M. Paragliola: «La poesia di Saba, una risposta unica e personale alla crisi del soggetto moderno»

Ospite dei nostri Incontri critici è Michele Paragliola, dottore di ricerca in Letteratura italiana contemporanea (LICO-A01) e Nuove tecnologie e docente di Poesia italiana contemporanea presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli. Si è occupato del rapporto tra letteratura e malattia con una particolare attenzione alle Scritture del Sé malato (cfr. M. Paragliola, P. Villani, Medicina Narrativa, Teorie e Pratiche, Aracne, Roma 2023) del legame tra letteratura e spazio, specie in relazione all’arcipelago napoletano (cfr. M. Paragliola, P. Villani, Viaggi d’autore verso Procida. Per una cartografia dell’immaginario, Mimesis, Milano 2023). Il suo principale filone di ricerca, però, è dedicato alla poesia di Umberto Saba, per la quale sta curando con Mattia Acetoso, Giuseppe Bonura e Nunzia Palmieri, l’edizione critica e commentata del Canzoniere per Einaudi, avendo all’attivo anche pubblicazioni come L’epistolario di Saba: gocce d’oro di un’opera in fieri («Kepos» numero speciale, 2021), la curatela della sezione Storia e cronistoria di Umberto Saba («O.B.L.I.O.» n. 50, 2024) e il contributo al suo interno intitolato Il canzoniere di Saba come autogeografia.


Quale influenza esercitò il contesto storico e socio-culturale della Trieste mitteleuropea sull’evoluzione poetica e filosofica di Umberto Saba, in relazione alla sua poetica del quotidiano e del sublime?

Il contesto storico e socio-culturale triestino, all’indomani dell’Unità d’Italia (Saba nasce, ricordiamolo, nel 1883) ha avuto certamente un’influenza non di poco conto sulla sua evoluzione poetica e filosofica. Si può sostenere senza remore che ha modellato il suo sguardo «azzurrino» sulle cose e gli uomini «del mondo», con i quali ebbe un rapporto ambivalente: dal desiderio di distacco a quello di farne parte. In particolare, «nascere a Trieste nel 1883» ha significato per Saba essere figlio di una città di confine, scissa sul piano politico-sociale e culturale: al tramonto del XIX secolo, infatti, Trieste apparteneva politicamente all’Impero Austro-Ungarico e geograficamente all’Italia. Città immersa in diverse culture come quella italiana, tedesca, slava ed ebraica, Trieste era un crogiolo di idee mitteleuropee, che hanno contribuito alla costruzione metaforica di un paio d’occhiali, attraverso i quali il poeta ha guardato alla realtà. Di sangue triestino, quindi, Saba non ha mai smesso di guardare da una particolare angolazione a quell’Italia che aveva delineato un canone lirico preciso, una tradizione, al cui filo d’oro, si lega con orgoglio. Ma Trieste, per Saba è anche metaforicamente lo specchio ideale di un «cuore scisso» come il suo, diviso tra madre e padre, madre naturale e «madre di gioia», Lina e altri amori (femminili e maschili), poiché è una città altrettanto scissa, duale. Per la sua conformazione geografica, infatti, quella che Claudio Magris ha definito come «una città di carta», la cui identità si è definita prima nell’universo controfattuale e letterario e poi in quello reale, si divide in alture, dove il poeta si ritaglia un cantuccio a lui dedicato, e zone pianeggianti vicine al mare, lungo le quali il poeta osserva la vastità del genere umano («la prostituta», «il marinaio», «la femmina che bega», ecc.). Da «solitario coetaneo» nella punta più alta della città, a Via del Monte n.15, Saba, quando vuole «portare fuori i pesi della vita», infatti scende tra la folla per essere «come tutti gli uomini della Terra» e per ritrovare nell’umiltà di quegli uomini «l’infinito». Se la donna del Canzoniere è Lina, quindi, la città è Trieste, si legge in Ed amai nuovamente e, forse, il percorso poetico del Canzoniere può essere identificato non solo come un’autobiografia, ma anche come un’autogeografia. Gli spazi triestini si fanno così luoghi, mindscapes, paesaggi mentali, senza i quali, probabilmente, sarebbero mancati i presupposti per la scrittura di quello che Elsa Morante ha definito come uno dei più «grandi» poeti della storia letteraria.


