anni dell’Accademia. E così, ancora studente, con alcuni compagni di studi: Donadio, Impieri e Saporito, oggi tutti affermati professionisti, demmo vita al gruppo Ottantaquattro/tre. Obiettivo era la diffusione dell’arte in relazione all’ambiente e ai centri storici calabresi e dar vita a un dialogo artistico nel Tirreno cosentino.

Quali sono i sentieri operativi che avevi intenzione di seguire e quelli effettivamente seguiti? 

L’intento iniziale era quello di esplorare l’arte in tutte le sue forme. All’Accademia ebbi ottimi maestri e la fortuna di frequentare il corso di Teoria della percezione e Psicologia della forma tenuto da Nato Frascà – le sue lezioni erano veri eventi, incontri/scontri di situazioni, dove avvenivano selezioni naturali. Con Frascà, protagonista del Gruppo Uno, tra i più importanti gruppi di ricerca degli anni ‘60 in Europa, ho collaborato a vari progetti, sia durante gli anni romani che dopo e fino al giorno prima della sua dipartita. Ricorderò sempre con affetto i tanti nostri trascorsi nelle vie tortuose dell’Arte e dell’ex-sistere. Essere stato allievo di Frascà ha significato per me una magnifica esperienza, che ha segnato positivamente e costruttivamente il mio atteggiamento nei confronti dell’arte. Poi la frequentazione della nuova generazione di artisti dell’ambiente romano ha irrobustito ulteriormente le mie esperienze e delineato il mio percorso.

Quando c’è stato in te la voglia di “produrre arte”?

C’è sempre stata.

Quando è iniziata la voglia di affrontare l’ambiente artistico?

Rientrato da Parigi mi stabilii tra Roma e Perugia, due città molto stimolanti. Fu proprio in Umbria che trovai gli stimoli giusti incoraggiato anche da mia sorella Rosetta e da mio cognato Enzo.

Mi puoi indicare gli artisti bravi che hai conosciuto e con cui hai operato, eventualmente “a quattro mani”?

Molti sono stati gli artisti conosciuti, con cui ho collaborato e a cui sono legato da importanti progetti e testimonianze di stima e di affetto, tra questi: Peter Behan, Enrico Castellani, Bruno Ceccobelli, Giacinto Cerone. Con alcuni abbiamo operato anche «a quattro mani»: con Gianfranco Groccia, a Bari negli anni ’90, creammo installazioni ambientali di arte totale. Nel 2001 fu la volta dell’opera digitale «Limiti invisibili» col contributo di Luigi Cipparrone. Con Salvatore Anelli realizzai invece «Celle silenziose», opera del 2006 per la mostra «Specchio alterato» e nel 2008 con Raffaele Iannone, «Orizzonti temporanei» esposta a Rossano e a Trento. Insieme a Longo e Tarcisio Pingitore, ai Licei di Cetraro, creammo un’installazione corale dedicata ai 100 anni della Nascita del Futurismo.

Quali piste e tracce di maestri della pittura e della scultura hai seguito?

Sicuramente gli artisti Concettuali e quelli della Transavanguardia. Ma principalmente le tracce più importanti sono state quelle dettate dagli studi dei grandi maestri del passato e del nostro secolo come Ad Reinhardt, Antoni Tàpies, Mark Rothko, Joseph Beuys e soprattutto Alberto Burri, quest’ultimo conosciuto personalmente grazie a Frascà.

Quali sono le tue personali da ricordare?

