Roberto Merlo e Ileana Pop: «Salone molto effervescente. Ma ora un progetto editoriale organico»

Roberto Merlo e Ileana Pop, traduttori e docenti, sono stati tra i protagonisti presenti allo stand torinese della Romania. Da questa loro "intervista doppia" provengono numerosi spunti, annotazioni, conferme e stimoli. Unanimi sono il riconoscimento e la soddisfazione per questa edizione del Salone, grande kermesse con appuntamenti di qualità, preziosi per accendere i riflettori dell’attenzione sulla cultura romena. Ma anche una sfida, e dunque un impegno, ad aprire vie nuove per la promozione e la circolazione in Italia delle migliori voci della letteratura romena. Con un invito importante: elaborare un progetto culturale ed editoriale organico e coerente.

Roberto Merlo e Ileana Pop, con quali principali impressioni tornate dal Salone di Torino? Novità positive, punti d’ombra che permangono, snodi importanti su cui lavorare: che cosa vi ha colpito di più?

Roberto Merlo – La prima impressione è decisamente positiva. La partecipazione della Romania come paese invitato, accanto alla Spagna, a questa grandiosa vetrina nazionale dell’editoria e della cultura ha costituito una ottima opportunità per un deciso intervento sull’immagine del paese, che all’estero in generale e in Italia in particolare ha sofferto e tuttora soffre di gravi deformazioni e menomazioni. So che gli amici dell’Istituto Culturale Romeno (ICR) di Bucarest e di Venezia, insieme ai loro partner, tra cui l’Associazione Italiana di Romenistica (AIR), si sono impegnati al massimo in questa direzione, presentando un calendario fitto di eventi di qualità che hanno coinvolto decine e decine di scrittori, traduttori, docenti universitari, critici, editori. E mi è parso che tale impegno sia stato ripagato da un’ampia partecipazione e da una risposta positiva non solo del pubblico e del mondo editoriale, ma anche della stampa culturale, normalmente invece poco attenta a tutto ciò proviene dalla Romania.
A inizio anno, proprio qui su «Orizzonti Culturali» (n. 1, gennaio 2012, anno II), Bruno Mazzoni rilevava le prime crepe in quel «muro di disinteresse» che da anni ostacola i rapporti culturali tra Italia e Romania. Certamente la partecipazione torinese gli ha assestato un’ulteriore bella spallata, ma occorre non farsi illusioni: il muro è ancora piuttosto solido. E il rischio è che, in buona tradizione italiana, «passata la festa, gabbato lo santo». Per alcuni giorni la Romania ha riempito le pagine culturali dei giornali e la programmazione delle radio, ma occorre vedere cosa resterà una volta passata l’euforia del Salone: se giornali e riviste recensiranno più libri romeni di prima, se finalmente anche i grandi editori apriranno le porte alla cultura romena (l’unico autore romeno ancora in catalogo da Einaudi è Tudor Arghezi, con l’antologia Accordi di parole curata da Marco Cugno nel 1972), se l’interesse dell’editoria andrà al di là della stretta contemporaneità e della vendibilità immediata…
Le preoccupazioni per il futuro riguardano in gran parte le incognite che impensieriscono un po’ tutti gli operatori culturali: l’acuta crisi economica, la diserzione crescente del pubblico, il cronico disimpegno delle istituzioni, l’abbassamento preoccupante del livello culturale generale ecc. Oggi si fa comunicazione/informazione rapida, superficiale e a senso unico, ma ben poca cultura, che richiede invece tempo e costanza, riflessione, dialogo. E viene da chiedersi cosa succederebbe se venisse a mancare il supporto economico che la Romania assicura attraverso i programmi del Centro Nazionale del Libro presso l’ICR…
Snodi su cui lavorare? Un mio problema personale, in qualità di docente di lingua e letteratura romena, è la mancanza o la vetustà (e spesso la conseguente irreperibilità) di traduzioni di classici o di molti scrittori non delle ultimissime generazioni (cito a caso, tra gli introvabili e/o fuori catalogo: Caragiale padre e figlio, Creangă, Rebreanu, Sadoveanu, Stănescu, Sorescu ecc.; tra i moltissimi non tradotti: Camil Petrescu, Şt. Bănulescu). Dal mio punto di vista l’impegno futuro dovrebbe puntare non solo al grande pubblico e non solo alla letteratura contemporanea, ma anche a recuperi, riedizioni e a operazioni di altro profilo, anche volutamente più di nicchia ma di alta qualità. Io personalmente sto pensando al progetto di una storia-antologia della letteratura romena antica e premoderna…

