Irina Ţurcanu: «Nella mia esplorazione letteraria mi affascina il tema dell’identica e delle radici»

In questo numero pubblichiamo un’inchiesta esclusiva sulla scrittura migrante romena in Italia, alla quale la nostra rivista dedica una sezione speciale e un database in costante aggiornamento. Abbiamo intervistato nove fra gli autori più attivi del momento, che rappresentano una realtà complessa e variegata: c’è chi scrive solo in italiano e chi scrive e pubblica in entrambe le lingue, c'è anche chi traduce libri romeni in italiano, c’è chi vive in Italia da più di vent’anni e chi è tornato a vivere in Romania dopo vent’anni oppure vive tra i due paesi. C’è chi scrive soprattutto poesia e chi predilige la narrativa. Quanto alla distribuzione di genere, la maggior parte sono donne.
I nostri ospiti sono: Ingrid Beatrice Coman-Prodan, Alexandra Firiţă, Lăcrămioara Maricica Niță, Lucia Ileana Pop, Lidia Popa, Irina Ţurcanu, Alina Monica Ţurlea, Viorel Boldiş e Cristina Stănescu, scrittrice di origini romene. Insieme a loro ci interroghiamo sui significati più profondi della scrittura in una lingua diversa da quella di origine, la lingua del paese di adozione, sulle principali tematiche affrontate e sulle peculiarità della loro creazione letteraria.
Tutti i contributi sono riuniti nel nostro spazio appositamente dedicato, consultabile qui.

Irina Turcanu, scrittrice e traduttrice, è nata nel 1984 in Romania e dal 2002 vive in Italia, dove si è laureata in Filosofia presso l’Università di Milano. Ha collaborato con diverse testate nazionali e provinciali. Ha lavorato come editor per diverse case editrici. Alcune sue poesie sono state pubblicate in antologie e si è classificata terza al concorso «Lingua Madre» e prima a «Scrivere Altrove». Ha curato le antologie Ritorno a casa (Ciesse Edizioni) e Io scelgo (Rediviva Edizioni) e ha pubblicato cinque libri di narrativa e un volume di saggistica dedicato a Emil Cioran. Traduce libri romeni in italiano e anche libri italiani in romeno. Attualmente collabora con «SulRomanzo», «Orizzonti culturali italo-romeni» e il giornale «Libertà».


Come ti definisci,
scrittore/scrittrice «migrante», «italofono/a» o in un altro modo?

Sebbene non ami in modo particolare le definizioni, poiché spesso risultano soltanto semplificazioni utili a comprendere il mondo, funzione di cui ci si dimentica, mi sento più vicina all’idea di uno scrittore italofono.

Che cosa differenzia uno scrittore «migrante» da uno «stanziale»

Lo scrittore migrante ha sperimentato una forma di «suicidio» e di rinascita, e questo gli permette di appartenere a due culture, sia letterarie sia strettamente «culturali». Da un lato, lo arricchisce, perché è veicolo di due visioni sul mondo. Dall’altro, lo impoverisce, poiché fare spazio a un altro implica rinunciare a qualcosa; e sotto questa definizione generica ci sta un po’ di tutto: il sedimentarsi di ricordi, le riflessioni sulla lingua, lo stare a lungo a contatto con le idee di una cultura. Lo scrittore stanziale ha più possibilità di diventare esperto della propria lingua e cultura. E in questo «specializzarsi» perderà anche lui qualcosa, inevitabilmente.

Quando hai cominciato a scrivere in italiano e perché?

Ho iniziato a scrivere in italiano nel 2002 grazie alla collaborazione con il quotidiano «Libertà» di Piacenza. Un’esperienza edificante e fondata su una grande incoscienza da parte mia. Detto altrimenti, non ero consapevole dei miei limiti, e per fortuna persone straordinarie e preparate mi hanno affiancata insegnandomi quello che bisognava sapere.

Quanti e quali libri hai finora pubblicato?

