Orsola Severini: «Credo che stiamo dando vita a un femminismo rinnovato»

Ospite della serie Femminile plurale è Orsola Severini (Roma, 1981), con il suo primo romanzo, Il consolo (Fandango Libri, 2021). Figlia di madre francese e padre italiano, si è laureata in Storia all’Università Sorbona di Parigi. Ha vissuto anche in Argentina e in Perù dove è stata volontaria in un orfanotrofio femminile. Di ritorno a Roma nel 2006, ha lavorato per oltre dieci anni nella comunicazione e nell’organizzazione di eventi. Attualmente scrive di storia e cultura per il quotidiano online «Globalist» e lavora come insegnante di francese per stranieri. È madre di tre figli.
Il consolo narra una storia vera, quella della sua autrice. L’aborto terapeutico è il tema centrale e il libro vuole essere innanzitutto un atto di forte denuncia a sanità e società italiana, che condannano le donne a rimanere sole di fronte a una scelta, comunque, dolorosa e irreversibile. Di questa esperienza dolosa e del fil rouge che annoda le plurime e molteplici anime della letteratura declinata al femminile, nell’intervista che qui pubblichiamo.


Un figlio mai nato lei scrive «non è come se non fosse mai esistito». Cos’è il consólo e quali sono le ragioni insite nel porlo come titolo del libro?

Il consolo è una pratica funebre che esiste tuttora nel Sud e in Sardegna: quando c’è un lutto i familiari del defunto si chiudono in casa per tre giorni senza poter cucinare, sono gli amici del paese a consolarli tramite l’offerta di cibo. Ho vissuto quest’esperienza, che ignoravo, quando è morto mio padre e ne parlo nel libro, anche in modo (spero) divertente alleggerendo un po’ il racconto. Ma per me il consolo, nel senso più etimologico, è soprattutto la consolazione che ho provato tramite la scrittura e che spero possa arrivare a chi mi leggerà. 


L’aborto terapeutico è il tema centrale de Il consolo. «Se devi partorire un figlio sano puoi andare al primo piano, se devi abortire ti nascondono in cantina». Obiettori di coscienza, strutture inadatte, mancanza totale di supporto e informazioni. Quali sono le vie per valicare la responsabile inidoneità della sanità?

Credo che l’unico modo sia testimoniare la propria esperienza e fare rete ‘dal basso’. Nel nostro paese circa l’80% dei sanitari (ginecologi, anestesisti, infermieri) è obiettore di coscienza. Al di là delle statistiche, io stessa non capivo cosa significassero questi numeri sul piano concreto. È proprio dal mio sgomento, dalla mia rabbia, che parte l’idea di raccontare la mia storia.
Nel 2016, con mio marito, decidiamo di avere un terzo figlio, ma l’ecografia della dodicesima settimana rivela una patologia del feto incompatibile con la vita. Seppure con immenso dolore, abbiamo deciso di avvalerci della legge 194 e di interrompere la gravidanza il prima possibile per risparmiare sofferenze inutili al bambino ed evitare complicanze alla mia salute. Ma presto mi sono scontrata contro l’obiezione di coscienza, che è qualcosa di molto subdolo: quando ho detto al medico che mi aveva seguita nelle gravidanze andate bene che volevo interrompere, non mi ha detto «guarda io sono eticamente contraria ma puoi rivolgerti a qualcun altro». Mi ha consigliato di aspettare almeno un mese prima di decidere, poi quando ha capito che ero decisa ad andare avanti è completamente sparita. Come lei, altri sanitari di un importante ospedale romano mi hanno mandata via in malo modo senza darmi nessun tipo di indicazione.


L'aborto indotto è fonte di cospicui discussioni, polemiche e attivismo. Gruppi pro-life e gruppi pro-choice si concentrano sulla legalità dell’aborto e sulle eventuali leggi che lo possano limitare, nonché sulla liceità morale. Quali riverberi ha ottenuto la sua riflessione, tra l’altro scaturita da un’esperienza personale, rispetto al dito spesso censorio della società?