In che modo la tensione tra individualità e collettività si manifesta nella produzione lirica di Saba, soprattutto alla luce del suo costante dialogo interiore tra introspezione autobiografica e ricerca di un senso universale?

Il rapporto tra individualità e collettività per Saba è segnato da un’oscillazione continua, da un «altalenìo» (Montale), un continuo movimento che dall’alto lo porta al basso della città, facendolo dondolare tra due sentimenti/condizioni opposto: la solitudine e la socialità.  Il poeta sin dai suoi primi anni di vita, infatti, manifesta questa propensione alla solitudine, come scrive in alcuni versi della raccolta Poesie dell’adolescenza e giovanili, descrivendo la sua infanzia «povera e beata/di pochi amici». Inoltre, una distanza lo separa dai suoi coetanei, una distanza dovuta alla sua natura dissimile, di cui si può leggere in A Mamma. Ma la sua inclinazione alla solitudine, si apre, anche poeticamente, alla collettività con la rappresentazione di momenti di condivisione che non possono essere rintracciati soltanto nei Versi Militari, come sostenuto da Mario Lavagetto,  poiché quei momenti e quelle liriche in cui l’«io» si cala in un «noi» e in questa collettività si sente «liquefare d’amore» (cfr. le lettere di Saba alla figlia Linuccia), possono essere considerati l’incipit di un percorso in cui la dimensione dell’interazione sociale diventa una costante della sua vita e della sua produzione letteraria (si vedano a mo’ di esempio i successivi Il borgo, Il garzone con la carriola, Un marinaio di noi mi parlava, Cinque poesie per il gioco del calcio).  Se da una parte sembrano esserci sentimenti di incomprensione, distanza, solitudine, dall'altra pare esserci sempre la speranza di un possibile incontro, di una forma di dialogo che lo fa sentire sommerso d’amore. In una costante ricerca di equilibrio tra l’individualità e collettività, quindi, tra il riconoscimento della propria solitudine interiore e il desiderio di comprendere e condividere la propria esistenza con gli altri («questo soltanto/ un uomo tra gli uomini»), la sua poetica, pur essendo fortemente autobiografica e introspettiva, non si limita mai all'io, ma tende sempre ad aprirsi a una dimensione universale, riconoscendo nell'esperienza personale quella di tutti gli esseri umani.


Il Canzoniere di Saba viene spesso interpretata come un’opera organica e coerente, in cui ogni componimento funge da tassello di un mosaico esistenziale. In che misura questa visione macrotestuale influisce sulla percezione della sua poetica da parte dei critici contemporanei?

Questa visione macrotestuale ha profondamente influenzato la percezione della sua poetica da parte della critica a lui contemporanea, che ha individuato nel Canzoniere una delle voci più singolari e rappresentative della letteratura del Novecento. Mario Lavagetto, uno dei principali studiosi di Saba, sottolinea come la coerenza del Canzoniere derivi non solo dalla continuità tematica, ma anche dall’organizzazione strutturale dell’opera, che riflette l’influenza della psicoanalisi freudiana. Ogni componimento è connesso agli altri da un filo narrativo e simbolico, dove il passato, il presente e il futuro si intrecciano e si organizzano secondo una «una forza centripeta»: la psicanalisi, appunto. Questo approccio rende l’opera un viaggio attraverso l’interiorità del poeta, che cerca di costruire un senso unitario della propria esistenza e della propria sofferenza. Lavagetto osserva che la psicoanalisi ha fornito a Saba un modello per riorganizzare i frammenti della propria vita, conferendo un significato nuovo e complesso agli episodi autobiografici. Questa organicità, dovuta soprattutto a una linearità cronologica, non deve però dare l’illusione di una lettura, almeno sul piano stilistico, omogenea dell’opera, tale da considerarla «arretrata», in alcuni casi «anacronistica». Se è vero quanto sostiene Baldi, ovvero che il modernismo non può essere un’etichetta attribuibile a un intero autore o a un’intera opera, ma anche a forze che attraversano un’opera, anche Saba, considerato dai suoi contemporanei come il rappresentante della linea antimodernista/antiermetica, propone un Canzoniere dalle forze contrastanti. Si pensi ai sonetti, completamente «rotti dall’interno» (Polato) o riprodotti in forme vicarie, ma anche all’avvicinamento stilistico nelle sue raccolte tarde allo stile di Montale e Ungaretti. La più rappresentativa raccolta in tal senso è Parole, in cui, appunto, le parole si spogliano, smettono di servirsi dei connettivi e alludono, come ermetiche, alle cose.


