Accademia di Romania in Roma, una grande risorsa da valorizzare. Intervista a Mihai Bărbulescu

Mihai Bărbulescu, un destino legato all'università, all'insegnamento e alla ricerca, è attualmente direttore dell'Accademia di Romania in Roma. Nome illustre tra i più importanti studiosi di storia antica della Romania, il professor Barbulescu è stato preside della Facoltà di Storia e Filosofia dell'Università «Babeş-Bolyai» di Cluj-Napoca (1996-2000), direttore della cattedra di Storia Antica e Archeologia (1996-2007), presidente della Commissione Nazionale di Archeologia (2003-2007). Nel 2010 venne eletto membro corrispondente dell'Accademia Romena e da allora rappresenta l'Accademia Romena alla Union Academique Internationale (Bruxelles). Già membro del consiglio scientifico internazionale del Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, fa parte dei collegi redazionali di varie riviste accademiche di Romania, Italia e Spagna. Ha pubblicato, individualmente o in collaborazione, più di 25 libri e decine di articoli in riviste specialistiche di 14 Paesi. È stato insignito dell'Ordine Nazionale «Serviciul Credincios» al grado di Cavaliere (2003), del Premio «Vasile Pârvan» dell'Accademia Romena (1987), del Premio del Fondo Letterario dell'Unione degli Scrittori di Romania (1998), del Premio «Emil Condurachi» del Ministero della Cultura e dei Culti (2004), del Premio «Annasilao per la ricerca» (Premio «Salvatore Calderone»), Reggio Calabria (2009). È Doctor Honoris Causa dell'Università dell'Ovest di Timişoara e dell'Università «Petru Maior» di Târgu Mureş (2011).
Nell'intervista che ci ha concesso conosceremo alcuni aspetti della sua attività scientifica ma anche il mondo dell'Accademia di Romania in Roma e le attività che vi si svolgono.


Professor Barbulescu, l'atmosfera dell'Accademia di Romania a Roma ha qualcosa di ineffabile, un luogo armonioso dedicato allo studio, alla creazione: possiede la più grande biblioteca romena all'estero, una sala per i concerti, una sala per le esposizioni, atelier per gli artisti, appartamenti e, non da ultimo, un giardino impressionante. Cosa crea questa magia? Il fatto di trovarsi in uno dei più esclusivi quartieri romani, nelle vicinanze della Villa Borghese?

L'Accademia di Romania non è perfetta. Ad esempio, vorrei che la biblioteca fosse più specializzata di quanto lo sia oggi. Ma dal 2009 non abbiamo ricevuto alcun euro per comprare libri. Le centinaia di volumi entrati da allora sono donazioni dalla Romania, dall'Italia, da istituzioni e persone private. Ho scritto un libro sulla storia dell'Accademia, insieme a due collaboratori più giovani, nel 2012, quando l'istituzione compiva 90 anni di esistenza. Aspetto ancora echi «palpabili» da Bucarest. Sono felice che lei creda che lo stage all'Accademia sia un periodo di grazia. So che così la pensano la maggior parte degli ex borsisti, che formano già un vero gruppo intellettuale e rimangono in contatto tra di loro. Una sua collega di borsa mi scriveva alcune settimane fa: «Ho pensato di scriverle perché i borsisti “Pârvan” mi fanno diventare matta da alcune settimane a questa parte: non parliamo altro che dell'Accademia, di Roma, delle storie legate a lei e a come stavamo bene. E a tutti quanti ci è venuta la nostalgia... Una grande nostalgia. Le nostre vite si dividono ora tra “ prima di Roma” e “ dopo Roma”». Le confesso che questa lettera mi ha commosso. È un raro riconoscimento di quello che di buono e bello succede all'Accademia dove, oltre all'insegnamento, alla ricerca e alla creazione, nasce il dono divino dell'amicizia.

Lei si è battuto molto nel 2014 perché le borse «Vasile Pârvan» e «Nicolae Iorga» potessero continuare.