Certamente la prima, tenuta nel 1988 al Palazzo dei Priori di Perugia e poi quella dell’anno successivo al Centro d’Arte Luigi Di Sarro di Roma, presentate da Tonino Sicoli e caratterizzate dall’uso di materiali extrapittorici come corde e chiodi, dalla sovrapposizione dei piani e dal nero.  Nel 1991 esposi al Centro d’Arte l’Idioma di Ascoli Piceno con presentazione di Alessandro Masi. Nel ’92 fu la volta della personale alla Casa di Giorgione a Castelfranco Veneto curata da Ennio Bianco e Tiziano Santi in cui presentai accrochages, pitture e installazioni sonore basate sulle tematiche dell’assenza e sui processi filosofici della pittura e dei linguaggi dell’arte. Sempre degli anni ’90 mi piace ricordare l’esposizione multimediale alla Galleria Spazio Arte di Perugia con presentazione di Anna Cochetti e le personali tenutesi all’Istituto Italo-Francese e alla Galleria Modì a Bari presentate rispettivamente da Antonella Marino ed Enzo Battarra. Del 1999 è invece la mia prima personale in Calabria: «La presenza del Silenzio» alla Casa delle Culture di Cosenza, mostra antologica di opere per lo più monocrome con sovrapposizioni di piani, superfici plastiche e corpi metallici, curata da Paolo Aita e Franco Dionesalvi, con prefazione dell’On. Giacomo Mancini. Seguirono, l’esposizione alla galleria Qal’At di Caltanissetta presentata da Calogero Barba e Franco Spena;  la personale del 2003 «Geo-grafie» al CAMS dell’Università della Calabria a Rende, con presentazione di Paolo Aita e Vittorio Cappelli, in cui esposi opere di grande formato basate sui temi dell’alfabeto geometrico-minimale, dense di consistenza storica-evocativa di sapore mediterraneo e caratterizzate dall’alternanza ritmica di linee verticali e orizzontali, di piani neri e colorati sia nella bidimensionalità che nella tridimensionalità. Nel 2006 si inaugurò la personale permanente alla Casa degli Artisti di Gallipoli diretta da Giorgio De Cesario e Maria Cristina Maritati. E ancora la personale nel 2008 al Palazzo della Regione di Trento presentata da Aldo Falcetti e Fabrizio Marizza e quella di Maratea dedicata alle «Terre d’Italia» in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia a cura di Iannone e Longobardi; per giungere alle più recenti tenutesi a Cosenza al MAM nel 2016, a cura di Anna Cipparrone e presentazione di Leonardo Passarelli e Carlo Andreoli, dove esposi opere caratterizzate da geometrie, segni e linee tracciate su pura e candida creta e un’installazione video sulla preziosità del mare e della terra, dal titolo «Infinito Mediterraneo». L’ultima, in ordine di tempo, è probabilmente la più importante perché ha segnato i miei 30 anni di attività espositiva, si è tenuta nel 2018 nella storica Galleria il Triangolo di Cosenza, curata da Enzo le Pera e presentata da Maurizio Vitiello.         

Ora, puoi specificare, segnalare e motivare la gestazione e l’esito delle esposizioni tra collettive e rassegne importanti a cui hai partecipato?

