Matei Vişniec: «Un testo è qualcosa di vivo, che nasconde in sé forme di energia»

Il drammaturgo, scrittore e poeta franco-romeno Matei Vișniec (Rădăuți, 1956) approda in Italia con Sindrome da panico nella Città dei Lumi (trad. Mauro Barindi, Voland, 2021 Roma), il suo secondo romanzo uscito in Romania nel 2009 e tradotto nel 2012 in Francia, dove nel 2016 ha vinto il Premio per la letteratura europea «Jean-Monnet». Il libro è «una folgorante riflessione sulla scrittura, spazio di libertà sempre da conquistare» e nel dialogo con il suo traduttore l’autore si sofferma sulla genesi del romanzo e sul suo modo di scrivere, toccando anche inediti aspetti personali.
Matei Vișniec è noto finora in Italia per le sue opere drammaturgiche, adattate in italiano e messe in scena in molti teatri. La prima rappresentazione di una sua commedia è stata al Piccolo Teatro di Milano nel 1992, e da allora è stato proposto con grande successo di pubblico e critica a Roma, Bologna, Cagliari, Catania, Palermo ecc. Qui di seguito diamo l’elenco di alcune delle sue numerose opere teatrali scritte in gran parte in francese e disponibili in traduzione italiana:  

La storia del comunismo raccontata ai malati di mente e altri testi teatrali (contiene anche:Teatro decomposto o l'uomo-pattumiera, Attenzione alle vecchie signore corrose dalla solitudine, La parola 'progresso' sulla bocca di mia madre suonava terribilmente falsa), a cura di Emilia David, traduzione di Pascale Aiguier, Davide Piludu, Giuseppa Salidu, Editoria & Spettacolo, 2012
.

Occidental express, traduzione a cura di Gianpiero Borgia, in collaborazione con il cast, saggio introduttivo di Gerardo Guccini,Titivillus, 2012.

Riccardo 3. non s'ha da fare, o Scene della vita di Mejerchol'd, traduzione italiana dal francese a cura di Pascale Aiguier, Davide Piludu e Giuseppa Salidu, Palermo, Theatrum Mundi, 2011.

Come spiegare la storia del comunismo ai malati di mente, Teatro Laboratorio Isola di Confine, 2010.

Drammi di resistenza culturale: I cavalli alla finestra-La donna come campo di battaglia, saggio introduttivo di Gerardo Guccini e nota sulla traduzione di Pascale Aigueier, Davide Piludu e Giuseppe Salidu,Titivillus, 2009
.


Sindrome da panico nella Città dei Lumi è un romanzo (pubblicato di recente dall’editrice Voland) in cui si possono individuare quattro livelli principali: autobiografico, sentimentale, surreale, nostalgico. E forse se ne potrebbe aggiungere un quarto: comico. Si riconosce in questa dimensione poliedrica del libro: sì, no? E perché? 

Certo, mi riconosco in questo processo di moltiplicazione degli angoli di approccio. Nei miei romanzi cerco di raccontare qualcosa, ma attraverso la voce di diversi testimoni «oculari» degli eventi, oltre che attraverso diversi filtri emotivi. Per me il romanzo è una narrazione ma anche una costruzione, un dialogo con i personaggi, e pure un tentativo di lasciare che siano i personaggi a scrivere le proprie storie. Non è escluso che alcune delle tecniche a cui ho fatto ricorso provengano dall'area teatrale, perché durante la mia vita ho scritto molte opere teatrali, in due lingue, in romeno e francese. Un grande regista francese, Antoine Vitez, diceva agli attori questa cosa: «Non dovete ‘giocare’ a fare un personaggio, bensì giocare con un personaggio». In un certo senso, ho adottato questo principio nella scrittura in romeno: a volte gioco con i personaggi, li sfido, cerco di ascoltare il loro punto di vista, li lascio evolvere in direzioni note solo a loro e mi sorprendono... Quindi, c'è una dimensione ludica nel mio modo di scrivere. Direi anche che quando inizio un romanzo, o una storia, o un'opera teatrale, cerco di ascoltare le voci interiori del testo. Un testo è qualcosa di vivo, qualcosa che nasconde in sé alcune forme di energia, alcune possibili direzioni evolutive... Quando scrivo, collaboro con il testo che scrivo perché lo considero non tanto un prodotto delle mie capacità inventive, ma un compagno. Forse può sembrare complicato quello che sto dicendo, ma in realtà è molto semplice: l'uomo non è una scienza esatta, né la creazione, ci sono anche livelli inspiegabili nel percorso artistico...