Vedo che si sa tutto. Sì, ho combattuto ed ho vinto parzialmente. Un concorso rimandato, mancanza di fondi per le borse, un punteggio per la selezione realizzato in modo non professionale (da chi? non lo so, anche se avrei dovuto, come membro della giuria finale). Alla fine il concorso per le borse ha avuto luogo, ma sono stati ammessi pochi borsisti. È bene che siamo riusciti a portare avanti queste borse, perché in Romania se qualcosa si ferma si riprende per molto tempo, oppure sparisce del tutto. Sono quindi contento, come dice il proverbio francese, «non temere di andare adagio, quel che conta è non fermarsi». Mi auguro, anche se non ho grandi speranze in tal senso, che il futuro concorso abbia più successo per un numero maggiore di candidati. Siamo già al terzo anno da quando abbiamo introdotto il sistema delle visite di documentazione a Roma per gruppi di studenti e dottorandi in archeologia, storia delle arti e architettura, ospitandoli all'Accademia di Romania durante le vacanze estive, insieme ai loro professori. Finora sono arrivati da Bucarest, Iaşi, Craiova, Cluj e Sibiu. Penso sia obbligatorio per queste specializzazioni conoscere Roma, con i suoi monumenti ed i musei. Dall'altra parte, fanno anche pubblicità alle borse «Pârvan». Non lo crederà, ma ci sono state delle facoltà romene che hanno rifiutato l'offerta di queste visite.

Lei è sempre vissuto nel fermento della vita studentesca, dei dottorandi e borsisti romeni a Roma, mantenendo vivo il contatto con le nuove generazioni, sapendo avvicinarsi ai giovani, e formando così destini e coscienze. Una responsabilità immensa in un mondo in cui l'interesse per le scienze umanistiche è sempre meno presente e la condizione dell'intellettuale non è proprio privilegiata.

È piacevole, specie ad una certa età, trovarsi fra i giovani. Si riceve qualcosa del loro ottimismo. C'è anche il pericolo di annoiarli, di dire loro troppe cose. Si ricorda che, nei nostri incontri periodici in biblioteca o in club, quando ciascun borsista presentava lo stato del proprio progetto scientifico oppure artistico, esortavo tutti i borsisti a fare domande, a criticare, a lodare, a discutere. Non so se ho formato destini o coscienze, ma ci ho provato. Fino ad un certo punto, la condizione dell'intellettuale ognuno se la costruisce, se trova in se stesso la forza di rifiutare l'impostura, se resiste alle pressioni economiche di una società indifferente o addirittura ostile. Ritirarsi in una torre d'avorio è a volte necessario, non per delimitarsi a ogni costo, ma per creare qualcosa di utile, qualcosa che prima o poi sarà riconosciuto.

L'esperienza romana ha influenzato i destini dei borsisti e la Romania offre loro delle opportunità in seguito? Le generazioni dei nostri giorni sono privilegiate come quelle del periodo interbellico?

Il destino personale di ciascun borsista è inevitabilmente influenzato, come la sua futura carriera. Osservi che parlo dal punto di vista della persona, dell'ex borsista. Perché la società romena purtroppo non fa assolutamente nulla per far fruttificare le borse, grande investimento morale e materiale. Le eccezioni sono lodevoli, ma poche. Per non ricordare le situazioni addirittura tragiche, quando i borsisti rientrati in Romania non hanno più trovato il posto di lavoro che avevano prima dello stage a Roma.
Le borse «Vasile Pârvan» di Roma e «Nicolae Iorga» di Venezia dovrebbero poter aprire porte in Romania, essere un eccellente biglietto da visita. Non approfittare degli ex borsisti – nel senso buono della parola, ovviamente - nell'insegnamento, nella ricerca, nella cultura, nella creazione artistica, è una grande stupidaggine. La «disseminazione dei risultati» – un sintagma caro ai nostri funzionari – rimane un capitolo sottolineato nel progetto.
Qui, a Roma, provo a fare quello che posso per i borsisti, per preparare il loro «ritorno» a casa. Dal 2011 ad oggi abbiamo pubblicato, presso la casa editrice dell'Accademia Romena, 5 volumi del nostro annuario, «Ephemeris Dacoromana», con lavori scientifici degli ex borsisti storici, archeologi, linguisti, letterati, architetti, critici d'arte, musicologi ecc. L'anno scorso abbiamo pubblicato anche un album con i lavori di arte plastica degli ex borsisti, del loro periodo «romano» e ulteriore.
Se lo stage romano non ha influenzato il destino di un borsista significa che ha perso tempo e soldi dello Stato. È una perdita sua e nostra. Qui farei un'osservazione dolorosa relativa al sistema delle borse, dei grants per la ricerca e altre simili facilitazioni destinate alla formazione professionale e alla realizzazione di progetti scientifici o artistici. La povertà in cui vivono in Romania molti giovani dotati, privi di speranza per la loro realizzazione professionale, fa loro vedere in queste borse e grants soprattutto una possibilità di assicurare in maniera modesta, temporanea, ma immediata, le necessità della loro vita. Le sciocchezze abbondano: nei grants cosiddetti «di giovani équipes», la presenza dei dottorandi è obbligatoria, ma una volta diventati dottori di ricerca, nessuno ha più bisogno di loro. Certe borse per i dottorandi sono due volte più alte dello stipendio al quale possono sperare dopo il dottorato di ricerca, se assunti, ad esempio, nel sistema della cultura, oppure il cinquanta per cento in più dello stipendio di un lettore universitario dottore di ricerca.
Come era nel periodo interbellico? Le rispondo semplicemente che 6 dei miei professori dell'università di Cluj, del periodo in cui ero studente, erano stati borsisti a Roma negli anni ’20-’40.

