Inchiesta Fellini tra i cineasti romeni di diverse generazioni Essendo nostro desiderio dedicare questo numero della nostra rivista al Centenario Fellini, in tempi in cui in Romania (e non solo) i film di questo grande creatore sono raramente proposti sul grande schermo o in tv, abbiamo pensato che un’inchiesta fra i nostri cineasti, i quali, nel loro mestiere, devono essersi confrontati in un modo o nell’altro con la cinematografia del Maestro, potrebbe delineare l’immagine di cui Fellini gode qui e ora. Lasciando ai lettori di trarre le proprie conclusioni nel leggere la nostra inchiesta, ci preme venire loro incontro con alcune osservazioni: la prima è che ci siamo rivolti a 24 cineasti (fra registi, sceneggiatori, attori, critici), ma solo in 10 ci hanno risposto, cosa di per sé già significativa; la seconda è che nelle risposte si avvertono le differenze generazionali: i giovani si sentono lontani da Fellini in modo più marcato rispetto agli anziani; la terza è che giovani e anziani tendono ad associare il nome di Fellini a esperienze di vita personali, come se Fellini ci invitasse a guardare dentro le nostre stesse vite; la quarta è che più che dare una visione unitaria della cinematografia del Maestro, l’inchiesta fa emergere l’eterogeneità delle personalità interessata a essa. Motto: «Fellini è il più grande raccontatore del cinema» (Stere Gulea) 1. Come definirebbe l’aggettivo «felliniano»? Nae Caranfil: La paradossale congiunzione fra buffoneria rudimentale e autentica poesia. Alcuni potrebbero dire che tale definizione si addice anche a Charlie Chaplin. Ma non è vero: in Chaplin, sin dalla sua affermazione come artista popolare, la gag diventa estremamente sofisticata e costruita. Fellini, caricaturista di formazione, non ha bisogno di gag elaborati; lui semplicemente nobilita il circo. Mihai Mălaimare: Rinascimentale. Un desiderio folle, inesauribile, di indagare l’essere umano, di conoscerlo nelle sue pieghe più recondite. Nicolae Mărgineanu: Un delirio dell’immaginazione. Cătălin Mitulescu: Non voglio definirlo: non voglio allontanarmi dalla posizione di spettatore. Mi piace rivedere i suoi film come se fossero stati girati ieri. Emanuel Pârvu: Fortunatamente, questo aggettivo ha acquistato lungo il tempo una doppia connotazione: una dall’esterno – che suggerisce un carnevalesco positivo, e una dall’interno – che suggerisce una ricchezza emozionale e spirituale di grande estensione e leggermente fuori dal comune. Il lirismo e (soprattutto) il ludico racchiusi in questo aggettivo esprimono un’ammirazione che non potrebbe mai essere peggiorativa. Corneliu Porumboiu: Onirico, tragico-comico con un pizzico di nostalgia. Iulia Rugină: Grandioso, stravagante, barocco. Marius Șopterean: Così come piaceva a Fellini stesso parlare dei propri film: un cinema-menzogna.
2. Che significa per lei Fellini? Nae Caranfil: L’altitudine artistica che non raggiungerò mai. È un universo comparabile a quello di Balzac, Bosch o Gaudí. Napoleon Toader Helmis: Per me è un Atlante – uno dei titani. Mihai Mălaimare: La mia gioventù, gli anni favolosi di quando ero studente, le ore trascorse all’Istituto quando entravamo di nascosto nella sala proiezioni della sezione cinematografica e, ovviamente, il sentimento – quando capitavamo sui film di Fellini – che facevamo parte anche noi di quel mondo, di quella visione della vita. Si aggiungano le molte ore della notte passate in comitiva, alla Casa dello studente, quando si dibatteva all’infinito dei film che avevamo visto, come l’aveva recepito ciascuno di noi. Fellini è stato uno dei professori nascosti della mia generazione. Nicolae Mărgineanu: La gioia sfrenata di spettacolo. Cătălin Mitulescu: Uno dei più grandi creatori di cinema. Se ti apri alla sua arte, ne sei influenzato profondamente, rimane con te, non puoi più dimenticarlo. Emanuel Pârvu: L’impronta visiva e il messaggio imprescindibili di un periodo della cinematografia europea, segni distintivi riconoscibili in parecchi capolavori dei nostri giorni (per fare un solo esempio, Martin Scorsese è – e lo dichiara – uno dei continuatori dell’estetica e dello stile di questo grandissimo visionario). Corneliu Porumboiu: Per me Fellini è importantissimo, perché ho deciso di dedicarmi al cinema dopo aver visto La Dolce Vita. Iulia Rugină: È uno dei registi che mi è stato insegnato di dover amare perché è geniale e che non sono mai riuscita a capire. Forse proprio perché è un genio. Marius Șopterean: Un creatore collega di Dante e di Leonardo da Vinci...
