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Nuove forme narrative: dialogo con Jan Cornelius
Un tempo, ridere era considerato peccato, e del riso si è scritto tanto: romanzi, saggi, articoli, ricerche. Eppure, la tradizione occidentale (e non solo essa) promuove soprattutto il dramma, la tragedia, e vede nel riso un gesto frivolo, sebbene spogliato dal peccato. Non si possono dire cose serie ridendo.
Leggendo Aventurile unui călător naiv. Între mişcare şi izolare, Ed. Lebăda neagră, 2020 («Le avventure di un viaggiatore naïf. Tra movimento e isolamento») di Jan Cornelius è esattamente questo ciò che accade: precipiti in una specie di teatro dell’assurdo il cui copione è stato scritto sui post-it, pensieri brevi di poche pagine, fatti che scivolano dal reale all’irreale e ti sorprendono. E lì, nella sorpresa, accade di ridere. Del libro, dell’ironia e dei miti tedeschi abbiamo parlato con Jan Cornelius, scrittore di lingua tedesca originario di Romania che dal 1977 vive in Germania, a Düsseldorf.
Aventurile unui călător naiv («Le avventure di un viaggiatore naïf») inaugura una forma molto interessante di narrativa, un collage di pensieri, di post (se consideriamo i commenti che appaiono alla fine di ciò che potremmo definire come istantanea). Come nasce l’idea del libro?
L’idea è nata in modo naturale. Ho pubblicato diversi libri in Germania, in tedesco, in cui la narrazione avviene in modo classico; sono stati libri ben accolti, sia in Germania sia poi in Romania, apparsi nella mia traduzione, Eu, Dracula si John Lennon (Humanitas), Al doilea e Chaplin (Tracus Arte). A settembre 2019, sono stato a Iași, poi a Chișinău, grazie al Goethe Institut, per presentare i miei libri usciti in tedesco. In contemporanea, ho iniziato a pubblicare su Facebook le impressioni del mio viaggio in lingua romena, in forma ironica, umoristica. Prima di scappare dalla Romania, durante il regime di Ceaușescu, scrivevo in romeno e questo ha rappresentato un ritorno al mio paese attraverso la lingua. L’eco ai testi è stato molto forte, d’un tratto mi sono piombate addosso numerose reazioni entusiastiche dei lettori. Questo mi ha motivato a proseguire, ho avuto la netta sensazione di aver azzeccato il giusto tono per i miei aneddoti che oscillano tra realtà e finzione. Ma non solo ciò che si racconta è essenziale, anche il modo conta, il tono con cui lo si fa. È interessante notare come tra le fila di coloro che reagivano erano principalmente bravi scrittori, noti giornalisti, gente di cultura, alcuni che già conoscevo, ma anche molti che non conoscevo. Così ho continuato a raccontare di Iași, Chișinău, Düsseldorf, Varsavia, Rouen, ecc. Questi racconti però c’entrano poco con un libro di viaggio, piuttosto riguarda il fatto che nel mondo accadono sempre eventi assurdi e folli, basta guardarsi meglio. Veramente assurda è diventata la situazione durante il confinamento pandemico, a aprile 2020. In quel momento, i viaggi nel mondo si sono trasformati in viaggi nel mio appartamento, dalla cucina alla cantina, al soggiorno. E mentre raccontavo, i miei scrittori preferiti mi salutavano con allegria, Caragiale, Ionesco, Gogol’, Borges, e io lasciavo che questi riverberi trasparissero nei miei racconti. Tra me e i miei lettori è esistito un costante dialogo, alcuni di questi sono stati ripresi nel libro. Una casa editrice mi aveva chiesto con entusiasmo se volevo pubblicare un libro con quello che stavo facendo, parlo dell’editrice Lebăda neagră, di Iași. Il libro è uscito per queste edizioni diventando uno dei più venduti, con ottime reazioni, sia da parte dei lettori sia da parte della critica.
L’ironia – di più, l’umorismo – è il tratto distintivo del volume e della tua scrittura, in generale. Da dove trae le sue origini, dalla cultura romena o da quella tedesca?
Credo che l’umorismo o ce l’hai o non ce l’hai, cioè ci nasci, è una cosa genetica. Sono nato in Romania e lì ho trascorso la mia infanzia e la mia giovinezza, così ho conosciuto quella forma di umorismo quotidiano. Non credo però che esista un umorismo romeno o tedesco o italiano, esistono le buone battute e quelle cattive. I miei autori preferiti già in adolescenza sono stati Caragiale, Ionesco, Mark Twain, Jaroslav Hašek, Gogol’, poi in Germania ho scoperto in modo paradossale Guareschi, Malerba, Carlo Manzoni.
Scrittore e traduttore, Cărtărescu è uno degli autori in questione. Quali sono i più significativi ostacoli nel riversare la letteratura romena in quella tedesca?
Mircea Cărtărescu e io siamo buoni amici, l’ho presentato a diverse fiere del libro di Lipsia e Francoforte, ma non l’ho mai tradotto, eccezion fatta per alcuni articoli di giornale. Ho tradotto in cambio tanti altri scrittori romeni molto bravi come Matei Vișniec, Florin Lăzărescu, Dan Lungu, Doina Ruști e la poetessa Denisa Comănescu. C’è una certa reticenza verso la letteratura romena in Germania e nell’Ovest, in generale, anche nel caso di scrittori molto validi è difficile che si impongano; uno scrittore francese, italiano o americano ha gioco facile. Credo sia legato al modo in cui è vista la Romania, in generale, ed è vista come un paese povero, ai margini dell’Europa. Poi incide anche la politica corrotta. Questo purtroppo ha un certo impatto sull’interesse nei confronti dei libri provenienti dalla Romania, così per far passare un buono scrittore romeno devi fare molto di più che per uno scrittore italiano o inglese.
Quando si parla della Germania, mi vengono in mente aneddoti legati al fatto che i tedeschi paghino per ascoltare gli scrittori. È un mito? E, restando in tema, in che modo la pandemia ha colpito il mondo del libro in Germania?
Sì, esiste il mito secondo cui i tedeschi pagherebbero per sentire gli scrittori. Non so chi lo abbia inventato, sicuramente non i tedeschi. Ciò può succedere in casi molto rari, con autori molto conosciuti, di bestseller, uno ogni cento casi, e questo per esagerare in eccesso. Solitamente, si organizzano letture pubbliche, presso le biblioteche o centri culturali o librerie. Gli organizzatori pagano certe volte l’autore, sui 200 euro, ma non il pubblico. Quello che conta è che vi sia un pubblico. Non dimentichiamo che ci sono centinaia di scrittori disposti a leggere pubblicamente, ma non altrettante opportunità. Per questo i libri devono piacere in primis agli organizzatori. Io sono stato fortunato e ho avuto il piacere di presenziare a molte letture pubbliche, alle persone piace ridere di se stessi e degli altri. Inutile dire che durante la pandemia le letture pubbliche sono sparite. Con le librerie chiuse, i libri si sono venduti online, anche più di prima. Certo, ovunque nel mondo esistono persone che temono i libri, pensano che esplodano se li prendono in mano, ma li rassicuro che non c’è alcun pericolo; vale la pena leggere.
A cura di Irina Turcanu Francesconi
(n. 6, giugno 2021, anno XI)
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