Ileana Pop – Le mie impressioni non possono che essere positive e so già che non riuscirò a rispondere in modo schematico a queste domande: troppe sono le idee, troppi i pensieri, troppi i ricordi. In generale mi sembra che sia stata un’edizione molto effervescente. Quest’anno credo l’IRCCU di Venezia abbia superato sé stesso: lo stand della Romania è stato più vivace che mai, tantissimi gli invitati, tante anche le presentazioni, gli scrittori, i traduttori presenti. Anche la Spagna, l’altro paese ospite, ha avuto però un’infinità di iniziative interessanti. Mai come nei contesti di questo tipo si vorrebbe avere il dono dell’ubiquità!
Personalmente seguo da anni non solo le attività organizzate dalla Romania e dai vari paesi ospiti che si susseguono, ma anche le presentazioni degli scrittori e delle case editrici con cui sono in contatto e che stimo, così come gli incontri dell’Autore Invisibile dedicati alla traduzione letteraria e condotti da Ilide Carmignani. Mai come quest’anno, tuttavia, avevo sentito il peso del tema del Salone: Primavera digitale. L’editoria italiana non può non prendere in considerazione l’arrivo sul mercato degli eBook e la loro rapida diffusione. Io, nel mio piccolo, ho twittato senza sosta, ho seguito il programma del Salone col cellulare in mano, ho aggiornato il mio blog alla fine di ogni sfiancante giornata, ho pubblicato su Facebook foto dei vari incontri a cui ho partecipato taggandone i protagonisti. Unica (grande) pecca: il Salone avrebbe forse dovuto fornire un servizio di connessione Wi-Fi se avesse voluto che questa sua primavera fosse veramente digitale…


Quali sono i libri che avete portato quest’anno e quale è stato il vostro primo impatto con il pubblico?

Roberto Merlo – Quest’anno ho presentato al Salone due autrici, Doina Ruşti con L’omino rosso, edito da Nikita di Firenze, e Gabriela Adameşteanu con Una mattinata persa (che ho tradotto in collaborazione con Cristiana Francone), edito da Atmosphere Libri di Roma. Siccome avevo già tradotto due loro romanzi negli anni scorsi – di Doina Zogru (Bonanno, 2010) e di Gabriela L’incontro (Nottetempo, 2010) – le conosco abbastanza bene e ho con entrambe un buon rapporto di affetto e di intesa. Credo che questo abbia avuto un suo ruolo nel corso degli eventi e dell’incontro con il pubblico: si tratta di due autrici piuttosto differenti per temperamento, scrittura e presenza, perciò anche gli eventi con il pubblico si sono svolti in maniera diversa, ma avendo con entrambe una certa confidenza e conoscendo molto bene i libri e la loro personalità letteraria, mi è stato più facile mediarne il dialogo con i lettori.
In generale tutti gli incontri e i dibattiti organizzati in occasione del Salone mi sono parsi piuttosto riusciti, e in particolare le due tavole rotonde organizzate in collaborazione con l’AIR. Tuttavia, ho avuto l’impressione che spesso il colloquio con il pubblico non specialista fosse un po’ timido, che la gente esitasse a entrare in dialogo con l’autore, a fargli domande. Lasciando da parte l’eventuale impaccio generato dal contesto pubblico, credo che tale reticenza nasca da un lato dalla diffusa e in una certa misura comprensibile ignoranza del contesto sociale, storico e culturale romeno a cui molti romanzi recentemente tradotti (quelli di Gabriela e di Doina inclusi) fanno riferimento; dall’altro, ho l’impressione che derivi anche da una generale mancanza di educazione alla lettura del pubblico nostrano, e in particolare alla lettura come scambio. Certamente un libro, romanzo, poema o saggio che sia, si legge anche solo «per leggerlo», ma molto importante mi pare anche leggerlo «per parlarne».

Ileana Pop – Quest’anno sono state presentate cinque mie traduzioni al Salone di Torino: quattro dal romeno (Un altro giro, sciamano di Lucian Dan Teodorovici; Sono una vecchia comunista di Dan Lungu; Uccidimi! di Ana Maria Sandu; La belle Roumaine di Dumitru Ţepeneag) e una dallo spagnolo (Il debutto dello scrittore madrileno Pablo d’Ors), tutte pubblicate dalla giovane e coraggiosa casa editrice Aìsara. L’impatto col pubblico è stato unico in ognuno degli incontri a cui ho partecipato. Lucian Dan Teodorovici ha dialogato per la seconda volta con Fabio Geda (la prima era stata l’anno scorso al Festival Isola delle Storie di Gavoi), Dan Lungu ha incantato tutti sia durante l’incontro con Paolo di Paolo sia durante la presentazione moderata da Laura Ingallinella; Ana Maria Sandu e Dumitru Ţepeneag, introdotti rispettivamente da Gaia Rayneri e da Alberto Masala, hanno fatto una bella panoramica della letteratura romena contemporanea e della loro opera. Lo spagnolo Pablo d’Ors, poi, uno dei migliori oratori che io abbia mai avuto modo di ascoltare, ha letteralmente lasciato a bocca aperta l’auditorio, me inclusa. Io ho vissuto l’impatto col pubblico attraverso il filtro degli scrittori che ho tradotto e per cui ho fatto da interprete in quest’occasione, attraverso la loro voce, le loro battute, i sorrisi, i silenzi. È un onore sapere di essere il tramite, il veicolo dei messaggi che vogliono far arrivare al pubblico italiano e non c’è niente di più emozionate di quando il pubblico sente di dialogare con l’autore e interviene, fa domande, ride, applaude…


A cosa vi sembrano interessati gli italiani e a cosa vi paiono più sordi? Avete potuto percepire quale impressione, in generale, abbiano della Romania e della sua cultura?

Roberto Merlo – Premesso che la cultura di massa di casa nostra è marcata da un fastidioso snobismo provinciale e che di conseguenza l’italiano medio ha della Romania un’immagine nel migliore dei casi alquanto nebulosa quando non totalmente deformata, in generale e con le dovute eccezioni ho l’impressione che editoria e pubblico italiani abbiano interesse quasi solo per la narrativa che racconta la Romania contemporanea. Ho l’impressione che si apprezzi soprattutto ciò che ha una componente illustrativa, come se la letteratura dovesse sopperire alle mancanze dei manuali di storia, della stampa, dei telegiornali… In parte perché non sa nulla o quasi della Romania e dei romeni, della loro cultura e della loro storia, l’attenzione di pubblico ed editori si è rivolta soprattutto alla narrativa che parla del presente e/o del passato recente della Romania: ciauscismo, rivoluzione e successiva transizione. E questo può diventare un limite, intanto perché favorisce una lettura superficiale, didascalico-informativa, della letteratura, ma anche, come diceva Marin Sorescu, perché «è come se si pretendesse che un usignolo che passa la maggior parte del suo tempo su un albero canti solo su e solo di quell’albero».

