Riscoprire Madame Vitti. In dialogo con Marco Consentino e Domenico Dodaro
Madame Vitti (Sellerio Editore, Palermo, 2022), di Marco Consentino e Domenico Dodaro, riscopre una storia vera e dimenticata in un romanzo dalla scrittura fortemente visiva. È il racconto di una donna italiana, Maria Vitti, nata nel 1872, che dalla Ciociaria emigra a Parigi alla fine dell’Ottocento e, nel pieno dei fermenti della Belle Époque, fonda un’accademia di Belle arti per sole donne. La scuola aprì i battenti nel 1890 ed ebbe come primo insegnante Paul Gauguin. Era la porta per entrare alla pari e da libera nel mondo della creazione artistica, districandosi tra pregiudizi invincibili, l’istinto di sopraffazione del marito, un rapporto complicato con le due sorelle, il ricatto dei sentimenti. La società è ancora oggi, nei fatti se non nelle intenzioni, maschiocentrica: basta consultare le percentuali di occupazione delle posizioni apicali in enti e imprese, le differenze retributive a parità di posizioni lavorative, le difficoltà che tuttora una donna incontra nel bilanciamento tra famiglia e lavoro. Anche Maria Caira, alias Madame Vitti, riesce a cogliere il successo soltanto grazie a un carattere straordinario, alla sua personalissima capacità e alle energie enormi spese nel destreggiarsi tra regole scritte e soprattutto non scritte. Lo abbiamo appena detto: anche dopo la Rivoluzione, la Francia (pur avanti rispetto ad altri sistemi economico-sociali) è un sistema profondamente conservatore: il Codice napoleonico, nel riconoscere la famiglia come tassello ineliminabile della costruzione sociale, non apporta nessun elemento di novità rispetto alla posizione della donna, la cui indispensabilità nell’equilibrio famigliare costituisce l’ostacolo principale all’acquisizione di ruoli e di responsabilità per così dire esterni. Anche nella Parigi della Belle Époque, per qualsiasi attività d’impresa la donna è dipendente economicamente e giuridicamente dal padre o dal marito. Ci vorrà il 1900 perché una donna, la Signora Chauvin cui facciamo un piccolo omaggio nel romanzo, sia ammessa a svolgere la professione di Avvocato. Il nudo maschile non era più grave ‘in sé’ di quello femminile; anzi, scoprire in pubblico parti del proprio corpo è stato con poche eccezioni nei secoli (e comunque lo era ai tempi di Maria) assai più complicato per le donne che per gli uomini. Era considerato inaccettabile che le donne, per lo più ragazze di buona famiglia e disposte a sborsare consistenti somme di denaro per la partecipazione a corsi di Belle arti, potessero essere ‘esposte’ alla visione delle nudità maschili. L’accesso all’arte come professione era riservato agli uomini. Le donne praticavano le arti, anche quelle figurative, certamente, ma non avevano accesso alle grandi commesse pubbliche. Ricollegandoci alla domanda precedente, questa è certamente una ulteriore ragione per la quale alle donne non veniva concesso lo studio del nudo maschile dal vivo: studio indispensabile per la realizzazione dei panneaux a tema mitologico o religioso, su cui si concentrava gran parte della pittura allegorica nelle decorazioni di edifici pubblici e religiosi, territorio appunto riservato ai maschi. Sarebbe troppo facile – per quanto indubitabile – ricordare che chi non si arrende mai ha più probabilità di vincere rispetto a chi si lascia andare. Maria è un raro esempio di combattente. La verità però è che Maria, oltre a possedere doti non comuni, si portava addosso una fatica di sopravvivenza imparata da bambina, rispetto alla quale, a Parigi, non c’era niente che potesse sembrare impossibile; probabilmente neppure difficile. Maria scommette e vince anche perché è grata di essere viva. Non è molto diverso, oggi, per gli immigrati negli Stati Uniti. Le posizioni apicali di aziende e studi professionali non di rado sono occupate da gente nata altrove, con motivazioni fortissime. Per la storia personale di Maria, abbiamo avuto la fortuna di avere accesso a un archivio di documenti e memorabilia famigliari raccolto negli anni da un bis-bisnipote di Madame Vitti: Cesare Erario, titolare della «Casa Museo Académie Vitti» aperta qualche anno fa nella casa di Atina dove la stessa Maria Caira aveva trascorso con la sorella Giacinta e il marito Cesare Vitti gli ultimi trent’anni della sua vita. La contestualizzazione dei personaggi è stata complessa, ma fortunatamente il materiale disponibile, su un periodo storico vicino come gli anni a cavallo degli ultimi due secoli, è sterminato e facilmente accessibile. Veniamo da due anni in cui la nostra ‘proiezione’ esterna è stata molto condizionata, e la lettura ha avuto una vera e propria rinascita. Siamo stati colpiti dall’apprendere, da più di uno dei librai grazie ai quali abbiamo presentato Madame Vitti al pubblico, che negli ultimi cinque anni il profilo anagrafico dei lettori si è straordinariamente spostato verso gli adolescenti, che leggono in gruppo, si confrontano, comprano tanti libri. È una domanda enorme. Noi speriamo di sì. Anzi crediamo di sì. Con buona pace di Lukács, il romanzo probabilmente non morirà come non morirà la borghesia: apparteniamo a una generazione che ha assistito e sta assistendo a cambiamenti continui e più veloci di un tempo, tutto si trasforma, anche le «classi sociali» con una fluidità che certamente i teorici del terzo e quarto stato non potevano nemmeno lontanamente immaginare. A noi sembra che il romanzo sia una forma in grado di adeguarsi a questa fluidità, pur mantenendo connotati tutto sommato costanti. Però non siamo critici né filosofi, ci piace raccontare storie, tanto più se vere, che speriamo piacciano ai nostri lettori.
A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone |