Intervista all’artista Nicola De Luca, a cura di Maurizio Vitiello Sin da piccolo Nicola De Luca scopre quella che è una sua dote innata: riprodurre perfettamente ciò che l'occhio vede. Questa sua capacità lo porta a intraprendere gli studi presso il Liceo Artistico di Reggio Calabria. La mia passione per il disegno e la pittura è iniziata durante la scuola media. Disegnavo in continuazione, tanto che il preside chiamò i miei genitori per convincerli a iscrivermi al Liceo Artistico. In quel periodo l’unico Istituto della Calabria era il Mattia Preti di Reggio. I miei genitori, facendo molti sacrifici, hanno assecondato questa mia passione facendomi studiare in questa scuola dove ho avuto la fortuna di avere come docente di figura disegnata Leo Pellicanò, bravissimo artista figurativo, scomparso prematuramente. Conseguito il diploma mi sono iscritto alla Facoltà di Architettura di Napoli. In quegli anni ho iniziato a interessarmi anche di fotografia e di illuminazione di scena in una piccola compagnia teatrale. Conseguita la laurea mi sono ritirato nel mio paese natale. Da allora esercito la professione di architetto affiancata a un’intensa produzione grafica e pittorica di carattere figurativo. Per alcuni anni mi sono dedicato all’insegnamento del disegno presso Scuole Superiori e presso l’Accademia di Belle Arti. Puoi definire e sintetizzare i desideri iniziali? Non ho avuto particolari desideri iniziali. La mia è stata ed è una pura passione, che mi ha dato e continua a darmi tante soddisfazioni. Puoi segnalare i sentieri operativi che avevi intenzione di seguire e indicare quelli, effettivamente, seguiti? Dal punto di vista artistico non ho mai voluto programmare la mia carriera, cosa che ho costruito mattone su mattone. Certo avrei potuto fare di più, raggiungere altri traguardi, ma mi accontento di quanto ho fatto e sto facendo. Quando c’è stato in te la voglia di «produrre arte»? Ho fatto arte solo per passione e per divertimento sin da bambino. Dai primi anni ‘90 ho iniziato a esporre e a farmi conoscere. Quando è iniziata la voglia di affrontare l’ambiente artistico? È sempre nei primi anni ‘90 che ho iniziato a confrontarmi con l’ambiente artistico. Mi puoi indicare gli artisti bravi che hai conosciuto e con cui hai operato, eventualmente «a quattro mani»? Mi sono sempre confrontato con vari artisti, ma ho solo collaborato con una mia allieva producendo una serie di opere a quattro mani, tra il 2013 e il 2016. Quali piste e tracce di maestri della pittura e della scultura hai seguito? Sono tanti gli artisti che ho seguito, ma ad influenzare la mia arte è stato Raffaello, i prearaffaelliti, l’arte classica, ma anche Pollock. Quali sono le tue personali da ricordare? Ricordo tutte le mie personali con piacere, perché sono sempre un momento di confronto diretto con i visitatori, ma se ne devo citare una è quella degli Antichi Chiostri di Torino del 2011; lo spazio si affaccia sulla centralissima Via Garibaldi e la mostra è stata visitata da decine di migliaia di persone. Ora, puoi specificare, segnalare e motivare la gestazione e l’esito delle esposizioni tra collettive e rassegne importanti a cui hai partecipato? Come detto prima, per me ogni opera e ogni esposizione è un tassello della mia carriera artistica. Puoi definire i temi che hai trattato? I temi che ho trattato partono dalla mitologia alla condizione femminile sino alla donna eroina. Ma dentro c’è la tua percezione del mondo, forse, ma quanto e perché? Non ho mai pensato a questo, ma forse è vero, sono i misteri di un mondo e non del mondo. L’Europa è sorgiva per gli artisti dei vari segmenti? Le «vetrine ombelicali» parigina, londinese e quella milanese cosa offrono adesso? Non saprei. Pensi di avere una visibilità congrua? No, ma va bene così. Quanti «addetti ai lavori» ti seguono come artista? Sono un solitario, gli addetti ai lavori che mi seguono a volte ci sono, ma il rapporto dura poco. Quali linee operative pensi di tracciare nell’immediato futuro nel campo della tua produzione? Sarà un’indagine tra le donne del coraggio. Pensi che sia difficile riuscire a penetrare le frontiere dell’arte? Quanti, secondo te, riescono a saper «leggere» l’arte contemporanea e a districarsi tra le «mistificazioni« e le «provocazioni»? Io credo in una lettura emozionale dell’arte, che riesca a penetrare in più cervelli possibili e che sia di tutti e non per pochi come pretendono alcuni critici. I «social» t’appoggiano, ne fai uso? Sì, in alcuni momenti mi hanno aiutato tanto. Con chi ti farebbe piacere collaborare tra critico, artista, gallerista, art-promoter per metter su una mostra? Sicuramente il critico, anche perché ammiro molto questa professione, essenziale per l’arte. Naturalmente quando le scelte non riguardano solo una condizione di rendiconto. Hai mai pensato di metter su una rassegna estesa di artisti collimanti con la tua ultima produzione? Sì, sarebbe un’esperienza interessante. Perché il pubblico dovrebbe ricordarsi dei tuoi diversi impegni? Ho continue conferme di visitatori di mostre che si ricordano di me, ricevo messaggi e telefonate in continuazione. È importante la riconoscibilità, vuol dire che qualcosa ho potuto comunicare. Pensi che sia giusto avvicinare i giovani e presentare l’arte in ambito scolastico, accademico, universitario e con quali metodi educativi esemplari? La scuola, dal punto di vista artistico, è stata abbandonata dalle istituzioni. Bisogna perciò attivarsi con altre iniziative per portare l’arte nella sfera di interesse dei giovani. Prossime mosse, a Catanzaro, Cosenza, Roma, Milano, Londra, Parigi, New York ...? A Catanzaro i miei lavori sono stati in mostra con una personale, prorogata di oltre un mese, alla galleria MoDà, perciò, per il momento di esporre in questa città non se ne parla. Ho le idee chiare per il futuro, ma preferisco parlarne quando le cose diverranno certe. Che futuro prevedi nell’immediato post-Covid-19 e nel post-conflitto Russia-Ucraina? Ora c’è un po' di entusiasmo per la ripresa post-Covid, ma presto si tornerà nella normalità come sempre. La guerra in Ucraina, secondo me, non sta influenzando la produzione artistica. Il dopo? Ma ci sarà un dopo? A essere ottimisti, nell’arte del post-conflitto non cambierà nulla.
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