Umberto Saba, pur appartenendo alla tradizione lirica italiana, si distingue per l’uso di un linguaggio immediato e colloquiale, contrapposto a certe forme ermetiche dominanti nel Novecento. Come giustifica questa scelta stilistica in rapporto alla sua filosofia dell’esistenza e alla sua ricerca della verità poetica?        

Umberto Saba, pur appartenendo alla tradizione lirica italiana, si distingue in maniera netta dalle correnti predominanti del Novecento, come l’ermetismo e le avanguardie. L’utilizzo di un linguaggio immediato e colloquiale potrebbe sembrare a prima vista una forma di arretratezza, è invece una dichiarazione poetica consapevole e profondamente legata alla sua filosofia dell’esistenza. Lo stesso poeta, nel suo Storia e cronistoria del Canzoniere, si definisce un poeta conservatore, non tanto nel senso di una semplice adesione al passato, quanto nella volontà di riallacciarsi a un «filo d’oro» della tradizione poetica italiana, che va da Petrarca a Leopardi, ma con un linguaggio più vicino alla verità e alla chiarezza dell’esperienza umana. Egli si pone, come osserva Berardinelli, come il grande antagonista dell’oscurità ermetica e del simbolismo, preferendo la narrazione e la descrizione al procedimento per illuminazioni irrelate e visioni misteriose. Questa scelta lo rende, secondo Pasolini, uno dei più difficili poeti contemporanei: non perché sia oscuro, ma perché la sua apparente facilità cela una profondità che va oltre le tendenze poetiche del tempo. Il cuore della poetica di Saba è rinvenibile in Amai, dove dichiara il suo amore per le «trite parole che non uno osava», parole semplici e quotidiane, capaci però di esprimere una verità universale. Qui Saba ribadisce l’importanza di una poesia che, pur radicandosi nella tradizione, parli con onestà, senza esagerazioni o artifici. Questo ideale, già delineato nel saggio del 1911 Quello che resta da fare ai poeti, si oppone ai «giocolieri della parola» come D’Annunzio e propone una poesia onesta, chiara («chiarezza» doveva infatti chiamarsi inizialmente il Canzoniere), capace di essere strumento di riflessione e confessione personale. Al tempo stesso, Saba non ignora la modernità, ma la osserva «da lontano, dall’alto o dalla periferia», spesso immergendovi in essa quasi spontaneamente. La sua poesia accoglie elementi moderni non solo sul piano contenutistico, come l’influenza della psicoanalisi freudiana, che permea la struttura del Canzoniere trasformandolo in una narrazione terapeutica e organica (Luperini), ma anche su quello stilistico con gli avvicinamenti già menzionati a Ungaretti e Montale, avvicinamenti che, però, nell’ultimissima fase della sua produzione sembrano rarefarsi, rendendo ancora una volta il poeta un uomo scisso tra più posizioni, in questo caso stilistiche (Modernismo e Antimodernismo).


Nel corso della sua vita Saba fu profondamente influenzato dalla psicoanalisi freudiana. In che modo i principi della psicoanalisi sono rintracciabili nel suo approccio alla memoria, al desiderio e al conflitto interiore nelle sue opere principali?      
  