Ileana Pop – Che domanda difficile! Io evito sempre di generalizzare, cerco piuttosto di capire i gusti di chi mi sta di fronte. Capire che i lettori innamorati della scrittura e dei temi di Lucian Dan Teodorovici possono avere gusti diversi da chi ha avuto modo di apprezzare Ana Maria Sandu, per esempio, fa parte del mio lavoro. Io direi che il lettore italiano che si avvicina agli scrittori romeni cerca letteratura di qualità ma fruibile, romanzi che lo intrattengano ma dai quali possa trarre anche qualche insegnamento, che gli permettano di capire il mondo che circonda lo scrittore e i suoi personaggi. A mio parere questo tipo di lettore parte già con un’apertura mentale superiore a chi compra solo i best-seller pubblicati dai grandi colossi editoriali (senza nulla togliere a questi ultimi, per carità, il mondo è bello perché è vario!) e non potrà dimostrarsi sordo di fronte alle tematiche che sperava di trovare nei libri che ha acquistato. Dagli incontri col pubblico in fiera direi che le due tendenze principali seguono da una parte la curiosità verso un paese vicino ma lontano, un paese la cui cultura si sospetta possa superare i tristi luoghi comuni che spesso vengono associati alla Romania; e dall’altra la ricerca di un libro di qualità, indipendentemente dalla nazionalità e dalla cultura di provenienza di chi l’ha prodotto. Ho sostenuto in più di una sede, e qui lo ribadirò, che se la letteratura romena smettesse di essere presentata come letteratura romena e riuscisse a inserirsi alla pari all’interno della letteratura europea, il numero dei lettori italiani – e non solo – non potrebbe non aumentare. I libri, per me, andrebbero divisi in belli e brutti, punto; e l’unico giudice dovrebbe essere il gusto del lettore. A chi interessa veramente che questo o quest’altro romanzo sia stato scritto da un romeno, da un bulgaro o da un francese se si ha tra le mani un oggetto che non si riesce più metter giù?


Come scegliete, in generale, autore e opera da tradurre?

Roberto Merlo – Un po’ si sceglie e un po’ si è scelti. Per molti versi, il traduttore è un libero professionista come tutti gli altri: presta a terzi un servizio estremamente specializzato e professionale, certo, ma sempre un servizio. E in un panorama editoriale come quello italiano degli ultimi anni, in crisi di fondi e di lettori, è spesso necessario mediare tra esigenze editoriali e di mercato e inclinazioni personali. Io non faccio il traduttore di professione, il mio mestiere sono la ricerca e la didattica universitaria, quindi ho spesso tradotto dietro richiesta diretta di autori o editori, ma tra le varie proposte ricevute ho accettato in genere quelle riguardanti opere e autori che già conoscevo e che avevo apprezzato come lettore. Un altro fattore di cui personalmente ho dovuto e dovrò tener conto è il tempo: come dicevo, non faccio il traduttore di professione e devo/voglio potermi dedicare anche ad altro.

Ileana Pop – Non sempre sono io a scegliere l’autore e l’opera da tradurre. Nel caso dei romanzi romeni sì, sono quasi sempre io a proporne la pubblicazione, ma poiché la traduzione è la mia professione e odio fare figli e figliastri, dedico le stesse energie e la stessa professionalità a tutti i libri che finisco per posare sul mio leggio. Quando sono io a scegliere, lo faccio in base a quello che penso possa fare la differenza per il lettore: ognuno dei libri che ho proposto a un editore e che poi tradotto contiene un messaggio, un’atmosfera, un mondo che volevo tutti potessero scoprire o sono stati scritti da scrittori che ritengo fondamentali. Allo stesso tempo non posso non tenere in conto la linea editoriale della casa editrice che mi ha affidato l’incarico di trovare un libro su cui essa investirà tempo e denaro. Non per fare la guastafeste adesso, ma in troppi si dimenticano che un editore è anche un imprenditore, perciò quando io propongo un libro devo come minimo credere che il pubblico vorrà acquistarlo, che sarà disposto a spendere quei quindici, sedici, diciotto euro, devo sentire dentro di me che funzionerà non solo dal punto di vista culturale, ma anche commerciale. Certo, nel caso della letteratura romena non possiamo parlare di migliaia di copie in pochi mesi, ma è auspicabile che l’editore si veda almeno rientrare le spese iniziali affrontate. E qui non posso non nominare l’ICR, che grazie al programma TPS (e non solo) dà una grande mano d’aiuto alle case editrici coraggiose che decidono di investire sulla letteratura romena. 


