|
|
«Cioran, il mistico dell’era Post-Dio». Dialogo con Mirko Integlia su «Tormented by God» (parte III)
In questa ultima parte dell’intervista con Mirko Integlia, autore del libro Tormented by God: The Mystical Nihilism of Emil Cioran (Libreria Editrice Vaticano, 2019), la conversazione gira intorno a temi quali il carattere catartico (e terapeutico) della lettura di questo King of Pessimists, come lo definì la rivista «Times», il tormento del fantasma di Dio, questa «presenza nascosta» negli scritti di Cioran, il Trăirism, il movimento Criterion e la posizione di Cioran come un anticipatore dell’esistenzialismo francese, il rapporto – oppure la distinzione – tra fede e volontà di credere, la controversia intorno ai concetti di soteriologia e asoteriologia in quanto possibili descrittori del pensiero del filosofo nato a Răşinari.
Rodrigo Menezes: Se c’è un punto da cui Cioran più si discosta da Nietzsche e si avvicina a Schopenhauer è quello che riguarda l’atteggiamento nei confronti di ciò che possiamo chiamare l’etica della compassione, una delle espressioni dell’etica negativa: al pari della saggezza del Sileno, ne La nascita della tragedia, non essere è preferibile a essere. Ora, Cioran è un ibrido, a metà strada fra il pessimismo di Schopenhauer e il tragicismo di Nietzsche; non essendo né schopenhaueriano né nietzschiano [1], bensì cioraniano: in gioventù, un discepolo infatuato dalle sante e nella maturità, discepolo di sé stesso [2]. In Cartea amăgirilor, il giovane nichilista mistico concepisce «un’etica del sacrificio» [3], cioè un’etica negativa che si costituisce sulla missione di espiare la sofferenza inconsapevole dell’umanità. Questa «etica del sacrificio» si trova all’origine di questo aforisma: «La mia missione è di soffrire per tutti coloro che soffrono senza saperlo. Devo pagare per loro, espiare la loro incoscienza, la fortuna che hanno di ignorare fino a che punto siano infelici.» [4] In Cartea amăgirilor, troviamo anche qualcosa che non si troverà in nessun’altra parte dell’opera di Cioran: l’esortazione ai «fratelli» nella disperazione. Amore e odio, estasi e orrore si mescolano nella scrittura di questo che non crede nella veracità dei sentimenti puri. Come si spiega lei il fatto, attestato da tanti lettori, che la lettura di questo King of Pessimists [5] sia consolante, liberatrice, alcuni direbbero addirittura «salvifica» [6], mentre tutto nel suo pensiero sembra contrario all’idea medesima di consolazione, liberazione, salvezza?
Mirko Integlia: È sicuramente possibile tracciare tutto un percorso filosofico di demistificazione dei sentimenti puri, e i suoi riferimenti ad alcuni autori sono molto puntuali. Ed è altrettanto possibile collocare Cioran nel novero di quei pensatori e moralisti che hanno invocato a gran voce la dimensione originaria dei sentimenti negativi, come impulsi costitutivi dell’essere umano. In questo senso, scalzare tutto ciò che è pregiudizio e consolazione, ha certamente un carattere liberatorio, perché si salva solo chi giunge alla verità delle cose, seppur scomoda o scabrosa. Io aggiungerei anche la nozione kierkergaardiana di «spiritualità»: cioè non c’è autentica spiritualità umana se si nasconde il fatto che il «negativo» ci costituisce, che sia l’angoscia, la disperazione o il nulla. Forse occorrerebbe solo un’avvertenza generale: l’attestazione del negativo in conseguenza di una demistificazione del finto positivo avviene sul piano del pensiero, e su questo piano è opportuno rimanere, al fine di coglierne bene i presupposti e le sfumature, poiché un fraintendimento di questa nozione ha sempre effetti nefasti.
Potrebbe meravigliare il lettore che in questa solidarietà con i «dannati» delusi da Dio, Cioran tocca e si avvicina alle vette della mistica cristiana (non è un caso che le vite dei Santi siano state da lui «divorate»). La giovane mistica Teresa di Lisieux, morta a 24 anni, affermava di voler offrire a Dio l’oscurità in cui viveva la sua anima – sentire Dio lontano e assente – perché grazie a essa si sentiva in comunione con tutti coloro che non trovano Dio.