Quale è la situazione dei borsisti romeni a Roma rispetto a quelli di altri Paesi?

Il paragone con i borsisti delle Accademie straniere di Roma lo faccio con cognizione di causa. L'esposizione annuale di arti plastiche dei borsisti stranieri a Roma la organizziamo noi, Accademia di Romania, sotto il nome di «Spazi aperti». I borsisti plastici romeni mi sono sempre sembrati molto valorosi. D'altronde, le esposizioni personali che hanno fatto a Roma e in altre città italiane nel periodo della borsa dicono molto. Le conferenze sostenute dagli altri borsisti «Pârvan» agli incontri organizzati dall'Associazione internazionale di Archeologia Classica, oppure a quelle organizzate nell'ambito più vasto dei «Valle Giulia dialogues» mi hanno confermato il livello buono e molto buono dei romeni. Pochissimi mi hanno deluso.

In che senso?

In parte la colpa non era loro, ma dei loro coordinatori in Romania. Non tutti i progetti di ricerca proposti erano adeguati per Roma. Se si studia il Barocco delle residenze aristocratiche della Transilvania, i termini di paragone si troveranno in Ungheria, Austria, Slovacchia, meno però a Roma. Mentre in alcuni borsisti plastici ho avuto l'impressione che lo stage romano non abbia arricchito o cambiato qualcosa nella loro sensibilità, nello stile o nella tecnica.

Ritiene che i giovani di oggi siano superficiali? Lei trascorreva lunghe ore in biblioteca, mentre oggi i giovani stanno sul tablet: hanno tempo per la lettura?

Non giudicherei le generazioni in blocco. Ci sono stati e ci sono giovani desiderosi di erudizione, così come ci sono stati e ci sono giovani della categoria «perditempo». Il tempo per la lettura ciascuno se lo crea. Se non si ha il piacere di leggere un libro stampato, forse addirittura una rarità di bibliofilia, se non si ha il piacere di accarezzare l'involucro di un libro antico in una biblioteca storica, si può leggere anche sul tablet. È una questione di gusto. Ma la biblioteca, anche in forma virtuale, in Internet, è obbligatoria per lo studio e la preparazione della carriera scientifica. Non si impara negli workshop di una giornata o due, dove il «dormire» nella sala di conferenze viene premiato con un diploma di presenza. Neanche le tesi di dottorato si scrivono con la partecipazione «obbligatoria» a sessioni scientifiche legate o meno al proprio ambito di studio.

Una delle sue competenze professionali riguarda la storia e archeologia della Dacia romana (spiritualità antica, religione, arte, storia e archeologia militare, epigrafia). Ha scelto di svolgere questi studi nel contesto dello spazio dacico oppure anche di quello romano?

Mi sono occupato di diversi aspetti della storia e dell'archeologia della Dacia nei secoli II e III (e anche nei secoli successivi, fino ai secoli V-VI), perciò lo spazio immediato è quello dacico, che però si inquadra naturalmente nello spazio più largo dell'Impero Romano.

Cosa può raccontarci circa la scoperta del castro romano di Turda, l'antica Potaissa?

Ho iniziato le ricerche archeologiche nel castro della Legione V Macedonica di Potaissa nel 1971, ricerche che continuano anche al presente, sotto la direzione (da due anni) di uno dei miei più competenti allievi. Dopo più di quattro decenni di ricerche i risultati sono molto buoni, il castro di Turda è diventato uno dei principali obiettivi archeologici della Romania, oggi visitabile, ed il museo di Turda possiede decine di migliaia di oggetti provenienti da questo sito. I più valorosi sono stati presentati anche in esposizioni archeologiche internazionali, in Germania, Italia e in Cina. Io e i miei collaboratori abbiamo pubblicato diversi libri e decine di studi sul castro e sulla città antica di Potaissa. Inoltre, ho avuto la fortuna di scoprire nel castro una tomba principesca germanica intatta del quinto secolo, con inventario fastoso, alla quale ho dedicato anche un libro.