A mio avviso sono state tutte esperienze importanti che mi hanno consentito di conoscere, maturare, crescere e confrontare con artisti e tematiche diverse. Negli anni ’90, significative per il loro carattere internazionale e la loro rilevanza storica sono state «Informastratta» al Museo della carta di Fabriano e «Perugia/Beuys» al Museo di Palazzo della Penna di Perugia, curate da Paolo Centioni; «Caccia in velocità» alla Galleria Spazio Arte, Perugia, presentata da Paolo Balmas; «La Foresta dei Sacrilegi - rèponse a J.P. Duprey» organizzata dalla Facoltà di Lingue dell’Università di Bari; «Calabritalia - situazione della ricerca artistica in Calabria» alla Pinacoteca Comunale di Montalto Uffugo, a cura di Tonino Sicoli e con docu-film di Orazio Garofalo; «Cross – la croce nell’arte contemporanea», curata da Gioxe Rosenthal  e tenutasi a Palazzo dei Priori di Perugia, al Centro Di Sarro, Roma e in USA all’Eastern University Museum of Fine Art di Portales e al Contemporary Artists Center for Fine Art, North Adams. E ancora «Conceptual Abstraction» e «New Geometry» alla Goldemberg Art Gallery di Gerusalemme e alla Galleria Lazzari di Roma; «Psicological Rigor» al Padiglione Neri di Perugia; alla Wooster Street Gallery di New York, al New Artists Space, Chicago e al Center for Visual Arts di Gerusalemme; «After Reinhardt» al Mizahck House di San Francisco, curate da Moshe Levinthal. E ancora: «Passaggi d’Oltremare - Mattia Preti, il Futuro delle Origini 1699 -1999» tenutasi al Museum of Fine Arts - Valletta, Malta e al Museo Civico di Taverna (CZ); «Ulisse» al Castello Nelson di Bronte, a cura di Gianfranco Labrosciano. Mentre dal 2000 a oggi significative sono state le presenze alla 52^ Biennale d'Arte di Venezia nell’ambito del progetto «Camera 312 promemoria   per Pierre Restany» curato da Ruggero Maggi e alla 54^ Biennale d'Arte di Venezia – «Padiglione Italia, Lo Stato dell’Arte nel 150° Anniversario dell’Unità d’Italia» al Palazzo delle Esposizioni di Torino a cura di Vittorio Sgarbi. La mostra «il Perugino-omaggio a Pietro Vannucci» alla Rocca Paolina di Perugia, presentata da Giorgio Di Genova e «Terra di Maestri, artisti umbri del 900» a Villa Fidelia, Spello. «Minimalia Rei» al Centro Aleph Art di Lamezia Terme, organizzata con Antonio Pujia Veneziano e Giuliana di Fazio. E poi la V e VI edizione di Limen Art a Vibo Valentia.  Nel 2015 fu la volta della Biennale del libro d’artista al PAN-Palazzo delle Arti di Napoli. E ancora: «Percorsi dell’arte contemporanea in Calabria» al Museo del Presente di Rende; «Viaggio nella parola di Alda Merini» a Palazzo Sormani di Milano; «Un bisbiglio lungo il cammino-Omaggio a Lorenzo Calogero» e «Across the Space - Across the Time» al Museo dei Bretti e degli Enotri di Cosenza; «Croce e croci del sacro - Arte contemporanea tra figurazione e astrazione» alla Galleria L’Agostiniana-Santa Maria del Popolo a Roma. La Biennale d’Arte al Museo di Stato ad Ankara in Turchia. La VI e VIII edizione della Biennale Magna Grecia al Collegio Sant’Adriano di San Demetrio Corone, organizzate da Maria Credidio e curate rispettivamente da Teodolinda Coltellaro e Roberto Sottile. La Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo alle Grotte di Pertosa. «Ibridi/fogli» alla Pinacoteca provinciale di Salerno, curata da Antonio Baglivo. «Terra/Materiaprima» alla Galleria di Arti Visive dell’Università del Melo a Gallarate. «Quotidiana bellezza» nella XIV Giornata del Contemporaneo AMACI-Anno Europeo del Patrimonio Culturale 2018 al Museo Archeologico di Villanovaforru in Sardegna. «Calabria-focus sull’arte contemporanea» Museo dei Bretti e degli Enotri, Cosenza. «Ponte di conversazione con Paolo Aita» al Complesso Monumentale San Giovanni, Catanzaro e al Museo Carlo Bilotti di Roma. «Joseph Beuys-Green Image 100» alla Galleria Civica di Caltanissetta. Del 2023 mi piace ricordare «Luz y Sombras» al Museu Valenciano de la Fiesta. Algemesí-Valencia; «Ricognizione mediterranea» al Museo del Presente di Rende e «Sentinella a che punto è la notte?» curata da Gianleonardo Latini, alla Sala espositiva San Rocco di Lugano in Svizzera.

Puoi definire i temi che hai trattato?

La mia arte nel suo fare iniziale è stata marcata da una fase accademica, successivamente ho spostato l’attenzione verso una ricerca gestuale e materica, caratterizzata sul finire degli anni ‘80 da forme geometriche e linee nelle quali sono visibili i segni del passato, quasi una «archeologia pittorica» che si sviluppa in tematiche attuali e dall’uso di materiali extrapittorici. Sicuramente, il colore nero, reminiscenze di esperienze e performance teatrali, contraddistingue e caratterizza le mie opere. Attraverso questo colore ho narrato la mia teoria dell’assenza e della tematica del silenzio e del vuoto. Il nero dà forza ad altri colori che materializzano sul piano la fisica della luce. Gli anni ‘90 sono stati altresì caratterizzati da esperienze minimali, installazioni ambientali e in edifici storici con linguaggi multimediali e l’utilizzo di materie plastiche nel tentativo di sublimazione di quest’ultime rispetto all’idea di arte. Nel nuovo millennio la mia ricerca è contraddistinta, da due o più elementi che si combinano tra di loro, dialogano e si ordinano in un crescendo di armonie compositive, restituendo agli spazi geometrico-astratti nuova vita, nuove frontiere e nuovi orizzonti. La struttura rigorosa restituisce all’opera una purezza forte e intensa. Ogni opera diventa così l’esperienza di una nuova trasformazione della visione.    

Ma dentro c’è la tua percezione del mondo, forse, ma quanto e perché?