In Cioran troviamo trascritta in linguaggio filosofico e non confessionale – questo è un aspetto davvero affascinante che andrebbe approfondito – l’esperienza che nella storia della mistica è conosciuta come la Notte oscura dell’anima (titolo del famoso testo del mistico spagnolo Giovanni della Croce).
R.M.: Secondo il filosofo inglese John Gray [7], il primato della ragione e il trionfo dello scientismo sarebbero favorabili a una riabilitazione moderna e secolare dell’antica Gnosi. Che il materialismo diventi una nuova «fede», oppure una nuova metafisica di spiegazione globale della realtà, sarebbe una conferma del ritorno della fantasia gnostica nella modernità: la speranza della redenzione per la scienza [8] in quanto conoscenza sperimentale e strumentale del mondo naturale. Seguendo una certa linea di pensiero (penso ad esempio a Eric Voegelin), tutta la Modernità sarebbe gnostica. Questa paranoia cospiratoria dell’ubiquità dello gnosticismo nella modernità farebbe sorridere Ion Culianu [9]. Un’altra visione, opposta a quella di Voegelin, è quella di Hans Blumenberg, che, secondo Volpi, «[…] prese le difese della modernità, sostenendo che essa non è tanto la secolarizzazione del cristianesimo, bensì il processo dell’affermazione autonoma dell’uomo nel mondo. Con la sua assolutizzazione della dimensione terrena la modernità nega il dualismo gnostico, ancora presente nella speculazione teologica tardomedievale che separa radicalmente Dio e mondo. La modernità, dunque, non è il trionfo, ma la seconda, definitiva sconfitta della gnosi (cfr. Faber, 1984; Taubes, 1984).» [10]
Ossia, la Modernità non è più «gnostica» di antignostica, agnostica. La «morte di Dio» vale persino per lo gnosticismo. Questa ambivalenza così ironica non si fa altrettanto presente in Cioran? La contradizione fra tendenze gnostiche e antignostiche – ad esempio la postulazione di un funesto demiurgo e l’affermazione della fede come singola via verso Dio, la difesa dell’ignoranza e la concezione della conoscenza malsana, la lucidità come liberazione e maledizione allo stesso tempo… Ancora secondo Volpi, l’opera di Heidegger fornisce un paradosso che è lo stesso di una parte significativa del pensiero contemporaneo. «Si tratta del fatto che in essa sembrano toccarsi e convivere due estremi incompatibili: un nichilismo radicale, da un lato, e l’abbandono alla visione ispirata, se non al misticismo, dall’altro.» [11] Lei non riconosce lo stesso paradosso in Cioran? Non sarebbe lui tanto più antignostico quanto più sembra essere una specie di «neognostico»? [12]
M.I.: Ecco, credo che l’interesse nei confronti di Cioran sia dato dall’insieme di tutte queste cose, dal suo essere un caso esemplare di quel paradosso di cui parla proprio Franco Volpi. In fin dei conti, noi siamo al culmine della disperazione, proprio perché abbiamo subìto il trauma della scoperta di una ragione e di una libertà insufficienti. Non penso di essere molto lontano dal vero, se dico che l’opera di Cioran è l’ipostasi del pensiero contemporaneo, in cui lo sguardo sull’assurdo finisce per fissare un doppio volto: da una parte la radicalità di un nulla prima della vita, nella vita e oltre la vita, dall’altra il ripresentarsi prepotente di una questione religiosa, sotto forma di misticismo o simili, nel senso della ricerca di uno strumento che riesca a dare a una consistenza visibile a questo fantasma di Dio di cui parla in maniera così suggestiva Guardini, ma mi piace ricordare anche la “presenza nascosta” di Bernhard Welte. L’interrogazione solitaria della scrittura cioraniana può sicuramente rappresentare uno di questi strumenti.
