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Cioran, l’orrore e l’estasi della vita. Dialogo con Massimo Carloni
La figura del grande pensatore romeno, il suo rapporto con la tradizione filosofica e religiosa, come pure la ricezione della sua opera in Italia sono al centro del dialogo tra Ciprian Vălcan e Massimo Carloni, studioso del filosofo di Răşinari. «Di Cioran – rivela Carloni – mi seduce la sincerità con la quale abborda le problematiche della vita. La chiave decisiva per comprendere la sua figura la fornisce lui stesso, riprendendo una formula di Baudelaire: l’orrore e l’estasi della vita, sentiti simultaneamente. Occorre sempre tenere insieme questi due atteggiamenti».
Massimo Carloni, com’è arrivato a conoscere l’opera di Cioran?
Nella prima metà degli anni ’90 m’imbattei in qualche suo aforisma, riportato in un libro sul Pensiero negativo e la nuova destra, dove Cioran era frettolosamente annoverato tra gli scrittori del tramonto, sulla scia di Nietzsche, Spengler, Bataille, ecc. Furono sufficienti due o tre formule, da cui emanava una luce particolare, miracolosa, per decidere di approfondire l’opera di questo scrittore a me sconosciuto, definito magiaro (sic!) in quel saggio. Così, ammaliato dal titolo, scelsi la Tentation d’exister. La vera folgorazione, tuttavia, avvenne quando da Parigi mi portarono in regalo il volume delle Opere edito da Gallimard. Il contatto diretto col suo francese, ad un tempo levigato e dirompente, fu decisivo. Mi commossero poi le foto della sua mansarda. Quest’uomo – mi dissi – non si limita a meditare intorno all’essenziale: lo vive.
Qual’è la sua interpretazione dell’opera di Cioran?
Innanzitutto, vorrei proporre una distinzione. Durante gli anni romeni, Cioran è essenzialmente un pensatore che scrive, laddove le idee e l’urgenza di liberarsene prevalgono sulla forma espositiva. Durante quel periodo di frenesia intellettuale divora di tutto, ma la febbre emotiva e la disperazione gli impediscono di elaborare pienamente ciò che assimila. Ciò a detrimento della scrittura, che risulta verbosa e sfiancante per il lettore. Il Cioran francese, al contrario, è soprattutto uno scrittore che pensa, quindi l’esigenza dello stile è avvertita come primaria, tanto più in un Paese, la Francia, che vanta una tradizione letteraria secolare, dove l’arte del bon mot assurge ai vertici dell’esperienza umana.
Parallelamente al cambiamento idiomatico, non bisogna sottovalutare il rovescio esistenziale verificatosi in quel periodo. Da intellettuale engagé in Romania, coinvolto nelle turbolente vicende politiche del suo Paese, Cioran si ritrova emigrante in Francia, a vivere d’espedienti come uno studente fuori corso. In patria, credeva ancora nella Storia, nella possibilità di incidere sul corso degli eventi, esercitando magari un ruolo a livello ideologico. In Francia è un signor nessuno, uno straniero socialmente emarginato, posizione ideale per osservare con disincanto la decadenza d’una civiltà. Qui, recupererà lo scetticismo tanto denigrato in gioventù, così come il buddhismo, filosofia a-storica per eccellenza. Attraverso un’analisi spietata affilerà le armi del dubbio, per mettere a nudo le contraddizioni d’una società ancora impregnata di visioni utopiche e religiose. Tuttavia, la prospettiva da cui osserva gli eventi rimane sempre metafisica: la Storia è il frutto di una caduta originaria, ontologica, che noi tutti continuiamo a perpetuare nel tempo.
Questa visione lo spinge a cercare altre vie di salvezza, al di fuori del Cristianesimo, la cui rozza mitologia, incentrata sulla figura d’un Dio creatore, ai suoi occhi aveva ormai i secoli contati… Della Bibbia ammira tuttavia la Genesi, il racconto della caduta, della separazione dalla pienezza originaria. La mistica cristiana lo tenta, ma è ancora troppo impregnata di Dio per sedurlo. Le filosofie orientali, decisamente antidogmatiche, gli parlano ancora. Alla loro saggezza empirica, medicale, si rivolgerà per curare le ferite di quella grande malattia che è la vita.
Quali aspetti dell’opera di Cioran hanno attirato la sua attenzione ad una prima lettura e quali continua a considerare importanti ancora oggi?
Ciò che inizialmente mi ha attirato, e continua tutt’ora a sedurmi, non è un aspetto in particolare, quanto piuttosto la libertà, ovvero la sincerità con la quale abborda le problematiche della vita, dall’insondabile all’aneddoto, per dirla con le sue parole. L’approccio di Cioran è sempre esistenziale, non per niente i suoi primi maestri furono Pascal, Kierkeegard e Nietzsche, pensatori sui quali anch’io, molto più modestamente, mi sono formato. Ciò ha indubbiamente favorito l’istaurarsi di un’immediata affinità spirituale con Cioran. Insomma, ci siamo intesi subito. Il sonner vrai delle sue ossessioni si sposa inoltre con uno stile sobrio, antiaccademico, a tratti confidenziale, che fa assomigliare la lettura dei suoi opuscoli ad una gradevole passeggiata notturna con un amico, dove si parla liberamente di tutto.
Mi piace rilevare ciò che ritengo essere la chiave decisiva per comprendere la figura di Cioran. La fornisce lui stesso, riprendendo una formula di Baudelaire: l’orrore e l’estasi della vita, sentiti simultaneamente. Occorre sempre tenere insieme questi due atteggiamenti apparentemente inconciliabili. Di norma i critici tendono a sottolineare il primo aspetto, l’orrore della vita, facendo di Cioran un campione di nichilismo, un misantropo amatore di catastrofi; il che rappresenta solo una parte della sua personalità. Ad ogni modo le testimonianze, l’epistolario che lentamente sta riaffiorando, mostrano l’altro Cioran: passionale, premuroso, generoso, amante della natura. L’opera, pertanto, andrebbe letta in filigrana, tenendo sempre a mente quell’arte di pensare contro se stesso, così elegantemente esibita nei suoi aforismi.
