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Orizzonti aperti: Mozart massone e illuminista. In dialogo con Lidia Bramani
Il dialogo con Lidia Bramani, scrittrice e musicologa, prendo spunto dal suo libro più recente, Le nozze di Figaro. Mozart massone e illuminista (Il Saggiatore, 2020). Nel 1993 Lidia Bramani vince il premio tedesco Siemens, che segna l’inizio della sua collaborazione ai Cicli Berlinesi con Claudio Abbado: è del 2015 La musica scorre a Berlino (Bompiani 2015), ultima testimonianza diretta del grande maestro, che rielabora, rivede e aggiorna la conversazione Musica sopra Berlino (sempre per Bompiani 1999, edizioni tascabili, 2000). Ha curato e tradotto Canti di viaggio, l’autobiografia di Hans Werner Henze (Il Saggiatore 2006). Fra i suoi libri, Mozart massone e rivoluzionario (Mondadori 2005). Cura la serie di saggi musicologici internazionali per l’Archivio Ricordi. Per Feltrinelli ha pubblicato E Susanna non vien. Mozart e le donne (con Leonetta Bentivoglio; 2014).
Cristallizzato nell'immagine del genio irriverente preso solo dalla sua arte, folle e sregolato nel suo inconsapevole talento, Wolfgang Amadeus Mozart è rimasto intrappolato per secoli nel mito del puer aeternus. Tuttavia Mozart, d'indole brillante e multiforme, era perfettamente immerso nel suo tempo: sensibile ai fermenti che ispiravano gli ultimi fulgori del Secolo dei Lumi, aveva una biblioteca ricchissima con testi all'avanguardia e frequentava le personalità più illustri dell'epoca; era in sintonia con i princìpi riformatori dell'assolutismo illuminato dell'imperatore Giuseppe II e manteneva intensi rapporti con le logge massoniche viennesi e tedesche, nutrendosi dei loro ideali di tolleranza etica, religiosa e politica, di uguaglianza fra i sessi e fra le classi, arrivando persino a progettare di fondare una società segreta ispirata agli stessi valori. Mozart diede voce a questo afflato con lo strumento che meglio padroneggiava, la musica, attraverso capolavori come Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte e La clemenzadi Tito.
Le nozze di Figaro, in particolare – con la sua trama di una coppia di servi e una moglie che si oppongono a un padrone e marito dispotico e bugiardo –, grazie all'analisi di Lidia Bramani si rivela testimonianza massima della cultura europea di fine Settecento, vero e proprio manifesto illuminista, nonché critica serrata e implacabile alle forze più ottuse e conservatrici della società, di allora come di oggi.
Wolfgang Amadeus Mozart è rimasto intrappolato per secoli nel mito del puer aeternus. Era davvero svagato o ingenuo?
Non era certo svagato, e bisogna intendersi sul termine ingenuo. Da ragazzino si assoggettò con entusiasmo agli studi musicali, cui affiancò l’esercizio dell’amata matematica e un’abitudine alla lettura che non abbandonò mai. Amava Shakespeare, con la sua mescolanza di alto e basso, di comico e tragico, di aulico e di popolare. La sua piena maturazione compositiva è frutto non solo di uno stupefacente talento, ma anche di riflessioni estetiche che vagheggiò perfino di raccogliere in un libro. Su consiglio dell’amata moglie Constanze Weber, con cui da poco viveva a Vienna, si tuffò nell’approfondimento del contrappunto severo. Il mito distorto di una sua sconfinata, quasi grottesca, superficialità – compensata da un’altrettanto sconfinata, quasi divina, ispirazione – ha molte radici. Senza dubbio la geniale predisposizione di cui era dotato scatenò sorpresa ed entusiasmo. E quel dono di natura fu coltivato con lungimiranza da un padre musicista, ambizioso, determinato e amorevole, che fondava le sue modalità educative su un bilanciamento illuminato di piacere e impegno, di curiosità attiva e disciplina. Leopold Mozart si premurò di far viaggiare Wolfgang e la sorella Nannerl in modo da farli crescere con un’apertura