R.M.: Lei afferma, seguendo Robert Wicks, che Cioran può e deve essere riconosciuto come un esistenzialista avant la lettre, come un «forerunner» dell’esistenzialismo francese [13]. Secondo José Thomaz Brum, filosofo brasiliano, amico di Cioran e traduttore dei suoi libri, «[…] la filosofia esistenziale di Cioran non deve confondersi con la “seconda generazione esistenziale” (Heidegger, Sartre, Camus), ma con quei “pensatori privati” (Nietzsche, Dostoievski, Chestov) che cercano di conservare nell’uomo la kierkegaardiana “sincope della libertà”, l’angoscia che non deve esser risolta da nessun ideale, col rischio di perdere la più grande ricchezza umana: il suo rifiuto di tutto ciò che pretende di placare l’abisso interiore da qualsiasi falsa consolazione o trascendenza.» [14]
Se ammettiamo l’affidabilità di questa interpretazione, non sarebbe problematico vincolare Cioran all’esistenzialismo francese? Non apparterrebbe a questa tradizione di «pensiero umiliato» di cui parla Camus nel Mito di Sisifo? Il suo pensiero esistenziale non è un umanesimo e un ateismo inequivoco, nemmeno un esistenzialismo cristiano, come nel caso di Kierkegaard. Peter Sloterdijk caratterizza il pensiero di Cioran come un «inesistenzialismo» alle frontiere dell’Europa e dell’Asia [15]. Come concepisce la dimensione esistenziale del pensiero di Cioran nei confronti di tutto ciò che va al di là dell’esistenziale, del temporale, dello storico?
M.I.: Le perplessità che lei esprime in riferimento a un Cioran esistenzialista, mi impongono di ricordare il perché di questo collegamento, che nasce prendendo spunto da una voce sicuramente più autorevole della mia. In una breve nota del saggio Il segreto interdetto. Eliade, Cioran e Ionesco sulla scena comunitaria dell’esilio, Giovanni Rotiroti, citando le Memorie di Eliade, accenna en passant al fatto che per lo storico delle religioni furono solo i limiti espressivi e comunicativi della lingua rumena a impedire all’associazione Criterion di essere considerata un movimento culturale anticipatore dell’Esistenzialismo francese. Sin da subito, mi è sembrato necessario approfondire questa considerazione dello storico delle religioni, indubbiamente uno dei maggiori protagonisti culturali dell’epoca. Anche perché in un altro saggio, Tempo e destino nel pensiero di E. M. Cioran, Renzo Rubinelli parla esplicitamente di un esistenzialismo rumeno riferendosi al clima culturale della Bucarest a cavallo tra gli anni Venti e Trenta, dove intellettuali come Mircea Eliade, Eugène Ionesco, Costantin Noica, Mircea Vulcănescu e lo stesso Cioran si raccoglievano attorno alla figura del professore Nae Ionescu. Gli stessi elementi irrazionalistici del Trairismo sarebbero derivati dall’Esistenzialismo tedesco, in particolare dal filosofo e psicologo Ludwig Klages e dallo storico e filosofo Friedrich Meinecke. Seguendo l’intuizione di Eliade, ho cercato di dare sostanza a questa interessante chiave interpretativa partendo dal testo di Al culmine, che da questo punto di vista rappresenta una prima, e precoce, “catalogazione” dei temi cari all’esistenzialismo alla francese. Mi sento di dire che il confronto di quest’opera con i testi principali di Sartre e Camus, ha confermato la fondatezza dell’intuizione di Eliade, cioè che per ragioni da approfondire ulteriormente, un movimento essenzialmente studentesco di una periferia geografica e culturale, attraverso alcuni dei suoi giovani più talentuosi, riuscì a «formalizzare» prima di altri gli elementi salienti del clima culturale europeo e mitteleuropeo.
R.M.: Nei Sillogismi Cioran ci fornisce una pista verso il suo nichilismo sui generis: «Satires et soupires me semblent également valables. Que j’ouvre un pamphlet ou un “Ars moriendi”, tout y est vrai… Avec la désinvolture de la pitié, je m’étends sur les vérités et me confonds avec les mots. “Tu seras objectif !” – malédiction du nihiliste qui croit à tout». [16] È proprio il nichilismo di colui che ha troppo riflesso sulle cose (la vita, la morte, il tempo, l’eternità, la sofferenza e il male), e risulta impossibile possederne un sentimento definito, un’idea precisa. È proprio in questo senso, di un nichilismo accogliente ed eclettico per mancanza di certezze [17] che, penso, il nichilismo e la mistica si avvicinano in Cioran. Non sarebbe la presunta misantropia di Cioran l’espressione di un’etica negativa del sacrificio per gli uomini, contro di loro [18]? Potremmo sostenere che ciò che gli mancava non era un presunto «organo», bensì l’ormone della fede: Cioran aveva l’ormone della volontà di credere [19], forse abbastanza, però anche aveva quello della negazione, e anche quello del dubbio. Sono, per così dire, ormoni antagonistici, contrastanti, conflittuali… Possedere la fede senza saperlo, persino senza desiderarlo, è possibile? Vorrei citare le parole del padre francese Marie-Dominique Molinié [20] (1918-2002) – nel cui monastero Cioran fece una sorta di ritiro spirituale durante i suoi primi anni in Francia, e con cui mantenne una amichevole corrispondenza epistolare. Il padre dominicano racconta, al termine di una lettera inviata a Cioran, che «mi sono permesso di leggere la tua lettera a un fratello qui. Mi ha semplicemente detto: “Questo tizio è salvo” [ce type-là est sauvé]». [21]
M.I.: Guardi, l’obiettivo della mia ricerca è stato proprio questo, chiarire, o perlomeno cercare di chiarire in un senso più appropriato, il nichilismo di Cioran. Osservando da vicino alcune dinamiche ed evoluzioni presenti nel complesso della sua produzione letteraria, l’ipotesi di lavoro iniziale era stata la seguente: da una parte un evidente itinerarium in absurdum con la mediazione di coloriture di stampo esistenzialistico; dall’altra un desiderio nostalgico di fusione con un nulla posto al di là della nascita, i cui accenti mistico-religiosi meritavano di essere approfonditi secondo la chiave di lettura della filosofia della religione.