Umberto Saba fu profondamente influenzato dalla psicoanalisi freudiana, la quale trasformò il suo modo di concepire la vita e di strutturare la sua autobiografia in versi. L’incontro con il dottor Weiss, allievo di Freud, nel 1920 rappresentò un punto di svolta nella sua poetica, fornendogli strumenti per interpretare e riorganizzare la propria esperienza personale e il proprio passato. Secondo Mario Lavagetto la psicoanalisi fu per Saba una chiave per costruire una narrazione poetica organica, dove ogni episodio trovava senso all’interno di un sistema interconnesso, trasformando la poesia in un mezzo per decifrare i crittogrammi della vita. La memoria, in questo contesto, non è semplicemente la registrazione del passato, ma una sua reinterpretazione. Saba riorganizzò i ricordi come dice Lavagetto per illuminare il presente e il futuro, come dimostra la revisione delle Poesie dell’adolescenza e giovanili nel 1920, dove le esperienze giovanili non vengono solo evocate, ma rielaborate alla luce di una consapevolezza maturata grazie alla psicoanalisi. Questo processo trasforma ogni frammento autobiografico in un tassello di un disegno più ampio e complesso. Anche il desiderio assume un ruolo centrale, emergendo come una forza ambivalente che unisce creazione e sofferenza. Attraverso la lente psicoanalitica, il desiderio si configura come una tensione irrisolta che attraversa tutta la sua opera. In A mia moglie, ad esempio, la figura della gallina diventa simbolo di vitalità e accettazione, ma anche di conflitti irrisolti, riflettendo la complessa relazione tra attaccamento e distacco. A partire proprio dall’incontro con la psicanalisi, Lavagetto divide il Canzoniere in due macrosequenze, suddivise ciascuna in tre fasi, in cui si alternano fasi di crisi, guarigioni provvisorie e nuove crisi: Versi militari (1908, terapia), Casa e Campagna (1909-1910, guarigione provvisoria), Trieste e una donna (1910-1912, nuova crisi); Il piccolo Berto (1929-1933, terapia), Parole (1933-1934, guarigione provvisoria) e Ultime cose (1935-1943, nuova crisi).


La figura della madre, ricorrente in molte poesie di Saba, appare legata a dinamiche affettive complesse e conflittuali. In che modo la rappresentazione materna assume un valore simbolico all'interno della sua poetica, e quale correlazione può essere tracciata con la sua biografia?

La figura della madre nella poetica di Umberto Saba è uno dei nuclei tematici più complessi e simbolicamente carichi. Essa riflette non solo le dinamiche conflittuali e affettive della sua biografia, ma assume anche un valore universale, diventando il punto di partenza per una riflessione più ampia sull’identità, sul desiderio e sul rapporto tra passato e presente. Nella vita di Saba, la madre, Felicita Rachele Cöen, rappresentò una presenza dominante pur nella sua distanza fisica e affettiva. Rimasta sola dopo l’abbandono del marito, la Cöen crebbe Saba con un amore intenso, ma severo, che Saba percepì spesso come privo di quella dolcezza naturale proveniente dalla sua «madre di gioia», Peppa Sabaz, da cui pare abbia ereditato il cognome d’arte (si ricorda che all’anagrafe il poeta si chiama Umberto Poli), Questo dualismo tra «madre naturale» e «madre di gioia» è centrale nella poetica sabiana e si configura, secondo alcuni critici, come il maggiore conflitti e maggiore «strappo», come si legge nelle Tre poesie alla mia balia. Nei celebri versi «O mio cuore dal nascere in due scisso/ quante pene durai per uno farne», Saba sintetizza questa frattura, che si riflette anche nella rappresentazione della madre come simbolo di ambivalenza e tensione tra opposti. La madre, infatti, non è mai ritratta semplicemente come una figura personale, ma diventa un simbolo dell’origine e del dolore, della dipendenza e del desiderio di autonomia, come si legge in un racconto intitolato Odone, in cui l’omonimo protagonista, resta sconvolto per la morte della sua gallina, ultimo legame con quell’infanzia non vissuta a pieno, priva di una maternità costante a cui non è riuscito mai a voltare le spalle (si legge nella terza poesia alla mia balia «Il mondo/ fu a lui sospetto d’allora»).


In che modo la poesia di Saba può essere considerata una risposta alla crisi del soggetto moderno, soprattutto se confrontata con la poetica di autori suoi contemporanei come Eugenio Montale o Giuseppe Ungaretti?   