mentale davvero straordinaria, che li metteva a proprio agio di fronte a religioni, culture, costumi differenti. Ammirati e vezzeggiati da re e regine, i due piccoli prodigi si resero conto di quanto la sapienza e l’abilità potessero scavalcare i muri che dividono gli uomini. I due fanciulli impararono le lingue sul campo: quando Nannerl si ammalò mentre si trovavano all’Aia, nel 1765, mentre si davano il cambio per accudirla giorno e notte, i genitori la sentirono delirare mescolando francese, inglese, tedesco. E nel dettagliato resoconto inviato al padrone di casa, a Salisburgo, Leopold si dichiarava felice di conoscere il latino, così da poter controllare ciò che il medico diagnosticava e prescriveva. Se i Mozart non disdegnavano certo le personalità importanti, stringevano legami di amicizia in base alla pasta umana degli individui, non alla loro posizione sociale. L’eco dell’eccezionalità mozartiana rimbalzò sui giornali e nelle memorie dell’epoca lasciando tracce indelebili: ma al gonfiarsi di una bolla fatta di montature e approssimazioni contribuì anche l’imprinting progressista della sua formazione famigliare. Non v’era nulla di perverso nelle scurrilità di Mozart, quelle che hanno dato adito a bizzarre diagnosi psicologiche. Era proprio con la madre che Wolfgang scambiava spiritose fantasie scatologiche, perché Maria Anna Pertl riteneva liberatorio questo modo di comunicare privo di censure, che i figli usavano con disinvoltura anche con la cuginetta, detta Bäsle. Come in Rabelais o in Ruzante, il corpo rivendicava il suo ruolo centrale, e questo non cozzava con il senso della misura, con un sincero spirito religioso, con l’uso delle buone maniere. Nel contesto domestico e amicale, Wolfgang e Nannerl dedicavano molto tempo al gioco fisico e verbale. Aggiungiamoci le distorsioni giornalistiche dopo la morte di Mozart. Allora come oggi, purtroppo, si cercava più la notizia della verità. Fu così che, in vari passaggi di mano oggi ricostruiti e documentati, le risposte di Nannerl, rilasciate in un’intervista dopo la morte di Mozart, vennero stravolte ad hoc. La sorella di Wolfgang, che reagì poi con sdegno alla manipolazione subita, aveva tratteggiato il fratello come ingenuo, sì, ma nel senso di generoso, di inetto a gestire le finanze – non perché lascivo spendaccione, ma perché troppo buono – pronto ad aprire il portafoglio e il cuore per aiutare gli altri. Un artista talmente immerso nella musica da non riuscire a gestire con lucida impostazione economica né la sua vita né la sua carriera. Descrizione simile a quella dello scrittore tedesco Friedrich Melchior Grimm, l’amico di Diderot che aveva ospitato Mozart a Parigi nel 1778. Detto questo, si può facilmente intuire quanto la stessa scrittrice Caroline Pichler fosse rimasta condizionata da un mito distorto e ormai consolidato quando raccontò di un Mozart che miagolava e saltava sulle sedie, nel salotto del padre. Peccato che lei, negli anni Ottanta, fosse una ragazzina, davvero troppo piccola per essersi fatta un’opinione autonoma di Mozart e Haydn, privi, secondo un giudizio tranciato dopo così tanto tempo nelle Memorie, di una mente all’altezza del loro talento! Chi si è calato nel mondo di Wolfgang, chi ha letto le sue lettere o quelle delle persone a lui vicine, chi conosce documenti e testimonianze – tra cui la biografia redatta dalla moglie con il suo secondo marito Georg Nissen – trova assolutamente naturale che lui si fosse seduto accanto alla piccola Carolina, intenta a strimpellare il Non più andrai farfallone amoroso dalle Nozze, per suonare con lei e farla ridere. Mozart adorava i bambini, e adorava ridere di sé stesso, del mondo, dei pregiudizi.
Mozart fu perfettamente immerso nel suo tempo. Ebbene, quanto aderì ai princìpi riformatori dell'assolutismo illuminato dell'imperatore Giuseppe II?