Questo primo sguardo di insieme generale mi ha portato a rileggere il nichilismo secondo tre angolature che mettessero in evidenza un legame diretto con una specifica «questione religiosa»: come rielaborazione dei miti delle origini, evidenziando il forte influsso che le eresie cristiane di natura gnostico-dualista esercitarono su di lui; una tendenza alla speculazione mistico-religiosa che si configura come una sorta di religione del nulla (il teologo e scrittore Romano Guardini descrive questo nulla come «il luogo che attraverso la negazione del divino diviene vuoto: è il «fantasma di Dio» […]»); un’analisi testuale dell’esperienza religiosa nei Quaderni.
Anche in questo caso, tuttavia, ho cercato di non trascurare l’esistenza di questione religiosa in termini storico-culturali, relativamente al misticismo politico e all’antisemitismo nella Romania interbellica.
In termini più generali, credo che Cioran abbia evidenziato e drammatizzato nei suoi scritti alcune connessioni dell’esperienza religiosa che negli ultimi anni sono stati oggetto di particolari e interessanti riflessioni nell’ambito della filosofia della religione. La connessione, ad esempio, dell’esperienza religiosa con lo scetticismo, il nulla, e il vuoto.
Tali connessioni sono, ad esempio, presenti nel pensiero del filosofo americano John Schellenberg nel suo saggio Lo scetticismo come inizio della religione.
Vale la pena ricordare quanto categorie come vuoto e nulla — così centrali nella riflessione di Cioran — siano poi diventate fondamentali nel dialogo contemporaneo, filosofico e teologico, tra esperienze religiose occidentali e orientali. Mi riferisco in particolar modo al filosofo buddista zen Keiji Nishitani, esponente storico della Scuola di Kyoto.
Speravo che lei mi facesse prima o poi questa domanda: «Possedere la fede senza saperlo, persino senza desiderarlo – è possibile?». Lei pone una importante questione della lettura di Cioran nella prospettiva teologica e della filosofia della religione. Io sono convinto di quanto segue. Se consideriamo la fede come affermazione dell’esistenza di un Dio personale o adesione a un credo religioso specifico, bisogna risolutamente affermare l’ateismo di Cioran.
Ma se per fede intendiamo con William James e Miguel de Unamuno la «volontà di credere» e il «desiderio» che ci sia un Dio e ci salvi, io ho l’audacia di affermare che con Cioran siamo in presenza di una delle prime formulazioni mistiche del tempo Post-Dio.
R.M.: Due atteggiamenti cioraniani che sembrano essere abbastanza antignostici: l’affermazione della fede come unica via di accesso a Dio [22], e la concezione negativa della conoscenza come qualcosa fondamentalmente malsana, «luciferina». Lucidità e disperazione sono praticamente sinonimi secondo lui. Sola fide, sembra pensare questo gnostico involontario e paradossale: antignostico. Quello che gli manca è credere che crede, più o meno come Stavroguin. Lei sostiene che il pensiero di Cioran, essendo di carattere radicalmente dualista e «anti-cosmico», è pertanto risolutamente non-escatologico [23]. Come concepisce il dualismo di Cioran? È un dualismo radicale? Mitigato? Dietro la postulazione dell’impurità come «unico segno di realtà» [24], non si nasconde un profondo desiderio (frustrato, contrariato, disilluso) di purità (da cui un certo angelismo cioraniano [25])?