Ogni opera è un corpo nuovo. È un tempo, è una parte di vita, un viaggio. È una frontiera. La mia «opera/azione» nasce dall’esigenza di esprimere contemporaneamente una realtà soggettiva e oggettiva, si libera indipendente attraverso un atto anarchico e spirituale determinando incanto e meraviglia.  Ogni segno, ogni elemento che entra a far parte dell’opera, diventano espressioni figurate di concetti più profondi, manifestazioni compositive meditate. Cerco di dipingere non ciò che si vede, ma piuttosto ciò che si svela. In ogni opera la chiave di lettura è sempre personale, imprevista, accidentale e a volte inconscia. Il messaggio potrebbe essere l’innamoramento del viaggio nel tempo, di una realtà sospesa tra equilibrio, bellezza e oscurità.

L’Europa è sorgiva per gli artisti dei vari segmenti? Le «vetrine ombelicali» parigina, londinese e quella milanese cosa offrono adesso?

Offrivano e offrono ancora tanto. Ma grazie all’importante manovra di decentralizzazione dell’arte dalle grandi metropoli, tanto decantata da Giulio Carlo Argan che ebbi la fortuna di conoscere personalmente negli anni ‘80 nei miei trascorsi nella capitale, l’Arte oggi può essere ovunque si riesce a pensarla.

Pensi di avere una visibilità congrua?

Posso dire a priori che non sono mai sceso a compromessi né con l’arte né con il potere che spesso manipola gli artisti, e non solo. Mi definisco un artista no-profit. Mai andato dietro alle mode.

Quanti «addetti ai lavori» ti seguono come artista?

Sicuramente i miei amici storici e quelli con cui collaboro. Ma anche tanti giovani attenti e curiosi alle dinamiche dell’arte. Tanti miei allievi, nel tempo hanno perseguito le travolgenti vie dell’arte e spesso ci interfacciamo.

Quali linee operative pensi di tracciare nell’immediato futuro nel campo della tua produzione?

Non penso mai a quella che sarà la mia produzione futura. L’importante è l’idea che di volta in volta si sostanzia nell’opera. L’uomo segna con la propria vita il suo passaggio nel mondo. Ogni opera è la testimonianza, nel tempo, del proprio pensiero e della propria esistenza che ogni giorno si rigenera a nuova vita.

Pensi che sia difficile riuscire a penetrare le frontiere dell’arte? Quanti, secondo te, riescono a saper «leggere» l’arte contemporanea e a districarsi tra le «mistificazioni» e le «provocazioni»?

Per arrivare a penetrare le frontiere dell’Arte bisogna percorrere tanti meandri e camminare nelle sinuosità dell’arte non è cosa semplice, ci vuole determinazione e coraggio. Sono del parere che non è facile saper «leggere» l’arte contemporanea e districarsi tra le «mistificazioni» e le «provocazioni» e poi i più preferiscono «leggere» quello che gli fa comodo.

I «social» t’appoggiano, ne fai uso?

Non ne sono un assiduo frequentatore.

Con chi ti farebbe piacere collaborare tra critico, artista, gallerista, art-promoter per metter su una mostra?

Con chiunque ami l’Arte con la A maiuscola.

Hai mai pensato di metter su una rassegna estesa di artisti collimanti con la tua ultima produzione?

Posso solo dirti che sto lavorando a una grande mostra che raccoglie opere di importanti artisti con cui ho collaborato in tutti questi anni.

Perché il pubblico dovrebbe ricordarsi dei tuoi diversi impegni?

Non credo che al vasto pubblico interessi molto ricordare il mio trascorso artistico o i miei diversi impegni, ci sono cose ben più importanti a cui pensare. Però mi fa piacere si ricordasse un’espressione del compianto Giuseppe Selvaggi che tenne a dire pubblicamente «... sono rimasto entusiasmato dal fascino e dall’eleganza delle opere di Salvatore Pepe. Dalla crudezza del nero affiorano segni primordiali che testimoniano il sacrificio, lo studio e il lavoro dell’artista. Quello di oggi, è stato per me, un incontro con la sua grande sensibilità di uomo, un incontro con la sua pittura e con la sua generosità di artista verso gli altri artisti: gran segno del segno superiore, che è il sigillo della sua pittura».

Pensi che sia giusto avvicinare i giovani e presentare l’arte in ambito scolastico, accademico, universitario e con quali metodi educativi esemplari?

