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Maria Rosaria Selo: «Oggi scrivere è oltremodo una responsabilità»
Nella sezione Scrittori per lo Strega della nostra rivista, a cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone, vi proponiamo una nuova serie di 10 interviste con gli scrittori segnalati all’edizione n. 76 del Premio, e con i loro libri, allargando ovviamente lo sguardo ad altri argomenti di attualità.
Maria Rosaria Selo, nata a Napoli nel 1961, è segnalata per il romanzo L’albero di mandarini (Rizzoli, 2021), Premio Cultural Classic sezione scrittura 2021. Diego Guida lo presenta così: «L’albero di mandarini è una saga familiare con tutti i crismi del romanzo storico, ricca di fatti e di tempo, oltre quarant’anni della vita di Maria Imparato, realmente vissuta, che si snoda tra una Napoli non stereotipata, ma descritta come un essere umano, e la sua gemella oltreoceano, Rio de Janeiro. Alcune pagine, in specifico quelle dei bombardamenti sulla Napoli miseranda del 1943, sono addirittura assordate dal rombo della “grande guerra” quando essa imperversa sulla testa della piccola gente, massa biologica indiscriminata».
«Se tieni delle ferite devi guardarci dentro», si dice, «perché è là che ci trovi la bellezza». Piccole increspature dell’anima. Le crepe possono essere foriere di benefici interiori, quantunque le ferite?
Le ferite interiori, nella vita sono indispensabili. I ‘tagli’ aiutano a crescere, non si può riconoscere il bene se non si è conosciuto il male. Noi, donne, abbiamo dei luoghi intimi in cui nascondere lacrime e sorrisi, amori e delusioni, insomma tutto ciò che accade nell’adolescenza e che ci investe come un fiume in piena. Una volta conservati i sentimenti, si adottano gli atteggiamenti, si impara a difendersi e a relazionarsi con gli altri nella maniera giusta. Tutto si conserva per dare soluzione ai drammi intimi, che serviranno ad affrontare gli inevitabili momenti oscuri della vita di ognuna di noi. Ma anche le cose belle, naturalmente. Gemme preziose, doni della vita.
Amore, condivisione, solidarietà sono solo alcuni dei temi che affronta. Qual è il messaggio etico che intende veicolare?
La mia scrittura tende a umanizzare, a raccontare vite di ogni genere, con le increspature che generano incertezze e disincanto. Cerco di armonizzare, di rendere empatici i personaggi che divengono reali, quindi suggeriscono soluzioni a drammi quotidiani. Sono certa che solo se si sta insieme, se si fa squadra si abbatte quel muro simbolico che è l’ignoranza, la prevaricazione, la violenza. Questo vale per le donne (delle quali mi occupo principalmente) e anche per gli uomini, quelli veri e puri, che ci affiancano nelle difficoltà quotidiane.
Il suo romanzo narra di quel laccio sentimentale inscindibile che è la famiglia. Perché i legami familiari sono sempre così passionali, in grado, al contempo, di allontanare e attirare, congiungere e dividere, annientare e generare?
La famiglia è la radice, questo simboleggia anche l’albero di mandarini che parte dal titolo e sarà simbolo di un legame assoluto che andrà avanti per tutta la narrazione. La famiglia non la si sceglie, per cui risulta indispensabile capire l’altro, perdonare, assolvere. Se non si vive bene in famiglia, non si vive bene nel mondo, ci sarà sempre una ferita aperta, per cui è necessario trovare un compromesso, restando saldi ai propri principi.
Il percorso della protagonista si dipana anche a ritroso nel tempo; si serve di ricordi ingialliti e via via emergenti. La sua personale indagine adopera flashback che compongono un puzzle di notevole impatto emozionale. Quale valore attribuisce all’elemento della ‘memoria’ nella texture del suo romanzo?
La memoria è importantissima, ed è altrettanto importante, per uno scrittore, che non sia sempre fedele, poiché in tal modo si ha la possibilità di reinventare una storia vera, creando personaggi che fanno da cardine ai protagonisti e rendono appassionante la lettura. La memoria storica, è altra cosa. Deve essere fedele, sempre, magari raccontata attraverso gli occhi di chi prende parte alla narrazione, affinché il lavoro non risulti olografico e banale.
In un tempo politico, sociale ed economico che grida l’impellente bisogno di tessere un dialogo con se stessi, la conflittualità interiore può essere lenita dalla scrittura?
La scrittura salva la vita, questo è risaputo, ma vero. Per quello che mi riguarda, per la solitudine che appartiene a chi scrive (solitudine necessaria per la stesura di un romanzo), il dialogo interiore è ininterrotto. Chi scrive ha una responsabilità. Le parole possono essere pericolose e la penna può e deve divenire piuma o spada, per scuotere, sensibilizzare o ammansire, rassicurare il lettore. Per fare questo, bisogna sì conoscere se stessi a fondo, avere quel conflitto che ti allarga la visione e insinua dubbi, ma conoscere anche gli altri, essere delicati e sensibili, comprendere, almeno si spera, come va il mondo.
Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una «sintesi organica dell’anima e del pensiero d'un popolo». Posto che la letteratura siauno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?
La Storia, quella con la esse maiuscola, si fa iniziare per convenzione, con l’introduzione della scrittura. Infatti, è grazie alla scrittura che possiamo riconoscere la cultura dei popoli, i fatti che accadono e sono accaduti. Inoltre, permette di dare libero sfogo ai propri stati d’animo e di esprimere sentimenti ed emozioni. La scrittura, nel tempo, ha permesso alle varie generazioni di lasciare una traccia scritta delle proprie azioni, della propria cultura e delle proprie opinioni e, dunque, ci ha consentito di ricostruire più facilmente la loro storia.
La storia, oggi, è estremamente complessa. Stiamo attraversando una pandemia che lascia morte, disagi economici e dissidi. Il disastro ecologico, di cui l’uomo è il maggiore colpevole, sta lentamente distruggendo il pianeta. Inoltre, c’è il dramma della guerra in Russia, che sta devastando un’intera popolazione. Donne e bambini soli, uomini costretti a combattere. Quindi, scrivere è oltremodo una responsabilità, e la funzione fondamentale della scrittura, oggi, è quella di riportare i fatti come cronaca, ma anche attraverso un romanzo, in maniera esatta ed esaustiva, affinché resti la memoria di questo tempo che è senza dubbio il più difficile dopo la Seconda Guerra Mondiale.
La scrittura contemporanea può annoverare letterate illuminate, vere pioniere quanto a innovazione e rispetto della tradizione. Qual è l’attuale status della letteratura esperìta da donne?
Le donne hanno sempre sperimentato la scrittura, a partire da Mary Shelley, per continuare con Virginia Woolf, Elsa Morante, Anna Maria Ortese e tante altre autrici di varie epoche e pensiero. Oggi, con la sudata e guadagnata libertà, c’è una forza letteraria che porta ai margini del concetto femminile, scandaglia le personalità ed esalta le sfaccettature di noi, donne. La difesa del proprio corpo, la lotta contro il femmicidio e altri temi scottanti del nostro tempo hanno spinto le scrittrici a tirare fuori le proprie inclinazioni e renderle pubbliche, condividerle, per comunicare all’altro il proprio pensiero. Un esempio di scrittura femminile difensiva ed esplicativa è il capolavoro di Clarissa Estés, Donne che corrono coi lupi. Qui si narrano storie che mettono in moto la vita interiore di donne che si impegnano a recuperare l’istinto e la creatività in genere soffocate da schemi, limiti culturali e sociali. La donna di oggi ha dimostrato di primeggiare in ogni ambito lavorativo, e questo vale anche per le opere letterarie, che abbracciano ogni stile, dal classico, al memoir, fino al giallo, al gotico e al fantasy. Per cui si può dire che la donna cavalchi il tempo, da sempre.
Hegel sviluppa una definizione del romanzo: esso è la moderna epopea borghese. Lukacs afferma che questo genere, essendo il prodotto della borghesia, è destinato a decadere con la morte della borghesia stessa. Bachtin asserisce che il romanzo sia un «genere aperto», destinato non a morire bensì a trasformarsi. Oggi, si notano forme «ibride». Quali tendenze di sviluppo ravvede di un genere che continua a sfuggire a ogni codice?
Il romanzo è l’unico genere letterario in divenire, ovvero ancora incompiuto… è procreato e nutrito dall’epoca moderna. (M.M. Bachtin) La scrittura, come tutta l’Arte, deve essere libera. È fondamentale la sperimentazione nella scrittura attuale, soprattutto per i giovani, che esprimono con nuovi stili il loro modo di vedere il mondo e vivere la vita. C’è una disputa continua sulla purezza del romanzo, che resta, come dicevo prima, in continua evoluzione. Ci sono innesti nella scrittura che la rendono ‘contemporanea’ come l’Arte della pittura o della scultura di oggi, senza mettere in ombra, o definire scomparso, il romanzo classico.
La letteratura romena si fregia di una robusta altresì varia produzione. Essa è costantemente tradotta in lingua italiana, con nomi di punta quali Ana Blandiana, Herta Müller, Mircea Cărtărescu, Emil Cioran, e la rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» ne registra le pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2021. Quali scrittori romeni hanno attirato la sua attenzione?
Sebbene sia tradotta e distribuita in Italia, la maggior parte della Letteratura romena, pur vivendo un momento felice, purtroppo è conosciuta soprattutto dagli addetti ai lavori. Fanno eccezione sicuramente Ionesco, con il suo Teatro dell’assurdo, Tristan Tzara, fondatore del Dadaismo, Eliezer Wiesel, attivista per i diritti umani attraverso i suoi articoli e saggi. Per quello che mi riguarda, ho letto e amato molto Norman Manea, la sua autobiografia, Il ritorno dell’Huligano, intenso romanzo che narra del periodo della guerra vissuta da bambino, del terribile dopoguerra in patria e della decisione di lasciare poi il Paese. Utile anche per la stesura del mio romanzo L’Albero di mandarini.
A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 4, aprile 2022, anno XII)
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