M.I.: La scissione tra naturale e spirituale, quindi l’origine della coscienza, è indubbiamente un primo dualismo da tenere in considerazione. «L’uomo pensante comincia con la caduta» scrive Cioran, mentre prima della disobbedienza, Adamo era un «cretino totale». Giuseppe Rensi sostiene che il peccato originale non è nient’altro che la «pazzia» dell’uomo spirituale, che attraverso la ragione si è separato dalla natura e vi si è opposto. Questa riflessione del filosofo italiano mi sembra particolarmente adatta per indicare un aspetto che è presente in maniera costante nella produzione cioraniana. Mi riferisco alla volontà di liberarsi della coscienza, ossia di un io che pensa e che, riflettendo, produce conoscenza, quindi sofferenza, dal momento che la realtà pensata, ritornando a Rensi, è sempre cattiva. Ecco perché in Cioran troviamo la tortura dell’insonnia, come esercizio interminabile di una coscienza lucida, la cui attività può essere interrotta solo dal sollievo del sonno. Oppure dalla riduzione dell’io al nulla, secondo il percorso del Buddhismo come misticismo tracciato dal teologo olandese Gerardus van der Leeuw. Lei ha citato La caduta nel tempo, io vorrei ricordare la disperazione come malattia della coscienza, che per Kierkegaard distingue l’uomo dall’animale più dell’andatura eretta. A mio parere, l’interesse di Cioran per il pensiero eretico, questa sua «parentela spirituale», dipende proprio da questo desiderio di annihilatio della coscienza per liberarsi dal peso della propria individualità. Ciò si manifesta in continuo disprezzo della nascita, evento nefasto in cui si subisce la separazione da uno stadio di beatitudine atemporale, e si è gettati in un mondo «fallato», a causa di qualcosa che non ha funzionato nel meccanismo della creazione.
R.M.: Secondo Joseph Acquisto, il lavoro di scrittori e pensatori quali Baudelaire, Cioran e Fondane, tra gli altri, potrebbe essere concepito come un tentativo prolungato di trarre tutte le conseguenze del passaggio al pensiero «asoteriologico»: «Ripensare la salvezza significa in definitiva ripensare la questione della fine, poiché la logica della redenzione è concepita in un senso lineare del tempo e in un senso di progressione da una caduta verso una redenzione.» [26] Lei è d’accordo che il pensiero di Cioran sia asoteriologico? Oppure possiamo individuare nella sua opera tutta una teoria della liberazione (délivrance in francese)? Penso, ad esempio, nei due saggi del Funesto demiurgo, «Paleontologia» e «Il non-liberato», dove troviamo tutta una teoria della liberazione per il vuoto, o la vacuità, dunque una concezione orientale, non-teista (d’influenza buddhista), della liberazione…
M.I.: Io non trascurerei il carattere «istrionico» degli itinerari meditativi cioraniani, di cui il mio riferimento precedente a una scrittura «rischiosa» era un aspetto. Cioran conduce il lettore a seguirlo in un percorso che quasi sempre coincide con un vertice di problematizzazione. Su questo limite estremo, a un certo punto, chi legge sembra intravedere un’apertura, una svolta positiva, una possibile «salvezza», ma è solo un’illusione, probabilmente un artificio retorico, perché Cioran rilancia ulteriormente, lasciandoci saltellare da un aforisma all’altro, alla disperata ricerca di una risposta definitiva che è sempre sfuggente, posticipata all’infinito. Perché Cioran non ha paura di una risposta multiforme, autocontraddittoria, questo dipende in un certo qual modo dall’uso «strumentale» che egli fa delle concezioni religiose, giusto per riallacciarmi alla sua domanda. Infatti, ogni qualvolta nelle sue disparate letture, Cioran incrocia un pensiero religioso e ne trasferisce la rielaborazione nei suoi scritti, alla base troviamo l’urgenza di approfondire un’affinità intellettuale, e mai l’approssimarsi di una conversione conseguente al fatto di aver trovato finalmente la «verità». In realtà, si tratta di un tentativo del pensatore transilvano di «appropriarsi» di categorie interpretative che, all’infuori del razionalismo, siano in grado di fornirgli strumenti di teorizzazione nel campo di una scrittura che tende al filosofico. Questo vale tanto per le sette gnostiche come per le filosofie orientali.