Non solo vi aderì, ma ne fu motore, ne fece parte in modo attivo, visto che si trovava in totale sintonia con il «rivoluzionario coronato» di cui parla con amore nelle lettere, e che sostenne la sua carriera, a Vienna. Che Giuseppe II avesse voluto l’allestimento delle Nozze di Figaro ce lo conferma Constanze stessa. Ma lo sappiamo anche dal poeta Da Ponte che ci riferisce, e non è l’unico, come fosse stato il musicista a scegliere (dopo avere scartato più di cento libretti!) Le mariage de Figaro di Beaumachais,la commedia cui l’Europa guardava come a una bomba rivoluzionaria gettata sull’ancien régime. Nonostante i comportamenti ambigui dell’autore francese verso la corona austriaca, Giuseppe II non aveva impedito la traduzione e la pubblicazione del suo Mariage. Pur avendo sensibilmente ridotto gli strumenti a disposizione della censura procurando disappunto tra nobili e clero, ne aveva vietato la rappresentazione, è vero, ma, come sappiamo da una sua lettera, più che altro per motivi etici e di decoro. Il comportamento libertino e bugiardo del Conte, benché deprecato, non gli sembrava adatto allo spirito già abbastanza corrotto e indomabile della nobiltà viennese, irritata per la tassazione proporzionale al reddito cui era stata da lui sottoposta, per il primo corpo giuridico moderno che sanciva l’uguaglianza di fronte alla legge, per l’eliminazione delle corvée contadine, per la tolleranza verso le differenti confessioni e l’ateismo, per l’assoggettamento della chiesa allo stato. Il cattolicissimo Giuseppe II impose a ogni parrocchia obbligatori compiti di assistenza alla popolazione, pena la requisizione dei fondi. Insomma, se per l’imperatore il teatro doveva essere veicolo di principi umanisti e illuministi, il rischio era che certi atteggiamenti finissero per diventare dei modelli a giustificazione dei propri comportamenti. Ciò nonostante, non solo permise ma sostenne la messa in musica mozartiana, assai più mordace nel messaggio politico e libertario, e più erotica che licenziosa. Mozart espresse la sua ammirazione per Giuseppe II anche nelle cantate massoniche. Ciò che scrisse al padre non ha bisogno di commenti: «Non servirei nessun monarca al mondo più volentieri dell’imperatore».
Wolfgang Amadeus Mozart ebbe intensi rapporti con le logge massoniche viennesi e tedesche. In qual misura si nutrì dei loro ideali di tolleranza etica, religiosa e politica, di uguaglianza fra i sessi e fra le classi?
Quando decide di stabilirsi definitivamente a Vienna, e cerca di tranquillizzare il padre, Mozart cita, fin da subito, alcuni personaggi chiave del combattivo illuminismo viennese, che sosteneva la politica riformista di Giuseppe II attraverso l’attività delle logge massoniche. Elogia la Contessa Maria Wilhelmine Thun, che lo ha messo in contatto, nel suo salotto, col fior fiore culturale, artistico, scientifico e politico della città. Ma nomina anche Josef Sonnenfels, che sovvenzionò le accademie private nelle quali Mozart si esibì, e che persino Leopold conobbe, quando andò a trovare il figlio, nel 1785. Sonnenfels fondò la più importante loggia massonica viennese, Zur wahren Eintracht, che svolgeva funzioni filantropiche, culturali, assistenziali, scientifiche, ed esplicitamente politiche. Le logge cui aderì Mozart, la prima dedicata alla Beneficenza la seconda alla Speranza Incoronata, agivano sotto l’ala della prestigiosa officina guidata da Sonnenfels, del quale il compositore possedeva quattro volumi di scritti, prevalentemente numeri della rivista L’uomo senza pregiudizio. A Sonnenfels si deve, ancor prima di Beccaria, la lotta contro la tortura e la pena di morte, nonché la realizzazione di centri di accoglienza dove le donne potessero partorire nell’anonimato, per tornare poi a una vita senza onta. Possiamo ricordare almeno altri tre Fratelli massoni, tra i tanti cui Mozart si legò negli anni viennesi. Accostando a Sonnenfels Ignaz von Born, Tobias Gebler, Gottfried van Swieten, formeremo la quaterna di eccellenze considerate colonne portanti dell’illuminismo viennese dagli storici e specialisti di quel periodo. Ebbene, ognuno di loro era vicinissimo a Mozart. Che dedicò nel 1785 la Maurerische Trauermusik KV477 a Ignaz Born – Maestro Venerabile, nonché insigne scienziato