Lei cita spesso i suoi allievi, i suoi collaboratori.

Come ben sa, c'è un tempo per ogni cosa. È ora di lasciare ai miei allievi la possibilità di continuare, meglio ancora se possibile, quello che ho fatto. Le ricerche archeologiche del castro romano di Turda, l'Istituto di Studi Classici dell'Università di Cluj-Napoca, il Museo di Storia di Turda sono oggi diretti dai miei allievi. È una grande soddisfazione.

Lei è stato insignito di due importanti premi, il premio «Vasile Pârvan» dell'Accademia Romena ed il premio «Emil Condurachi» del Ministero della Cultura. Lei ha lavorato in cantieri archeologici su selezione di Emil Condurachi e oggi è direttore dell'Accademia di Romania fondata da Vasile Pârvan. Si tratta di un caso?

Non lo so. So solo di avere un grande rispetto per i miei predecessori nella ricerca, un rispetto che coltivo, perché ognuno di loro ha portato il suo contributo. Non sono stato sui cantieri archeologici diretti da Emil Condurachi, ma lui mi ha introdotto a Dinu Adameşteanu, nel 1978, perché potessi partecipare agli scavi archeologici di Metaponto. È stato il mio primo incontro con l'Italia. Ed ora, quale onore maggiore per me che dirigere un'istituzione fondata da Vasile Pârvan?

L'ho sentita dire che la sua generazione non ha avuto le opportunità e le provocazioni che hanno i giovani di oggi. La sua generazione si è imposta in condizioni estremamente difficili.

È vero. Così è stato, ma questa cosa è nota e non vorrei tornarci sopra. La nostra vita è stata grigia. Ma in ogni male c'è anche un bene. Alcuni di noi siamo diventati più resistenti. Quando sono venuto all'Accademia come direttore ho detto che sono arrivato in ritardo di 35 anni, quando sarei dovuto venire qui come borsista.

In qualità di direttore dell'Accademia di Romania lei è generatore di eventi culturali e convegni scientifici, mentre in qualità di professore è formatore di generazioni. Come convergono le due cose?

L'Accademia di Romania è un'istituzione complessa: missione diplomatica, accademia di formazione scientifica e artistica e istituto culturale romeno. La Romania è l'unico Paese che a Roma riunisce tutti questi obiettivi in un'unica istituzione. Gli altri Stati hanno due o addirittura tre istituzioni diverse (un istituto culturale e un’Accademia oppure due separate, per l'arte, letteratura, archeologia ecc.). I nostri «padroni» sono: il Ministero degli Esteri (sul piano logistico e tecnico), l'Istituto Culturale Romeno di Bucarest (per i programmi culturali), l’Accademia Romena (per l'avallo scientifico), il Ministero dell'Educazione (per le borse). Ciascuno ha delle richieste specifiche e qui siamo 4-5 persone che dobbiamo affrontare tutto. Solo nel 2013 e nel 2014 abbiamo organizzato (da soli o in collaborazione con altre istituzioni italiane e romene) 15 convegni internazionali di letteratura, archeologia, storia, filosofia, teologia, architettura, 13 presentazioni di libri, 6 conferenze, 24 conferenze dei borsisti, 41 concerti, 34 esposizioni d'arte plastica, fotografia e architettura, 15 proiezioni di film e spettacoli di teatro. Tutto ciò parla da sé
Gli interessati possono trovare tutto quello che abbiamo fatto all'Accademia negli ultimi sette anni sul nostro sito www.acadromania.it oppure, più recentemente, sulla pagina di facebook www.facebook.com/pages/Accademia-di-Romania/1394524340772482?ref_type=bookmark

Cosa rappresenta Roma per Lei?

Ho smesso da tempo di fare classifiche dei Paesi e delle città. C'è la Roma del turismo di tre giorni oppure quella del turismo di una settimana. Esiste, grazie al cielo, anche la Roma senza turisti. Dopo più di sei anni continuo ancora a scoprire qui una casa, un angolo mirifico, un albero, un luogo che rimane fissato per sempre nella memoria.



Intervista realizzata da Claudia Mandi
Traduzione di Afrodita Carmen Cionchin
(n. 5, maggio 2015, anno V)