R.M.: C’è un libro di Cioran da lei prediletto? Alcuni aforismi che le sono cari, e che può citare a memoria?
M.I.: Quello che è sul mio comodino, lacerato da annotazioni continue: i Quaderni. L’aforisma che ricordo spesso – quasi come una preghiera – e nel quale a mio parere c’è tutta l’anima Cioran, è il seguente: «A volte si ha voglia di gridare a tutti i defunti dèi: Abbiate pietà di noi, cercate di tornare a esistere» (Quaderni, 654).
Mi consenta però di citare per il lettore – non a memoria – un passo di Cioran che ritengo espressione sublime di questa mistica post-Dio. Infatti, se potessi dare un titolo a questa sua intervista esso sarebbe: Cioran, il mistico dell’era Post-Dio.
La citazione è la seguente: «Mio Dio, riversa della musica nel tuo universo! Non ci abbandonare in preda al mutismo in cui cova il tedio della materia. Dissemina la quiete dello spazio di accordi senza fine, affinché si uniscano al silenzio. Da’ voce alla luce e alla sua indifferenza, turba il riposo degli elementi, diffondi sulle distese assenti il soffio sonoro che intreccia le nostre esitanti vibrazioni. (…) Perché non hai impregnato di suoni effimeri le campagne e i mari? Perché non hai invaso le pianure di lamenti opprimenti? La musica ci avrebbe allora resi ciechi e, facendoci dimenticare i paesaggi del dolore, avrebbe avvolto di canti la nostra amarezza. Perché il tempo non ha voce, perché non canta?» (Breviario dei vinti II, 25).
R.M.: Per concludere, perché leggere Cioran oggi? Qual è la sua importanza in quanto filosofo, pensatore, scrittore?
M.I.: Credo che attraverso la sua prosa filosofica, questa mi sembra la definizione più appropriata, ed ereditando tutta una tradizione di pensiero precedente, Cioran ha prodotto un’importante opera di mediazione, rielaborazione e, in alcuni casi di anticipazione, di alcuni temi cruciali del Novecento. Questa importante testimonianza acquista ancor più valore se si considera la precocità nell’elaborazione del pensiero, la sua natura atipica di intellettuale e filosofo, non essendo egli mai stato un cattedratico. Esulano dalle mie competenze, ma non trascurerei, pensando al valore di Cioran, gli aspetti linguistici della sua opera, avendo lui scritto in una lingua diversa da quella di origine.
Cioran, in particolare, è sublime interprete del tempo post-Dio connotato da una sorta di «dannazione soteriologica»: egli non ha aderito a nessuna speranza trascendente ma, allo stesso tempo, ha respinto come illusorie tutte quelle intra-mondane. La lettura di questo pensatore da voce agli spiriti inquieti del nostro tempo che si sentono «stranieri» in questo mondo e che preferiscono bere al calice amaro della «lucidità».
Intervista realizzata da Rodrigo Inácio R. Sá Menezes
(n. 2, febbraio 2020, anno X)
NOTE
[1] «M-ar stingheri să fiu numit discipol al lui Schopenhauer sau al lui Nietzsche ; dar oare mi-aş putea stăpîni bucuria cînd m-ar chema discipolul sfintelor?» CIORAN, Emil, Cartea amăgirilor. Bucureşti: Humanitas, 1991, p. 211. « Cela me gênerait d’être nommé disciple de Schopenhauer ou de Nietzsche; mais pourrais-je contenir ma joie d’être appelé disciple des saints ? » CIORAN, Emil, Le livre deus leurres, in Œuvres. Trad. de Alain Grazyna Klewek et Thomaz Bazin. Paris : Gallimard, 995, p. 268.
[2] «J’ai cherché en moi mon propre modèle. Pour ce qui est de l’imiter, je m’en suis remis à la dialectique de l’indolence. Il est tellement plus agréable de ne pas se réussir!» IDEM, Syllogismes de l’amertume, in Œuvres, p. 766.
[3] «Este o prostie să se afirme că viaţa ne este dată ca să o trăim ; ea ne e dată ca să o sacrificăm, adică să scoatem din ea mai mult decit permit condiţiile ei fireşti. Nu există altă etică în afară de etica sacrificiului». IDEM, Cartea amăgirilor, p. 63. «Il est stupide d’affirmer que la vie nous est donnée pour être vécue ; elle l’est pour être sacrifiée, c’est-à-dire pour en extraire plus que ne le permettent ses conditions naturelles. Il n’y a pas d’autre éthique hormis l’éthique du sacrifice». IDEM, Le livre des leurres, in Œuvres, p. 155.