cui venne intitolato un minerale da lui scoperto, la bornite – ispirandosi a lui e a suoi saggi sull’Antico Egitto per il Flauto Magico. Con Tobias Gebler Mozart aveva collaborato fin dagli anni Settanta, musicando parti di un suo testo dal dichiarato spirito massonico, Thamos, König von Aegypten. A Gebler, protestante convertito al cattolicesimo, si doveva la richiesta di accurate indagini sulle condizioni dei contadini al fine di migliorarle, e l’impegno per una maggiore tolleranza religiosa. Fu lui a volere la fondazione della scuola elementare obbligatoria, finanziata con i beni sottratti ai Gesuiti e destinata alle bambine e ai bambini tra gli otto e i dodici anni, attraverso una rete capillare che doveva estendersi dalle città alle campagne. Anche van Swieten fu mecenate di Mozart: gli commissionò trascrizioni di opere di Händel e lo avvicinò al repertorio bachiano, cosa molto apprezzata dalla moglie Constanze. Come Sonnenfels e Born, Swieten faceva parte degli Illuminati di Baviera, che avevano posizioni politiche radicali, almeno negli obiettivi. Il modo in cui la cerchia di massoni legata a Mozart voleva cambiare il mondo non intendeva ricorrere a una rivoluzione violenta, ma perseguire un graduale e consapevole allargarsi dei diritti, nella direzione di una maggiore uguaglianza e giustizia. L’anticlericalismo, ad esempio quello tagliente dell’amico giornalista Aloys Blumauer, Fratello Massone di cui Mozart musicò il Lied alla libertà KV506, non comportava necessariamente ateismo. Mozart aderì sempre più a un cristianesimo sincretico, interiorizzato, basato sui valori e sui comportamenti, non sulla dottrina in sé, vista come ipocrita, costrittiva, arbitraria. E da assoggettare comunque a uno stato laico che garantisse a ogni confessione la piena autonomia, senza alcuna discriminazione. Tant’è che Mozart ebbe stretti contatti, personali e culturali, con l’illuminismo ebraico impersonato da Moses Mendelssohn, il grande filosofo – nonno del famoso compositore – che non rinnegò il proprio giudaismo ma lo difese e lo interpretò nell’ottica laica di uno stato moderno. Quel Moses Mendelssohn cui oggi la storiografia filosofica riconosce maggiore coraggio e apertura mentale del collega e amico Kant, al quale aveva strappato il primo premio, nel 1763, a un concorso indetto dall’Accademia delle Scienze di Berlino e con il quale aveva promulgato, nel 1784, il termine stesso di illuminismo, Aufklärung.
Una coppia di servi e una moglie si oppongono a un padrone e marito dispotico e bugiardo. Le nozze di Figaro come manifesto illuminista?
Ho cercato di sintetizzare ciò che spiego e documento nel mio libro, vale a dire da che retroterra etico, culturale, politico, scaturiscono Le Nozze di Figaro di Mozart – Da Ponte. Così come, nel libro, mi sforzo di chiarire fino a che punto l’aria del servo Se vuol ballare signor contino riesca a concentrare la critica all’arroganza nobiliare che anima Le mariage de Figaro di Beaumarchais. Un andamento sospeso tra danza e marcia trasforma le movenze affettate di un minuetto aristocratico in una scazzottata da strada. Il Conte è sbeffeggiato durante tutta l’opera, ma riesce a cambiare, a mettersi in discussione, a invocare il perdono della moglie, e a farlo di fronte ai suoi popolani, non nel privato delle sue stanze. E deve ormai tener conto di questa collettività, che dipende da lui ma rivendica i propri sacrosanti diritti. Mozart fa suo il principio massonico espresso anche da Beaumarchais nell’introduzione al suo Mariage: non intende criticare le classi sociali, ma gli abusi delle classi sociali. Il cuore femminista dell’opera è lapalissiano. E uso volutamente il termine femminista, perché all’epoca tale era, nella sua accezione storica e nobile, incontaminata. Le donne colte cominciavano a rivendicare parità, e a farlo in modo associativo: nelle logge massoniche femminili, nel teatro, nella musica, nella letteratura, dove potevano dimostrare le loro capacità, in circoli come quello londinese delle Blue Stocking, cui apparteneva l’antischiavista anglicana Hannah Moore, della quale Mozart conservava la tragedia Percy, con la sua veemente condanna delle Crociate. Dal punto di vista drammaturgico e musicale le donne guidano la vicenda, nelle Nozze di