Quale scrittore del XX secolo potrebbe essere paragonato a Cioran per quanto riguarda i temi della riflessione e lo stile?
Limitandomi al panorama letterario italiano, a livello di stile mi piace accostarlo a due «scrittori per caso», che impugnarono la penna per attenuare le loro amarezze, quali furono Leo Longanesi ed Ennio Flaiano, anche loro maestri nell’aforisma lapidario, di derivazione francese.
Quanto ai contenuti, il pensiero va a Guido Ceronetti, poeta, filosofo, scrittore e opinionista, nonché traduttore, drammaturgo, teatrante e marionettista, che, com’è noto, è stato amico di Cioran. Questi gli dedicò un insolito ritratto, contenuto in Exercices d’admiration. Direi che i due hanno parecchi tratti in comune, non ultima, una concezione gnostica del mondo, permeata di venature apocalittiche. Entrambi anti-moderni, hanno in orrore l’epoca della tecnica e guardano con sospetto l’idea di progresso. Ceronetti, da raffinato esegeta e traduttore di molti libri dell’Antico Testamento, condivide con Cioran la passione per Giobbe e Qhoelet. E poi lo stile: Ceronetti, al pari di Cioran, è un incisore, un cesellatore della parola. La loro scrittura si muove secondo un ritmo che tende naturalmente all’epigramma. Altro tratto comune è l’uso della prosa corrosiva, tipica dei moralisti, che sferza e fustiga i costumi dei contemporanei, abitatori delle tenebre. Infine una curiosità: qualcuno in Italia ha proposto addirittura la fusione dei loro cognomi in… Cioranetti!
Considera giusta l’opinione degli esegeti che considerano Cioran il principale continuatore di Nietzsche nel XX secolo?
Da un punto di vista filosofico Cioran, almeno agli inizi, s’inserisce nel varco aperto da Nietzsche. Il filosofo tedesco taglia i ponti con il pensiero a lui contemporaneo, con la cultura accademica e il suo gergo, proponendo uno stile dinamitardo del tutto innovativo. Cioran lo riconosce: «Nietzsche è stato eminentemente liberatore… Un attentato all’idea di sistema… dopo di lui si può dire tutto». Nietzsche stesso attinse alla tradizione moralistica francese, salvo poi allontanarsene per vestire i panni del profeta Zarathustra, e del riformatore con gli scritti sulla trasvalutazione di tutti i valori.
Dal punto di vista dell’esaltazione interiore, si può dire che Cioran inizia dove Nietzsche finisce: in un’euforia eccessiva, senza pause, che trova compiacimento nella distruzione delirante. Tuttavia, se da un lato Nietzsche sfocia nella follia, la demiurgia verbale cioraniana si raffredda, trovando la misura a contatto con lo scetticismo prima, e con il vuoto buddista poi, per assestarsi infine in una tonalità in minore.
Quanto ai contenuti, Cioran non coltiva mai l’illusione di un’umanità migliore, un ubermensch a venire. La condizione umana, per lui, è il frutto d’una caduta irrimediabile e senza sbocchi. A tal proposito, occorrerebbe parlare piuttosto di un untermensch, la cui saggezza si riduce a bricoler dans l’incurable…
Attualmente a che punto è la ricezione dell’opera di Cioran in Italia?
Il pubblico italiano ha conosciuto tardivamente Cioran, agli inizi degli anni ’80, per iniziativa del prof. Mario Andrea Rigoni, amico e traduttore di Cioran, e dell’editore Adelphi, che ne pubblicò l’opera. Nel corso d’un decennio furono dati alle stampe i più importanti testi, sia francesi che romeni. Dopo la traduzione dei Cahiers, tuttavia, le pubblicazioni si fanno sempre più sporadiche e senza un ordine preciso.
Quanto alla ricezione del pubblico, inizialmente Cioran ha avuto un impatto notevole sul milieu culturale italiano, conquistandosi l’ammirazione di una nutrita schiera di intellettuali e scrittori: da Citati a Ceronetti, da Calvino a Carmelo Bene, solo per citarne alcuni tra coloro che lo hanno accolto e riconosciuto come un grande maestro di pensiero e di stile. Il mondo accademico tuttavia, soprattutto in ambito filosofico, lo ha rigettato come un corpo estraneo. D’altronde questo non sarebbe certo dispiaciuto a Cioran… Da sottolineare invece la presenza di un nutrito gruppo di fedeli lettori, difficilmente classificabile, socialmente trasversale ed in gran parte sommerso, che aspetta avidamente ogni nuovo scritto del pensatore romeno. A questo riguardo, sono coinvolto in un progetto editoriale per la pubblicazione degli inediti di Cioran in Italia.
A livello universitario, da qualche tempo, emergono studi e ricerche, concernenti la giovane generazione degli intellettuali romeni degli anni ‘30, e il loro coinvolgimento politico. In un Paese come l’Italia in cui, anacronisticamente, la contrapposizione tra destra e sinistra è ancora molto sentita, si tende ancora a classificare gli scrittori secondo una certa coloritura politica che, nel caso di Cioran, appare francamente ridicola, considerati gli sviluppi successivi della sua opera. Per certi versi, e concludo, Cioran può essere considerato un vero e proprio antidoto contro il virus del fanatismo ideologico e religioso.
Intervista realizzata da Ciprian Vălcan
(n. 7, luglio 2012, anno II)
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