Esiste un vero e proprio tabù sull’aborto terapeutico, accade a migliaia di donne ogni anno ma nessuno ne parla. Io stessa sto facendo molta fatica a promuovere il mio libro perché molti giornalisti si rifiutano di affrontare il tema. Personalmente non mi aspetto che tutti condividano la mia scelta, come io stessa rispetto chi ha agito diversamente. Per me l’aborto terapeutico è stato un vero atto d’amore nei confronti di tutti i miei bambini, a cominciare da quello che non è mai nato. Vorrei che la mia scelta, se non condivisa, venga almeno rispettata, invece non è affatto così. Ho deciso di raccontare la mia storia per questo motivo, quando nel giugno del 2018 ho letto un’intervista al Papa in cui paragonava le donne che hanno ricorso all’aborto terapeutico ai criminali nazisti. Mi sono detta che se sapesse cosa significa veramente compiere quella scelta mi avrebbe chiesto scusa.


Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. Oggidì, il corpo messo al centro del dibattito nella società contemporanea è quello muliebre. Quali forze diverse e in contrapposizione si combattono su questo campo?

Quando il corpo femminile non è presentato come un oggetto sessuale fa paura, se non addirittura ribrezzo. Per questo è stato importante per me raccontare da un punto di vista ‘carnale’ cosa succede a questo corpo, non solo per quanto riguarda l’aborto. Penso che parlare di cosa succede alle donne anche dal punto di vista fisico sia molto importante perché spesso gli uomini non sanno niente a riguardo. Quando parliamo di aborto ci concentriamo soprattutto sugli aspetti morali ma l’aborto è qualcosa di molto concreto. È ciò che ho cercato di fare io nel mio racconto ma che ritroviamo anche nel romanzo l’Evento di Annie Ernaux e nel suo adattamento cinematografico. La scelta di Anne che ha vinto il Leone d’oro quest’anno.


L’aborto è una scelta, comunque, irreversibile. Come si affronta il lutto?

È irreversibile ma, per quanto dolorosa e devastante, io non mi sono mai pentita della mia scelta. Quando si decide di avere un figlio non si è solo responsabili della sua vita, ma anche della qualità della sua vita. E il mio bambino non sarebbe mai stato felice. La cosa più dolorosa è stata non averne potuto parlare ed essere stata trattata in malo modo dai sanitari che mi avrebbero dovuta aiutare. Ho superato il lutto raccontando la mia storia, scrivendo questo libro, e ora attraverso i numerosi messaggi di solidarietà che mi arrivano da donne che hanno vissuto esperienze simili e che si sono ritrovate nelle mie parole. 


La scrittura contemporanea può annoverare letterate illuminate, vere pioniere quanto a innovazione e rispetto della tradizione. Qual è l’attuale status della letteratura esperìta da donne?

Credo che le autrici abbiano una grande responsabilità nel momento storico attuale. Assistiamo, infatti, a importanti dibattiti in cui il femminile è al centro di diverse istanze. In particolare, credo che stiamo dando vita a un femminismo rinnovato in cui non esiste un solo modello di donna, ma tanti modi di affermare i propri diritti purché sia nel rispetto, nella libera scelta e nell’autodeterminazione delle donne. Soprattutto è importante riappropriarsi della narrazione del corpo femminile, inteso non come oggetto sessuale del maschio, ma corpo umano del quale svelare tabù e misteri arcaici.


Le scrittrici sono e sono state sensibili a diverse ideologie, visioni del mondo, sensibilità politiche e filosofiche; personalità diverse tra loro e spesso assolutamente inconciliabili. Riesce a scorgere un fil rouge che annoda le plurime e molteplici anime della letteratura declinata al femminile?

Fino a non molto tempo fa, scrivere per una donna era un atto di ribellione. Forse è proprio questo che accomuna le scrittrici. Attraverso la loro scrittura compiono un atto rivoluzionario. Benché in epoche, contesti e culture diversissimi, autrici come George Sand, Colette, Simone De Beauvoir, Virginia Woolf, Elsa Morante o Oriana Fallaci si sono battute perché la loro voce avesse diritto di cittadinanza nel dibattito culturale. Le loro opere non hanno solo permesso l’affermarsi dei diritti delle donne, ma hanno anche portato uno sguardo unico e inedito sul mondo maschile che è primordiale per la società tutta.







A cura di Giusy Capone e Afrodita Cionchin
(n. 3, marzo 2022, anno XII)