3. Quando e come è avvenuto per lei il primo incontro con il cinema di Fellini? Nae Caranfil: Nel terzo anno di liceo: ho visto la sequenza con Anita Eckberg nella Fontana di Trevi de La dolce vita. Mai ho desiderato altrettanto di essere Mastroianni. Napoleon Toader Helmis: Il primo contatto l’ho avuto nel 1992, nella mia università. Facevo parte della classe di regia coordinata da Elisabeta Bostan. Abbiamo visto insieme e analizzato il film La strada. Mihai Mălaimare: All’Istituto, quando rimasi mozzafiato vedendo I clowns. L’incontro con questo film è stato, d’altronde, premonitore, dato che, anni dopo, al Teatro Nazionale di Bucarest, avrei messo in scena uno spettacolo dello stesso tipo, e quando il ricordo delle favolose sequenze felliniane alleggiava sopra di noi come ombre protettrici. Cătălin Mitulescu: Al liceo, alla Cineteca. Era Amarcord. Poi sono venuti anche gli altri. Emanuel Pârvu: Era negli anni ’90 quando alla Cineteca di Bucarest è stata presentata una retrospettiva su Fellini. Prima della rivoluzione andavo con i miei genitori a vedere i film di Chaplin, mentre dopo la rivoluzione sono stati riproposti i film di Tarkovski, Fellini, De Sica e di altri grandi. Io ero troppo piccolo allora, ci capivo ben poco e facevo fatica a tenere gli occhi aperti. Ero più interessato alla serie Dallas o ai film con Van Damme, trasmessi in tv. Eppure è stato un inizio che mi è rimasto nella mente. Quando anni dopo li ho rivisti, ho rivissuto ricordi visivi e fonici molto interessanti e sono riuscito anche a capirci qualcosa. Corneliu Porumboiu: Avevo 19 anni, studiavo management all’Accademia di Studi Economici e un bel giorno sono andato alla Cineteca di Bucarest; era per la prima volta che lo facevo. È allora che ho visto La dolce vita. Mi è piaciuto a tal punto da continuare poi ad andarci quasi ogni giorno. Iulia Rugină: Prima di entrare all’università e poi più o meno durante tutto il percorso di studi mi sono sentita obbligata ad amare Fellini. A 17 anni, l’età in cui ho cominciato a prepararmi in maniera attiva per accedere all’UNATC di Bucarest (Università Nazionale di Arte Teatrale e Cinematografica), erano pochissimi gli elementi dei film di Fellini che avevano un senso per me. Ho visto i suoi film attraverso l’ottica di chi, come me, era complessato dal proprio livello culturale. Mi è stata trasmessa l’idea sbagliata che era impossibile non amare Fellini, che era impossibile non capire l’arte del maestro e in generale che era impossibile non esprimere una propria opinione. Oggi mi sembra che sia difficile capire Fellini se non hai una solida base culturale. Ebbene, a 17 anni, provenendo dall’ambiente in cui sono cresciuta, le mie possibilità di sviluppare spontaneamente una qualche ammirazione per lui erano minime. Marius Șopterean: A Cluj, al cinema Arta, nel 1980, quando ho visto Le notti di Cabiria...
