Il daimon senza tempo della creatività. In dialogo con lo scrittore Roberto Pazzi La poesia e il romanzo, il genio e la creatività. Sono alcuni dei temi che tornano nel dialogo tra Roberto Pazzi, scrittore e autore di romanzi tradotti anche in romeno (Mi spiacerà morire per non vederti più, Vangelo di Giuda e Conclave) ed Ela Iakab, critico letterario. Nella conversazione, uno spazio speciale va ad Eminescu: «Davvero straordinario – dice Pazzi –, ha la profondità e la forza d’ispirazione di ogni gigante della lirica europea. Le sue poesie mi toccano per il sentimento della morte e del Nulla, per quella straordinaria visione del Nulla e del Tutto che si uniscono in una sola dimensione». Roberto Pazzi: Non faccio molta differenza. I miei romanzi sono ricchi di simbolismo e di forza lirica. Quindi, vertono anche su temi prediletti dalla lirica: il tempo che se ne va, l’eternità, la giovinezza, l’individualismo, la bellezza, la noia, l’attesa, l’amore, la morte. E.I.: Perché sceglie spesso i re come personaggi? Vive una sorta di nostalgia della tragedia antica? O la regalità è una dimensione dell’essere, una metafora esistenziale? R.P.: Si, è la condizione oscura ed enigmatica di nascita, come nascere artista, come essere poeta, come essere creativo. Non si merita la creatività. Non si può andare a un corso per impararla. Non s’impara la bellezza di Greta Garbo. Si nasce con quel volto, come si nasce col genio di Thomas Mann, col genio di Mozart. La monarchia è simbolica di quei doni superiori, intangibili, di due grandi misteri della vita: il genio e la bellezza, che non sono meritocratici, sono regali renitenti alla democrazia, all’eleggibilità dei doni superiori. Una favola comincerà sempre con c’era una volta un re e mai con c’era una volta un presidente della repubblica... E.I.: Vorrei fare una domanda sul suo romanzo più recente, Mi spiacerà morire per non vederti più, uscito a novembre del 2010 presso l’editore Corbo, letto con passione e accolto con entusiasmo dalla critica letteraria italiana. Il personaggio di Celeste è un angelo decaduto? Glielo chiedo ricordando la coppia fantastica di fratelli che sono gli angeli di Conclave. Celeste significa ʻcolui che appartiene al cieloʼ, vero? Celestino porta luce a Ottavia, a quel grande esteta che è il senatore Eusebio e a ogni essere che gli si avvicina. Ricordo anche la Malincolia di Dürer. Perché si spegne Celestino, perché lei non ha scelto un altro destino per il bellissimo eroe, amato con uguale intensità da Ottavia e da suo padre Eusebio? R.P.: Sorprendente, lei è l’unica che ha colto il nesso fra i due che muoiono abbracciati alla fine, e in lotta, Celeste e Clefi, e i due angeli scomparsi all’improvviso dal Conclave. Celeste deve morire giovane perché altrimenti la durata della vita gli rapinerà la purezza, lo corromperà; come ogni angelo decaduto, come Lucifero, è il potere della seduzione e della corruzione del male, incarnato in Eusebio! Allora le è piaciuto questo romanzo? E.I.: Tantissimo. Mi spiacerà morire per non vederti più è un libro la cui lettura mi dà un flusso di nostalgia speciale, facendomi pensare ai grandi romanzi che ho letto. Il rapporto tra Gregorio Eusebi e Carlo De Feo mi ricorda la bella storia di Yourcenar, Memorie di Adriano; i momenti in cui la coppia Celeste-Ottavia si nasconde nel monastero rimandano a Stendhal, creatore de La Certosa di Parma, e anche alla coppia Vinicius-Ligia dell’ineguagliabile romanzo Quo vadis di Sienkiewicz. Ci sono frammenti che mi ricordano i suoi libri, Vangelo di Giuda e Conclave, dove si trovano meditazioni sul Cristianesimo e ci s’imbatte nel fascino che suscita Cristo, così come si avverte la presenza della donna, così forte nei suoi romanzi, nonché la disposizione dei personaggi in un triangolo pericoloso. R.P.: Il miracolo della lettura è che renda possibile una comunicazione così alta e privilegiata fra lettore e scrittore. Come ha accolto lei il Vangelo di Giuda e Conclave? E.I.: A che cosa ho pensato mentre leggevo Vangelo di Giuda e Conclave? La prima meditazione fu sull’amore della figlia Cornelia per suo padre, il