Cosa ha fatto scattare, o quando è scattata in lei la molla che l’ha spinta a immaginare l’universo di questo romanzo?       


Questo romanzo è nato anche dal desiderio di parlare di Parigi, di questa magica città dove vivo dal 1987... Fino all'età di 31 anni, nella Romania comunista, i viaggi all'estero erano progetti utopici. Il regime totalitario non permetteva alle persone di viaggiare normalmente. Da giovane sognavo di avere una borsa di studio all'estero, di vivere almeno qualche mese nelle grandi città d'Europa, a Parigi, a Roma o a Londra.
Ma sapevo che era un progetto impossibile da realizzare. Viaggiavo solo con l'aiuto dei libri, leggendo la grande letteratura del mondo. Tuttavia, quando sono arrivato a Parigi, non potevo credere che quello che mi stava succedendo fosse vero, avevo l'impressione di sognare... Mi sono detto allora: «Questa città mi offre una grande possibilità, la devo non deludere, le devo restituire qualcosa, tutto il meglio e il più creativo che c’è in me.» C'è una lunga tradizione di artisti stranieri che vengono a Parigi per realizzarsi, per rinascere. E posso dire di essere rinato a Parigi diventando uno scrittore francofono.
Ma Parigi può anche essere una trappola. A volte ti paralizza come artista perché ti rendi conto di vivere in un museo e ti chiedi: è necessario per me aggiungere un altro oggetto da esporre in questo luogo così ricco di cultura? Tutti possiamo elencare qualche decina di nomi di artisti stranieri che Parigi ha reso famosi. Ma Parigi ha anche fagocitato decine di migliaia di artisti senza dare loro la possibilità di accedere all'universalità, alla celebrità... Tutte queste sfaccettature di città-museo, di città-trappola, di città-illusione mi hanno spinto a scrivere questo romanzo.


Il suo romanzo può anche essere visto come un viaggio storico-antropologico-letterario nell’Europa pre e post Cortina di ferro, dai cortocircuiti di varia intensità. Di questi, quali sono i più/meno ricchi di conseguenze secondo lei?    


Ho avuto un interesse costante per queste complicate relazioni Est-Ovest. Io sono nato in un paese dove gli artisti avevano un certo complesso culturale rispetto all’Occidente. Ci sentivamo lontani dalle grandi capitali della creazione, ci sembrava di essere marginali, di essere arrivati ​​tardi nello spazio della competizione artistica. Mi dicevo, a volte, insieme ai miei colleghi di generazione: quanto siamo bravi, come scriviamo bene, ma nessuno verrà mai a scoprirci qui, in Romania. Questa frustrazione era profonda e mi ha spinto a partire per l'esilio... In seguito, dopo la caduta del comunismo, le cose sono cambiate, si è instaurata una circolazione normale tra Est e Ovest. Oggi, gli artisti della Romania e di altri paesi dell'Europa orientale riescono ad attirare l'attenzione in Occidente senza doversi spostare fisicamente nello spazio occidentale. Io stesso vivo oggi tra Francia e Romania. Ma mi sono formato con questo pregiudizio: che avevo bisogno di una omologazione in Occidente per far riconoscere il mio valore nel paese d’origine. D’altronde, questo tipo di pensiero persiste. L'Occidente resta un miraggio spesso fatale per gli artisti di altri spazi, una sorta di ciclope con un occhio solo orientato verso sé stesso.


Dagli echi che avuto modo di captare all’uscita del romanzo nei paesi dove è stato tradotto, come è stato accolto?  