Indubbiamente, il ruolo della scuola nella società attuale è importantissimo. Viviamo in un presente diseducativo, incentrato sulla superficialità e il disimpegno a discapito dei contenuti e dei valori. Trasmettere i propri saperi ai giovani è il compito più delicato e più nobile che un uomo possa esercitare. Nella mia esperienza di insegnante posso affermare con certezza che le osservazioni dei ragazzi sono straripanti. Le cose da trasmettere loro sono infinite e tormentano l’anima. Insegnare è un privilegio, ma è un compito di grande responsabilità, che quotidianamente ti pone di fronte a realtà sempre più difficili. Un grande ruolo, dunque, dovrebbero giocarlo le istituzioni preposte, bisogna formare bene i futuri docenti e professionisti nei vari campi, avvalersi di figure specialistiche valide per trasmettere alle nuove generazioni i veri valori dell’arte e della vita e soprattutto ridare rispettabilità alla figura dell’insegnante, troppo spesso, in questi ultimi tempi, avvilita.                                                                                             
Consigliare poi ai giovani di intraprendere studi artistici e di addentrarsi nelle sinuosità dell’arte è sempre cosa ardua.  A ogni modo ritengo che la qualità maggiore per la creatività è ancora il coraggio, come nella vita è l’umiltà; mentre la peggiore è l’ipocrisia. Bisogna che i giovani perseguano con tenacia i propri obiettivi, senza cercare giustificazioni. Devono innanzitutto studiare, conoscere e guardare ai più moderni linguaggi di elaborazione creativa e comunicativa, contrastare il fenomeno del «copia-incolla» e della vanità dell’apparire a discapito dell’essere. I giovani devono conoscere il nostro immenso patrimonio artistico, culturale e ambientale, imparare a rispettarlo, proteggerlo e a promuoverlo attraverso lo studio del saper fare e l’apprendimento della storia dell’arte che è poi la storia dell’uomo. Il ruolo dell’artista dev’essere dunque preminente, perché fondamentale nella sfera civica.

Prossime mosse, in Calabria, a Roma, Milano, Londra, Parigi, NY ...?

Ripeto, al momento sto lavorando a una grande mostra che raccoglie opere di importanti artisti con cui ho collaborato, ma è prematuro parlarne.

Che futuro prevedi nell’immediato post-Covid-19 e nel post-conflitto Russia-Ucraina?

Il Covid-19 ha modificato le nostre abitudini, è una grande ferita che lascerà segni profondi sia a livello individuale che di rapporti umani. Tutte le guerre sono sbagliate e stanno producendo solo danni irreparabili alla natura, al regno animale e all’umanità. Certo sono e saranno tempi sempre più difficili, sulla terra c’è troppo dolore inascoltato. Gli artisti e non solo, non si sono fermati, nonostante le sofferenze e le angosce. Nei loro studi hanno prodotto e continuano a produrre opere dettate dall’affaticamento del periodo. Neanche le guerre fermano gli artisti e la voglia dell’uomo di godere della bellezza della vita e del creato. Ogni città in ogni parte del mondo dovrebbe avere due Vie, quella della Pace e quella dell’Arte. Come diceva la Montessori: «Tutti parlano di pace ma nessuno educa alla pace. A questo mondo si educa per la competizione, e la competizione è l’inizio di ogni guerra. Quando si educherà per la cooperazione e per offrirci l’un l’altro, solidarietà, quel giorno si starà educando alla pace». L’arte, e vado a concludere, è sempre stata ed è un trait d’union comune salutare e ritengo lo dovrà essere ancora di più in questo nuovo millennio dominato dai Social Network che ci bombardano oltremodo di immagini, notizie e mistificazioni. Lo stesso progresso rivolto ormai all’«intelligenza digitale» ha senso solo se non ci fa perdere il rapporto col proprio essere, con la propria esistenza e nel rispetto di ogni forma di vita e di pensiero. In questa era saper comunicare significa soprattutto saper diffondere positivi messaggi, irradiandoli contemporaneamente in ogni angolo della terra. Il difficile però sarà comprendere ciò che è Arte e ciò che non lo è, ciò che è Vita vera e ciò che è finzione. Certo è, secondo me, che l’arte, è una cosa seria e non va intesa come esclusivo prodotto di mercato e di propaganda o mero esibizionismo. L’arte è un atteggiamento laico volto alla spiritualità, è provocazione, esortazione, attenzione alle politiche sociali e educative. L’Arte è sempre stata contemporanea, capace di grandi sfide e, nel tempo attuale, potrebbe essere quel media per creare nel presente, un campo d’azione del pensiero per dialogare con la scienza, intesa come conoscenza e coscienza per rapportarsi in modo armonioso con la vita.






A cura di Maurizio Vitiello
(n. 7-8, luglio-agosto 2023, anno XIII)