poeta Cornelio Gallo, condannato a morte dall’imperatore Augusto per ragioni enigmatiche e misteriose, al significato soteriologico della memoria. Ma sono stata impressionata soprattutto dal personaggio assente, il poeta Cornelio Gallo, che fu condannato a morte dall’imperatore Augusto solo perché aveva scritto su Cristo... Ho inoltre pensato a quello che rimane dell’intera storia del poeta: la solitudine, una solitudine inalienabile, che può essere, forse, paragonata alla solitudine di Adamo, quella dopo l’uscita dal paradiso. La solitudine del primo uomo dev’essere la solitudine che sente ogni essere superiore, lucido, l’uomo rinchiuso nella rivelazione della finitudine. Ho letto Conclave anni fa, quando non sapevo nulla della procedura dell’elezione papale. Mi ha colpito la visione mistica di questo straordinario romanzo, quel Dio che non sta sempre nascosto nel cielo. C’è anche una tecnica di contrappunto, non a livello di scrittura, ma sul piano dell’esistenza: la malattia del potere e l’innocenza angelica; la cecità dei grandi preti e le visioni mistiche del monaco umile, il brutto dell’invasione diavolesca e la bellezza irreale dei gemelli divini. Ma non vorrei chiudere il nostro dialogo prima di farle un’altra domanda. Mi ha detto una volta che conosce Emil Cioran, Eugen Ionescu, Mircea Eliade. Conosce anche Mihai Eminescu? R.P.: Cara Ela Iakab, Eminescu è davvero straordinario, ha la profondità e la forza d’ispirazione di ogni gigante della lirica europea. Ama l’antichità e la mitologia, la Grecia e l’India delle età dimenticate. Le poesie di Eminescu mi toccano per il sentimento della morte e del Nulla, per quella straordinaria visione del Nulla e del Tutto che si uniscono in una sola dimensione. Soltanto dei grandi poeti come Rainer Maria Rilke, Verlaine, Lorca, Montale, Ungaretti mi avevano comunicato la stessa sensazione. A lei perche piace? E.I.: Io amo l’Eminescu della lirica amorosa, che celebra il femminile come presenza notturna, onirica, fantasmatica, che ispira il canto ma sa rimanere lontano, che è una musa, un oggetto eternamente desiderato, ma mai avuto. Eminescu discende, come tutti i grandi romantici, dal platonismo, da quella visione alta del Simposio di Platone, da quell’amore che è ascensione noetica. Amo di più l’Eminescu della lirica cosmogonica, centrata su una divinità pura, che ha creato il mondo sapendo che non c’è niente di più bello della grande tenebra, fluida e silenziosa, priva della presenza dell’uomo. Quando l’uomo nasce, la purità divina del cosmo svanisce, non so spiegare questa mia percezione, è un’idea a cui non sono arrivata tramite la ragione, ma avverto che il messaggio nascosto della poesia di Eminescu sia proprio questo. Sfortunatamente è morto così giovane, prima di finire numerosi progetti, giovane, tanto giovane... R.P.: Sì, capisco che cosa dice di Eminescu, con la venuta dell’uomo si perde la purezza del Creato e di Dio, bellissima intuizione la sua! Lei è così giovane e già così vecchia, nel senso che ha già il demone, il daimòn della Poesia dentro la sua anima. Chi sente la poesia come lei non ha età! Non dimentichiamo mai che tanti sono scomparsi mentre erano giovani: Chopin, Leopardi, Raffaello, Masaccio, Michelstaedter, Keats, Shelley, Schumann, Eminescu... muor giovane colui che al cielo è caro... E.I.: Alla fine, vuole trasmettere un messaggio ai Romeni? Quale sarebbe? R.P.: La Romania è una parte della Latinità sempre attenta e attratta dalla dinamica della cultura italiana. Vorrei ringraziare tutti i miei lettori di Romania, un paese sempre vicino al mio cuore. Credo che un giorno ritornerò – sono stato nell’aprile del 1997 ospite dell’Università di Craiova – là, dove sono stati pubblicati due dei miei più amati romanzi, Vangelo di Giuda e Conclave, in edizioni di grande pregio. Ringrazio, tramite l’intervista, le case editrici RAO e Corint, e anche per la mia raccolta di versi, La gravità dei corpi, la casa editrice Europa. Un caldo saluto a tutti i fratelli romeni, fratelli in nome della grande madre Roma!
Intervista realizzata da Ela Iakab
(n. 7, luglio 2012, anno II) |