[4] CIORAN, E.M., L’inconveniente di essere nati. Trad. it. di Luigia Zilli. Milano: Adelphi, 2014, p. 177.
[5] Books: The King of Pessimists, «Time», 7 dicembre 1970.
[6] JACCARD, Roland, Portrait de Cioran. Comment Cioran m’a sauvé la vie, «Alkemie – Revue Semestrielle de Littérature et Philosophie», n. 6, décembre 2010. Disponibile in : <http://www.revue-alkemie.com/pdf/Revue_de_litterature_et_philosophie_Alkemie_n6_(Cioran).pdf>.
[7] Cfr. GRAY, John. The Soul of the Marionette. A Short Inquiry into Human Freedom, London: Penguin Books, 2016.
[8] In quanto episteme, la scienza equivarrebbe a ciò che Lucian Blaga concepisce in termini di una conoscenza paradisiaca (cunoaşterea paradiziacă), il cui soggetto si identifica, per una sorta di familiarità razionale, coll’oggetto a conoscere, in opposizione alla conoscenza luciferina (cunoaşterea luciferică) che, instaurando una “crisi” nell’oggetto, è un modo di conoscenza drammatico, se non tragico. BLAGA, Lucian, Trilogia cunoaşterii. Bucureşti: Humanitas, 2013, p. 253.
[9]“Once I believed that Gnosticism was a well-defined phenomenon belonging to the religious history of Late Antiquity. Of course, I was ready to accept the idea of different prolongations of ancient Gnosis and even that of spontaneous generation of views of the world in which, at different times, the distinctive features of Gnosticism occur again. I was to learn soon, however, that I was a naïf indeed. Not only Gnosis was gnostic, but the catholic authors were gnostic, the neoplatonic too, Reformation was gnostic, Communism was gnostic, Nazism was gnostic, liberalism, existentialism and psychoanalysis were gnostic too, modern biology was gnostic, Blake, Yeats, Kafka, Rilke, Proust, Joyce, Musil, Hesse, and Thomas Mann were gnostic. From very authoritative interpreters of Gnosis, I learned further that science is gnostic and superstition is gnostic; power, counter-power, and lack of power are gnostic; left is gnostic and right is gnostic; Hegel is gnostic and Marx is gnostic; Freud is gnostic and Jung is gnostic; all things and their opposite are equally gnostic.” CULIANU, Ion P., “The Gnostic Revenge”, in WILLIAM, Michael Allen, Rethinking Gnosticism. An Argument for Dismantling a Dubious Category. Princeton/New Jersey: Princeton University Press, 1996, p. 3-4.
[10] VOLPI, Franco, Il nichilismo/O niilismo. Trad. di Aldo Vannucchi. São Paulo: Loyola, 1999, p. 99.
[11] IDEM, Ibid., p. 97.
[12] La formula è di Integlia: “Before turning to Cioran’s analogous thinking on the abandonment of history, we would like to again emphasize that it is far from the intention of this essay to affirm the theological nature of Cioran’s neo-Gnosticism. As is clear, he proceeds from a radical rejection of transcendence, especially in its theist expression.” INTEGLIA, Mirko, Tormented by God: The Mystical Nihilism of Emil Cioran, p. 177.
[13] IDEM, Ibid., p. 53.
[14] BRUM, José Thomaz. “O amargo saber de Cioran”, O Globo, 10 febbraio 1991. Disponibile in: < https://emcioranbr.org/2014/10/03/amargo-saber-cioran/>. Ultima consultazione: 29 settembre 2019.
[15] SLOTERDIJK, Peter. « Cioran ou l’excès de la parole sincère », in : TACOU, L. ; PIEDNOIR, V. (orgs). Cahier L’Herne Cioran. Paris : Éditions de L’Herne, 2009, p. 234. [16] CIORAN, E.M., Syllogismes de l’amertume, Op. cit., p. 784.
[17] Da cui «l’eclettismo del sorriso e della distruzione», che ci porta a sostenere tutte le tesi contemporaneamente. CIORAN, E.M., Sillogismi de dell’amarezza. Trad. it. di Cristina Rognoni. Milano: Adelphi: 1993, p. 19.