Ho pubblicato cinque libri di narrativa, in ordine cronologico: Alia, su un sentiero diverso (2008, Seneca Edizioni); La Pipa, Mr. Ceb e l’Altra (2011, Ciesse Edizioni); La frivolezza del cristallo liquido (2011, Absolutely free editore); Rigor Artis (2014, Absolutely free editore); L’isola che c’è (2019, Parallelo45 Edizioni).
Poi, un volume di saggistica dedicato a Emil Cioran: L’auto-biografismo di Emil Cioran (Rediviva Edizioni, 2021).

Quali sono i temi più ricorrenti nei tuoi scritti?

Ciò che mi affascina maggiormente nella mia esplorazione letteraria è la questione dell’identica e delle radici. A cosa serve avere un’identità? In relazione a chi occorre che la mia identità rimanga integra? E nell’incontro con l’altro, quanto porosi devono diventare i miei confini perché io non mi annienti e perché avvenga l’incontro? E le radici? Danno stabilità o immobilità? Ecco, sono queste le domande che solitamente mi spingono a trovare storie.

È stato difficile trovare un editore in Italia?

Per me non è stato difficile trovare un piccolo editore, anzi, devo dire di essere stata piuttosto fortunata. Un grande editore, invece, è già più complesso. Occorre un agente letterario che creda in te e che porti la tua storia agli editori e si spenda perché questi leggano quello che hai scritto. Trovare un agente non è nulla di semplice. Nel mio caso, di nuovo, è stato il risultato di una grande fortuna; un incontro di idee, di sentimenti umani, prima ancora di un desiderio di lavorare insieme.

Hai partecipato a concorsi e festival letterari in Italia? Come promuovi i tuoi libri?

Ho partecipato sia a concorsi sia a festival letterari in Italia. Per la promozione, invece, mi affido principalmente alle presentazioni di libro e al firmacopie, nonché alle recensioni su blog e giornali dedicati alla letteratura.

Hai anche tradotto libri romeni in italiano? Se sì, quali?

Sì, ho tradotto in italiano il romanzo di Cezar Paul Badescu, Le giovinezze di Daniel Abagiu, per Ciesse Edizioni. E Il mulino fortunato di Ioan Slavici, per Rediviva Edizioni.

Cos’è più complesso, secondo te, scrivere o tradurre in italiano?

A mio avviso, la traduzione è più complessa. Sei forzato a stare dentro certi confini. Mi spiego con una metafora matematica: ci sono espressioni algebriche che richiedono più immaginazione della scrittura di una poesia, vedere prodotti di numeri «invisibili», manipolare questi numeri, senza mai però potersi allontanare da quanto già stabilito. Ecco, la traduzione è questo. Nella scrittura, invece, sei tu a immaginare l’intero dominio su cui quell’espressione avrà soluzioni, e senso.

Scrivi anche in romeno e pubblichi anche in Romania? 

No, non scrivo in romeno. Ho soltanto tradotto in romeno il romanzo di Guido Barbujani, Tutto il resto è provvisorio (Bompiani) (Tot restul e provizoriu, Ideea Europeană, 2021).

Cosa significa per te scrivere in italiano rispetto a scrivere in romeno?

L’italiano è la lingua della mia maturità. Il romeno è la lingua delle mie emozioni primordiali. Ultimamente sento spesso l’esigenza di mescolarle.

Quali sono i tratti peculiari del tuo linguaggio? Inserisci nei tuoi scritti anche parole romene o voci dialettali della regione italiana in cui vivi?

Sì, sento spesso il bisogno di farlo, specie nei dialoghi. Il racconto, in fondo, è lingua, e la lingua è il vissuto stesso.

Pensi di tornare un giorno a vivere in Romania oppure lo hai già fatto?

Non ho piani specifici, ma non lo escludo.

Quale potrebbe essere, secondo te, il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

Per parlare della scrittura parlerò della sua conseguenza più immediata, la lettura. La lettura non è per tutti, mai stata, d’altronde, ma non vedo altro modo per continuare quel discorso ininterrotto tra le idee di chi sta lontano da noi, nello spazio e nel tempo.

A cura di Afrodita Carmen Cionchin
(n. 3, marzo 2023, anno XIII)