4. Sente il bisogno di rivedere i film di Fellini? Quali? Perché? Nae Caranfil: Rivedrei Amarcord a ogni ora del giorno o della notte. Tutta la mia adolescenza è lì. Napoleon Toader Helmis: Forse ripetendo il mio impatto iniziale direi sempre La strada – per la sua semplicità e la sua profondità. Mihai Mălaimare: Non solo ne sento il bisogno, ma lo faccio, specie quanto mi sento stanco e ho bisogno di riavermi, perché i suoi film sembrano messaggi dal DNA umano. Nicolae Mărgineanu: Rivedo con piacere La strada, Zampanò e Gelsomina mi suggeriscono la culla dell’arte. Cătălin Mitulescu: Ora come ora vorrei rivedere La dolce vita. Sto lavorando a qualcosa che mi fa pensare continuamente a questo film. Emanuel Pârvu: Sfortunatamente io non mi sento a mio agio nei film di Fellini. È un gigante, ma io non mi ritrovo in questo genere di recitazione e di estetica cinematografica. Ma i film di Fellini vanno assolutamente visti da tutti i professionisti del campo, attori, registi, direttori della fotografia ecc. Ma io non li posso assimilare emozionalmente. Li posso seguire, analizzare, ammirare. Forse per questo non mi ritrovo neppure nella cinematografia di Scorsese. Forse per me sono troppo «film». Io mi commuovo di più di fronte al realismo, al naturalismo. Preferisco l’Iran, l’Asia, una parte dei russi, degli scandinavi. Corneliu Porumboiu: Due anni fa ho rivisto La dolce vita e ho scoperto che mi è piaciuto molto il rapporto padre e figlio. Le altre volte non ci avevo fatto caso. Mi riprometto di rivedere in futuro I vitelloni e La strada. Iulia Rugină: Sento sempre la necessità di rivedere i film di un cineasta che non ho compreso totalmente o di cui non ho avuto, la prima volta che l’ho visto, i riferimenti utili per apprezzare aspetti dei suoi film. Rivedrei Roma e La dolce vita appunto perché non mi era rimasto nulla di loro 15 anni fa. Marius Șopterean: Certo che ne sento il bisogno, così come sento il bisogno di rileggere Guerra e pace oppure I fratelli Karamazov...
Nae Caranfil: Ci sono alcuni film – pochi! – che presentano qualche ruga: Giulietta degli spiriti, La città delle donne, Satyricon. Ma, dal mio punto di vista, sembrano in gran parte di essere stati realizzati domani! Napoleon Toader Helmis: Li considero universalmente validi e perenni. Mihai Mălaimare: I suoi film appartengono anche a un tempo ben definito ma anche a un tempo infinitamente estendibile. Collocati spesso in un mondo fittizio, con scenografie finte che impediscono una precisa identificazione di tempo e di spazio, essi sembrano riconfigurarsi di continuo. Sarà un’opinione strettamente soggettiva, ma io così li sento, li vedo, li rivedo. Nicolae Mărgineanu: I film di Fellini non invecchieranno mai. Cătălin Mitulescu: La stragrande maggioranza dei suoi film resiste perfettamente e, come dicevo, mi piace rivederli e ogni volta li riscopro. Ho rivisto di recente Giulietta degli spiriti e 8½: sono film forti, ti dominano. In più, sono documenti straordinari per la loro epoca. Fellini racconta l’Italia in modo straordinario. E molto creativo, molto generoso. L’Italia per me è diventata la sua Italia, quella dei suoi film. Emanuel Pârvu: Sono contemporanei. Nella tematica, che va oltre un senso immediato, essi sono perenni. La loro simbolistica, essenza e messaggio non possono essere ignorati, essi hanno trasmesso e trasmetteranno significati universali, a prescindere dalla lingua. Ecco, una delle caratteristiche principali dei suoi film è l’universalità. Corneliu Porumboiu: No, non sono datati. Penso che possano essere letti diversamente a diverse età – come tutti i grandi film dei grandi registi. Iulia Rugină: Non penso che siano datati. Marius Șopterean: Il cinema è un’arte troppo giovane per parlare di lui (o di un qualsiasi altro cineasta) al passato...