[18] « Il n’y a de sentiment défini de la mort que chez ceux qui ne l’ont pensée et sentie qu’à moitié ; on ne peut avoir de vision claire de la souffrance ; et il est impossible d’avoir de conviction précise sur la vie. Mais quand on se fond eu eux et qu’on est d’un seul coup ou tour à tour éternité, mort, vie, temps et souffrance, on ne peut pas les aimer sans les haïr. Une fureur admirative, un dégoût extatique et un ennui distrayant nous en rapprochent et nous éloignent. Cela tient aux réalités ultimes d’être ambivalentes et équivoques. Être avec la vérité contre elle n’est pas une formule paradoxale, parce quiconque comprend ses risques et ses révélations, ne peut pas ne pas aimer et haïr la vérité. Qui croit en la vérité est naïf ; qui n’y crois pas est stupide. La seule bonne route passe sur le fil du rasoir. » IDEM, Le livre des leurres, Œuvres, p. 255-256.
[19] Infatti, è il titolo di uno dei saggi che compongono la sua pubblicistica da gioventù, contenuto nel volume di Singurâtate şi destin (Humanitas, 1991), tradotto in francese come Solitude et destin (Gallimard, 2004): “Voinţa de a crede”, “La volonté de croire”. Ciò che, secondo Integlia, suscita una complicità oppure un’affinità, in materia di filosofia della religione, tra Cioran, William James e Miguel de Unamuno: quello che conta è la volontà di credere, persino mentre la ragione dubita e nega.
[20] Il sito web ufficiale di Marie-Dominique Molinié: https://pere-molinie.com/index_fr.php >. Ultima consultazione: 29 settembre 2019.
[21] Corrispondenza epistolare tra Cioran e il padre Marie-Dominique Molinié è disponibile in: <http://pere-molinie.com/index_fr.php?nid=17&dnld=3&rid3=66 . Ultima consultazione: 29 settembre 2019.
[22] «Che peccato che, per arrivare a Dio, si debba passare attraverso la fede!» « Quel dommage que, pour aller à Dieu, il faille passer par la foi ! » CIORAN, E.M., Syllogismes de l’amertume, Œuvres, p. 783.
[23] “At no point in Cioran’s entire oeuvre can we glimpse any hope of creation’s ultimate redemption. The only possible redemption is lucidity: [...] We can imagine that Cioran must have felt a positive sense of intellectual confirmation when he studied the heresy of the Cathars and learned that some of them considered this world to already be Hell, that we have already been judged in it and that there will be no further judgment that assigns us to Hell or Heaven.” INTEGLIA, Mirko, Op. cit., p. 169.
[24] «Soltanto l'impurità è segno di realtà. E se i santi non sono del tutto privi di interesse, è perché la loro sublimità si mescola al romanzo e la loro eternità si presa alla biografia; le loro vite rivelano che essi hanno lasciato il mondo per un genere che di tanto in tanto può attirarci...» « L’impureté seule est signe de réalité. Et si les saints ne sont pas complètement dénués d'intérêt, c'est que leur sublime se mêle au roman et que leur éternité se prête à la biographie ; leurs vies indiquent qu'ils ont quitté le monde pour un genre susceptible de nous captiver de temps en temps... » CIORAN, E.M., Précis de décomposition, Œuvres, p. 598.
[25] Un termine correlato sarebbe «purismo», concepito qui in un senso ontologico: la purità, o impurità, dell’essere. Al meno nel contesto dei suoi scritti rumeni, notevolmente in Cartea amăgirilor (1936), in cui troviamo l’espressione di un angelismo patente: « Cette nostalgie d’un monde plus pur, aux vastes cieux ouverts et aux harmonies inconnues, ne vous oppresse-t-elle pas de tendres voluptés ? […] Frères, n’entendez-vous pas l’appel de la sérénité, et son immensité plus chaude et plus douce ? N’êtes-vous pas saisis par la nostalgie des lointains, vastes comme vos douleurs ? Ne pouvez-vous donc pas trouver par le désir de pureté, un lit à votre trop-plein pour qu’il s’y déverse ? » CIORAN, Emil, Le livres des leurres, Œuvres, p. 161-162.
[26] ACQUISTO, Joseph, The Fall Out of Redemption. Writing and Thinking Beyond Salvation in Baudelaire, Cioran, Fondane, Agamben, and Nancy. NewYork/London: Bloomsbury, 2015, p. 5.
|
|