Figaro, determinano i fatti, esprimono la loro superiorità. Grintosa fin dalle prime scene, quando trascina il futuro sposo nella sfera dei suoi pensieri e della sua linea vocale, Susanna segue il piano elaborato dalla Contessa e sottratto a Figaro, tagliandolo fuori strategicamente e impartendo più tardi una sonora lezione alla sua improvvida gelosia, con la suocera Marcellina ormai schierata al suo fianco. La Contessa, dal canto suo, le chiede di accompagnare alla chitarra il canto di Cherubino – il paggio attraente al cui erotismo bisessuale e imberbe serva e padrona non sono insensibili – condivide con lei il maestro di musica Basilio, diventa amica, confidente, alleata della cameriera, le detta una lettera intima, sofferta e coraggiosa. E poi c’è Marcellina, un personaggio fantastico ad oggi ancora inconsciamente censurato. Una single che ha un figlio adulto illegittimo (in Beaumarchais, Figaro ha trent’anni), alla quale nessuno rinfaccia un passato non casto, e che viene chiesta in moglie dall’antico amante: mentre nel Mariage Bartolo è quasi costretto dalle circostanze a sposarla, Mozart e Da Ponte gli fanno prendere l’iniziativa con entusiasmo. Marcellina intona un’aria nobile, articolata, dallo stile händeliano e su un testo che s’ispira al quinto canto dell’Orlando Furioso di Ariosto, una stupenda pagina contro il femminicidio. Anche qui si addensa, con gli straordinari strumenti dell’arte, tutta la forza delle argomentazioni femministe di Beaumarchais. Ma ancora ci si ferma all’apparenza nel giudicare Il capro e la capretta, si ironizza sul testo sciocco di cui non si conosce la matrice illustre, si taglia l’aria di Marcellina come inutile. E finisco con la dodicenne Barbarina, che sa farsi valere costringendo il Conte a smettere di importunarla, e conquistando con determinazione il suo concupito Cherubino. I diritti dell’amore, delle donne, anche anziane, della prima adolescenza, si armonizzano in un’opera rivoluzionaria. Un vero manifesto illuminista.
L’opera di Mozart può essere intesa come una critica serrata e implacabile alle forze più ottuse e conservatrici della società?
Fiorita da un momento storico e politico altissimo dandogli voce immortale, è a tutt’oggi contemporanea, scottante. Il che ben si comprende se la si smette di sezionare vita e arte, forma e sostanza. Mozart crebbe con una sorella che studiò come lui e viaggiò come lui. Che non fu mai emarginata in famiglia, a dispetto delle bufale circolanti ancor oggi. Scelse una vita differente. Scelse di sposarsi con un vedovo che aveva già cinque figli: fantastica è la lettera del nonno acquisito Leopold alla maggiore di loro, in cui la ammonisce sulla necessità di apprendere, perché ormai gli uomini di valore vogliono al fianco una donna con la loro stessa cultura e preparazione, non certo una sciocca che sa giusto badare alla casa. Nannerl li crebbe con amore, partorì altri tre bambini, ma non rinunciò mai alla musica. Insegnò sempre, fino a ottant’anni, benché colpita da progressiva cecità. Sempre pronto a riconoscere, nelle lettere, il talento di allieve e colleghe interpreti, o di donne intellettuali, Mozart l’aveva spinta a comporre quando erano ancora ragazzi, giudicando pregevole un suo Lied. Arrivato a Vienna, cercò invano di convincerla a trasferirsi, sostenendo che una pianista, brava come lei, avrebbe guadagnato più di un uomo. E la pregava di farlo anche nel caso si fosse sposata, perché lui si sarebbe dato da fare per trovare un lavoro anche a suo marito. Nannerl non accettò, e questo senz’altro un po’ li divise, di fatto, anche solo geograficamente. Ma continuò a parlare con amore di Wolfgang, e si commosse fino alle lacrime quando ebbe modo di conoscere il nipote ultimo nato, Franz Xaver Wolfgang, che andò a trovarla, nel 1821, quando sia lei che Constanze erano tornate a Salisburgo.
Il rapporto di Mozart con le donne, i suoi valori, il modo in cui si comportava con i domestici, le dichiarazioni etiche e politiche, la sua partecipazione al fiume in piena di idee e prospettive che fu la Vienna giuseppina, si fanno opera d’arte assoluta nelle Nozze di Figaro, sorgente della nostra modernità.
A cura di Giusy Capone
(n. 5, maggio 2021, anno XI)
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