6. Quale film di Fellini consiglierebbe di vedere per primo agli studenti romeni di cinema e arte teatrale e perché? Nae Caranfil: Per gli studenti in regia: 8½ perché capiscano che cosa li attende. Per quelli che diventeranno attori Le notti di Cabiria, per quel portento di Giulietta Masina. Napoleon Toader Helmis: Per le qualità già menzionate, raccomanderei sempre La strada. Ma anche 8½. Se si desidera diventare un regista famoso bisogna conoscere e capire anche l’esperienza di Guido. Mihai Mălaimare: Ovviamente I clowns perché «scoprire il proprio clown» è un tema di pedagogia teatrale assolutamente obbligatorio; poi E la nave va perché sentano fin dai primi passi il fremito assoluto di questo mestiere nella sua momentaneità. Nicolae Mărgineanu: Gli studenti non hanno bisogno di consigli per scoprire Fellini. Cătălin Mitulescu: Prova d’orchestra: ha una costruzione molto speciale; oppure I clowns. Emanuel Pârvu: Secondo me, tutti. Prima di tutto perché sono una parte importante della cinematografia europea e perché in questo mestiere non si possono ignorare le basi del cinema europeo. È come se si volesse diventare calciatori professionisti senza aver mai visto una partita con Maradona. Corneliu Porumboiu: Se parliamo degli studenti della nostra università, credo sia obbligatorio fargli vedere La strada, La dolce vita e 8½. L’ideale sarebbe farglieli vedere tutti, ma i tre menzionati prima sono pietre miliari che hanno influenzato generazioni e generazioni di registi. Iulia Rugină: La strada. So che non è il film più rappresentativo di Fellini, ma l’ho citato proprio per questo. Penso che sia utile scoprire Fellini un po’ alla volta e La strada mi sembra un film talmente semplice nella sua complessità che, capendolo la prima volta, mi sembra che il percorso per arrivare agli altri film sia più facile. Di sicuro incoraggerei a vedere 8½ solo verso la fine degli studi. Marius Șopterean: Non oserei raccomandare facendo una selezione. O tutta l’opera o niente...
7. Ritiene che l’arte cinematografica di Fellini le abbia insegnato qualcosa, da cui poi lei ha attinto? Che cosa? Perché sì/no? Nae Caranfil: Non lo so. Mi ricordo che in alcune occasioni ho desiderato infondere un’aria felliniana a qualche sequenza dei miei film. Tutte quelle sequenze sono venute invariabilmente male. Napoleon Toader Helmis: Ho imparato forse a ridere nella sfortuna. È quello che tento di esplorare pure io in ogni mio film. Mihai Mălaimare: Direi che gli devo moltissimo. Il mio incontro con I clowns è stato come se dovesse accadere ed è accaduto. Ogni volta che sento il bisogno di rivedere un film di Fellini so che mi succederà qualcosa di misterioso, che sarò spinto in un’avventura teatrale inaspettata. Non mi ci preparo, le cose vengono da sé, ma quando mi siedo nella mia poltrona e decido di rivedere un suo film significa che sento la nostalgia della mia gioventù. Negli ultimi tempi rivedo spesso i suoi film. Nicolae Mărgineanu: Se a quelli della mia generazione, da studenti, sono piaciuti tanto i suoi film, penso che tutti noi abbiamo preso qualcosa da lui, ma non qualcosa di concreto, non una certa imitazione, ma qualcosa di più sottile. Credo che Fellini ci abbia discretamente educati alla cinematografia. Ha svegliato in noi la voglia di fare film e ci ha dato il coraggio di credere in quello che facevamo. Rimarrà un modello per noi. Cătălin Mitulescu: Fellini ha la forza di cambiare la prospettiva altrui, il suo modo di guardare e di vedere, lui ha influito non solo sull’arte cinematografica, ha influito addirittura sull’epoca. È molto attuale. Da un punto di vista personale è da lui che ho imparato a raccontare coraggiosamente il mondo che porto in me. Emanuel Pârvu: Sì, molto. Vedendo i film di Fellini ho capito quanto è importante l’estetica cinematografica. Ho capito che devo trovare dentro di me un mio modo di raccontare, e ho capito quanto sia fondamentale il ruolo della macchina da presa, il suo movimento, l’angolazione. L’estetica immaginativa di Fellini, come ho già detto, non mi si addice, ma sicuramente mi ha influenzato, mi ha spinto a ragionare su come trasferire il mio pensiero in un linguaggio visivo. Gli sono riconoscente proprio per il fatto di avermi forzato a trovare un mio linguaggio personale e a non imitare l’arte altrui. Corneliu Porumboiu: Per il mio film Quando cala la sera su Bucarest oppure per Metabolismo confesso di aver avuto come riferimento 8½. Iulia Rugină: No. Perché non mi sono mai sentita vicina realmente ai film di Fellini ed è difficile per me credere di aver preso in prestito anche inconsciamente qualcosa che non ha smosso nulla dentro di me. Marius Șopterean: È una domanda difficile. Credo che molte volte Fellini ci insegni non solo il cinema ma anche qualcos’altro.