Ho avuto grandi soddisfazioni con questo libro, prima di tutto in Romania dove ho avuto numerose e lodevoli recensioni e dove Sindrome da panico nella Città dei Lumi ha vinto importanti premi. Il romanzo è stato apprezzato anche in diversi altri paesi (tra cui la Russia!).


Pensa che il suo romanzo sia ancora attuale o che sia ormai superato in qualche modo?


Uno scrittore non dirà mai che uno dei suoi libri potrebbe essere «superato», significherebbe suicidarsi se affermasse una cosa del genere. Quindi, credo che finché durerà il fascino esercitato dalla Città dei Lumi, il mio romanzo rimarrà attuale.


Ci può raccontare un po’ dei suoi legami con l’Italia?


L'Italia è entrata nella mia vita quando ero studente nella piccola città di Rădăuți, nel nord della Romania. Ed è penetrato in modo duraturo, emotivo, prima di tutto attraverso i suoi film. A quel tempo, il neorealismo italiano aveva un enorme impatto sui paesi dell'Est. Penso che ogni due o tre settimane andavo a vedere un film italiano o franco-italiano. Fellini, Rossellini, Antonioni, Pasolini sono artisti che mi hanno sconvolto con i loro film, alimentando la mia immaginazione e dandomi le chiavi per capire il mondo. Contemporaneamente ho iniziato a leggere letteratura italiana, e il primo libro che mi ha commosso profondamente è stato Cuore di Edmondo de Amicis. Lo leggevo e rileggevo, alternandolo con Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi. Poco dopo, ovviamente, mi sono affezionato subito a Pirandello, a Dino Buzzati, a Moravia, a Calvino... Tra i miei libri preferiti, durante l’adolescenza, c'era Il gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Mi affascinava l'idea che uno scrittore potesse scrivere un solo romanzo ed entrare con esso nella posterità e nell’universalità. Tuttavia, mi sono nutrito anche della poesia di Cesare Pavese, e il suo libro Il mestiere di vivere mi ha ossessionato a lungo.
Forse è difficile capire oggi come sia stato possibile tradurre tanta letteratura straniera in un paese comunista. Ma questa è la verità, dopo il 1965 c’è stata un'apertura in Romania e gli intellettuali romeni ne hanno approfittato per tradurre in massa, nonostante la lotta con la censura... Sempre durante l'adolescenza compravo, nella mia piccola città di provincia, libri sull'arte moderna ed è così che ho scoperto De Chirico e Modigliani... Sto solo evocando qui i miei anni formativi, quando la cultura italiana e quella francese si infiltravano quasi naturalmente nella mia anima. Per non parlare della musica italiana, che veniva trasmessa spesso alla radio negli anni ‘60 e ‘70. Qualcuno si ricorda ancora di Gianni Morandi in Italia oggi? Be’, io lo adoravo da ragazzo...


In fine, è appena uscito il suo nuovo romanzo per Polirom, Un secol de ceață. Di cosa tratta, ce ne può parlare?   

Collocherei questo romanzo nella categoria della narrativa storica, sebbene tutti i suoi punti di partenza siano reali, si nutrono di eventi vissuti nella mia stessa famiglia e da me stesso nel mio pendolarismo culturale est-ovest. L'ombra di Hitler e l'ombra di Stalin aleggiano su molti capitoli, e non è un caso che la seconda parte del libro sia intitolata Il male ha sempre un fratello gemello. È un romanzo sulle nebbie ideologiche del secolo scorso, a volte prolungatesi pure in questo XXI secolo. Cerco, in questo romanzo di decine di personaggi, distribuito lungo cento anni e 850 pagine, di capire io stesso perché le persone non imparano mai nulla dagli errori del passato e soprattutto perché ripetono gli errori della sottomissione volontaria. La storia mi ha sempre appassionato, ho studiato filosofia e storia in Romania. Quindi, provo a parlare dei dilemmi del secolo scorso e di quelli che si profilano all'orizzonte. Con questo tragico ammonimento, lasciato a noi in eredità fin dagli antichi greci: solo i problemi hanno soluzioni, non i dilemmi...





Intervista e traduzione a cura di Mauro Barindi
(n. 1, gennaio 2022, anno XII)