La poesia di Umberto Saba può essere considerata una risposta unica e personale alla crisi del soggetto moderno, soprattutto se confrontata con le poetiche di Eugenio Montale e Giuseppe Ungaretti, suoi contemporanei. Mentre Montale e Ungaretti si confrontano con il frammentarsi dell’identità attraverso soluzioni linguistiche e stilistiche che spesso tendono all’oscurità e all’ermetismo, Saba sceglie una strada diversa, fondata sulla chiarezza, sull’autenticità e sull’adesione alla vita quotidiana. La sua poetica rappresenta un tentativo di ricucire quella frattura interiore che caratterizza l’uomo moderno, proponendo una visione della poesia come strumento di comprensione e guarigione. Nel contesto del primo Novecento, segnato dalla crisi delle certezze positiviste e dall’emergere di nuovi modelli filosofici e psicologici, Saba rifiuta l’oscurità e il simbolismo ermetico che caratterizzano gran parte della poesia del suo tempo. La sua idea di poesia onesta si contrappone a quella che definisce la «giocoleria della parola» di autori come D’Annunzio, e trova il proprio centro nella ricerca di una verità personale e universale. A differenza di Montale, che attraverso immagini criptiche e allusive esprime la condizione di smarrimento dell’uomo contemporaneo, e di Ungaretti, che destruttura il linguaggio per catturare l’essenza primordiale dell’esperienza, Saba mantiene una forma narrativa e descrittiva che cerca di riconnettere l’individuo alla realtà, senza rinunciare alla profondità. La crisi del soggetto moderno, che si manifesta come una frattura tra l’individuo e il mondo, trova in Saba un’interpretazione intima e psicoanalitica. La sua poesia, influenzata dall’incontro con il dottor Weiss e con la psicoanalisi freudiana, è un viaggio nell’interiorità, dove la memoria, il desiderio e il conflitto interiore vengono rielaborati attraverso una narrazione organica. Nel Canzoniere, ogni componimento è un tassello di un mosaico che cerca di dare senso all’identità frammentata del poeta. L’approccio di Saba si distingue così da quello di Montale, che nei suoi Ossi di seppia esplora l’inesorabile estraneità tra l’uomo e la realtà, e da quello di Ungaretti, la cui poesia è spesso un grido solitario, un atto di resistenza contro il silenzio e il nulla.


Il tema della guerra, particolarmente sentito da Saba nelle sue opere scritte durante la Prima e la Seconda guerra mondiale, sembra oscillare tra condanna etica e accettazione dolorosa della natura umana. Quali stratificazioni tematiche e stilistiche emergono dalle sue poesie dedicate a questo argomento?
 
Umberto Saba, con le sue opere composte durante le due guerre mondiali, esplora la complessità della condizione umana, intrecciando riflessioni personali e universali. Il tema della guerra nei suoi versi emerge come un percorso di esplorazione interiore e sociale, carico di tensioni tra l’etica e la cruda accettazione della natura umana. Nei Versi militari, Saba affronta la vita militare come una realtà condivisa che, pur nella sua durezza, permette un momentaneo sollievo dalle sue lacerazioni interiori. L’esperienza militare, descritta in una lettera alla figlia Linuccia, diventa il luogo di una socialità inaspettata, capace di guarire ferite personali e antiche scissioni. Questo racconto, in cui Saba si sente «liquefare d’amore» per i suoi compagni, testimonia la sua capacità di trovare nella vita collettiva una risposta al suo bisogno di appartenenza e riconoscimento. La guerra è vissuta «a una certa distanza» almeno durante il Primo conflitto mondiale, mentre durante il Secondo, con la parallela promulgazione delle Leggi razziali, il poeta cade nello sconforto. La sua nevrosi si acuisce per la sua origine ebraica per parte materna, fino a fargli chiedere, nonostante il conforto degli amici e il rifugio presso di loro (si pensi all’ospitalità fiorentina di Montale), il permesso alla moglie e alla figlia per suicidarsi. La persecuzione razziale diventerà motivo di paura, un sentimento che riverserà negli scritti con uno stile più cadenzato e asciutto.



A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 12, dicembre 2024, anno XIV)