8. Vorrebbe aggiungere qualcos’altro su Fellini? Nae Caranfil: Il giorno della sua morte mi sono svegliato tardi, con la testa che mi scoppiava, dopo una sbornia da dimenticare. Quella stessa sera ho ricevuto il mio primo premio a un festival internazionale, per il mio lungometraggio di esordio che aveva un titolo italiano, È pericoloso sporgersi. Alla cerimonia di premiazione, in segno di omaggio, l’orchestrina fatta venire dagli organizzatori accompagnava ogni premiato suonando i temi musicali di Nino Rota dei film del Maestro. E così sono salito sul palcoscenico tra gli accordi «da circo» di 8½ dondolando come una barchetta sulle onde, con la testa ciondoloni che pesava cinque tonnellate, e ho bofonchiato qualcosa sulla scomparsa di Fellini e sull’eredità che lui lasciava a me, giovane cineasta, una fanfaronata di cui non ricordo quasi nulla. Napoleon Toader Helmis: Non direi più di questo: innovatore, unico, memorabile. Mihai Mălaimare: Aggiungerei una piccola storia personale. Stavo lavorando ai miei Clowns al Teatro Nazionale di Bucarest. Sentivo il bisogno di confrontarmi con uno specialista e ho pensato di invitare a una mia prova l’ex grande clown del Circo di Bucarest, Tonino. Ed è venuto: un vecchietto striminzito, imbacuccato in un vecchio paltò. È rimasto immobile, ha guardato attentamente, e alla fine, senza dire una parola, è salito sulla mia macchina aspettando che lo portassi a casa, come gli avevo promesso, anche perché faceva un freddo cane. In macchina non ha detto una parola. Siamo arrivati davanti a casa sua, abitava da qualche parte nel quartiere di Floreasca. Era notte, nessuno per strada e dal cielo piovevano fiocchi grossi quanto un pugno. È sceso dalla macchina e stava per lasciarmi quando si è girato e mi ha detto: Non puoi fare «commedie» – così chiamano loro i momenti di clowneria – senza calci e schiaffi. Senza di essi un clown non è clown. Guarda qui come si fa, dice, e si toglie il paltò, lo getta nella neve, e alla luce dei fari della mia macchina ha eseguito i più straordinari numeri di clowneria, si è dato e ha ricevuto schiaffi e calci, si è rotolato per terra, alla fine si è alzato come se niente fosse, ha preso il paltò e con una mossa da grande attore tragico è entrato nel palazzo dove abitava, ma nel mio incancellabile ricordo era come se stessimo entrambi recitando in un film di Fellini. Non so se, nascosto da qualche parte, il Maestro ci stesse guardando, contento che il suo celebre film non era stato per niente una finzione bensì una realtà più vera della vita! E i fiocchi di neve come quando Tonino era ridiventato per un momento giovane e si era lanciato nell’arena non li avrei rivisti mai più! Nicolae Mărgineanu: Non le sembra che abbia detto già abbastanza? Cătălin Mitulescu: Fellini si ritrova, ora più, ora meno, in ciascuno dei suoi personaggi ma io credo che ha un legame del tutto speciale con il clown del finale de I clowns. Lui vede sé stesso come su un palcoscenico. È vivo, è lì, puoi vederlo, puoi fargli delle domande e lui ti risponde. Emanuel Pârvu: Mi è caro anche perché è del segno dell’Acquario, come me. Quando da piccolo cercavo personaggi famosi con questo segno, lui era il primo che ci veniva nominato. E io mi sentivo fiero per questo. Quando uscivo in strada, dietro il nostro palazzo, e pronunciavo il suo nome di fronte agli amichetti (che ovviamente mi prendevano in giro), mi sembrava di aver acquistato importanza, di essere anch’io qualcuno avendo un Acquario come lui al mio fianco. Corneliu Porumboiu: Bisogna assolutamente (ri)vedere i suoi film. Iulia Rugină: Penso che ci sia una buona dose di snobismo attorno alla sua opera cinematografica e questo non gli fa bene, specie per i giovani che studiano cinematografia. Penso che Fellini debba essere visto gradualmente, studiato con attenzione, di preferenza verso la fine degli studi e accettare l’idea che semplicemente il suo modo di fare cinema non sia per tutti. Marius Șopterean: Dato che è la domanda n. 8, ci aggiungerei solo: e 1/2...
Profili biografici
Stere Gulea (n. 1943)
Inchiesta a cura di Smaranda Bratu Elian (n. 3, marzo 2020, anno X) |