Tema cruciale: gli ambienti editoriali italiani. Quale parere ne avete? Cosa rende difficile far puntare un editore italiano su un autore romeno e, viceversa, qual'è la molla di attrazione quando ciò accade?
 
Roberto Merlo – Sugli ambienti editoriali italiani non ho realmente un parere; ho invece dei pareri sui singoli editori e sulle persone con cui ho collaborato, in genere ottime persone. Gran parte delle pecche che si potrebbero individuare nell’editoria italiana, nelle sue politiche e nel suo modo di lavorare hanno radici economiche: la figura del redattore professionale di un tempo è diventata una rara avis, si lavora sempre più spesso con contrattisti esterni malpagati e non specializzati, il traduttore deve fare da correttore di bozze, agente letterario, ufficio stampa ecc. E poi c’è il provincialismo snob di cui parlavo prima. Francamente, sarebbe ingenuo negare che l’interesse per la letteratura romena dimostrato negli ultimi anni da vari piccoli e medio-piccoli editori vada disgiunto dai programmi di finanziamento promossi dell’ICR. Senza l’impegno economico della Romania in questo senso, non credo che la situazione di oggi sarebbe diversa da quella, diciamo, di dieci anni fa. Questo non vuol dire che la generazione di traduttori e specialisti precedente alla mia/nostra non sia riuscita a imporre anche prima nomi importanti, tutt’altro: ad esempio, Roberto Scagno con Mircea Eliade presso la Jaca Book, Marco Cugno con Norman Manea, approdato a il Saggiatore dopo case editrici come Baldini & Castoldi e Feltrinelli, o Bruno Mazzoni con Mircea Cărtărescu per Voland, che ha pubblicato anche Paul Goma; e poi il già citato Arghezi di M. Cugno per Einaudi e la Poesia romena d’avanguardia curata da M. Cugno e M. Mincu per Feltrinelli, o ancora traduzioni di autori come Marino, Noica e Steinhardt per il Mulino. Occorre poi ricordare anche i volumi pubblicati con i fondi di ricerca presso le Edizioni dell’Orso, in particolare Lo spazio mioritico di Lucian Blaga e La poesia romena del Novecento.
Oggi si traduce molto, perché gli editori sono attratti dal supporto economico che li aiuta a sostenere una scommessa difficile e perché i traduttori – e in questo mi ci metto anch’io – devono guadagnarsi da vivere come chiunque altro. E anche se resta l’incognita della diffusione reale di questi libri tradotti, che escano è comunque un bene. Mi pare però che manchi un progetto culturale ed editoriale meditato, organico e coerente, che venga a completare il comunque positivo fenomeno delle «traduzioni a pioggia». Ma questa è una scommessa ancora più impegnativa…

Ileana Pop – Il panorama editoriale italiano è molto eterogeneo e sarebbe forse riduttivo analizzarlo soltanto in base ai suoi rapporti con la letteratura romena. L’esperienza mi insegna che i grandi gruppi editoriali non sono interessati a puntare su libri (io preferisco parlare di libri e non di autori perché non tutti gli scritti di un autore hanno lo stesso valore letterario o quantomeno le stessa potenzialità di vendita) provenienti da realtà culturali e linguistiche minori. Spesse volte il loro è un ragionamento di mercato e io non ho il potere di influenzarlo. Esistono, tuttavia, piccole realtà editoriali che puntano sulla qualità e sulla cura dell’oggetto-libro, sulle letterature minoritarie come voci da troppo tempo soffocate. Nel caso della letteratura romena, a mio parere, è la loro genuina curiosità a spingerli verso gli scrittori che traduco, la voglia di conoscere, di esplorare un mondo che in troppi definiscono scomodo.



Intervista realizzata da Afrodita Carmen Cionchin
(n. 6, giugno 2012, anno II)