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«L’Ulivo Maggiore», il microcosmo come luogo di ripartenza. In dialogo con Ico Gasparri
Su un’immaginaria isola italiana del Sud un uomo di pochissime parole si presenta un giorno (dell’anno 2012) alla soglia della casa di Marina, una giovane donna – emigrata dalla città e rimasta subito vedova – che vive di agricoltura grazie all’aiuto del vecchio Arturo. Da quel giorno comincia una vera e propria rivoluzione personale, economica, sociale, che coinvolgerà un numero sempre crescente di personaggi (36 alla fine tra principali e secondari) di tutte le età conquistati dall’idea che anche in mezzo al mare si possa ricercare una maniera diversa di vivere, di ricavare benessere dalla natura e creare addirittura un’azienda agraria decisamente alternativa.
La coltivazione della campagna, la cura degli alberi, i barattoli di marmellate, le riflessioni sull’uso del denaro e sulla dignità del lavoro, sulla comunicazione e i ritmi della vita si intrecciano – in una storia decisamente caratterizzata dalla potenza femminile – con pratiche spirituali, momenti di meditazione, cene collettive e rintocchi di un ammaliante campana tibetana per comporre un affresco collettivo in cui le relazioni umane basate sulla fiducia, sulla condivisione e sull’amore occupano prepotentemente il centro della scena.
Attorno ai temi e significati del romanzo L’Ulivo Maggiore (IChOme, 2021), volge l’intervista a Ico Gasparri, archeologo, fotografo, autore di libri, ceramista e restauratore.
La lettura del suo ultimo volume, L'Ulivo Maggiore, mi ha procurato un momento tanto ricco di emozioni inaspettate in un unico libro, che mi hanno spinta a sondare più a fondo questo universo apparentemente utopico, ricorrendo alla guida del suo creatore. Innanzitutto, cosa rappresenta per lei questa magnifica visione assai attuale e fortunatamente fattibile?
Il libro nel suo complesso è un mio «manifesto ideologico» inteso come un’occasione per scrivere diffusamente e nel dettaglio dei valori e delle idee che ho coltivato nella vita e in cui ho creduto. Contiene tutto quello che sono e che penso. Potete poi seppellirlo con me!
L'atteggiamento verso la natura, un misto di rispetto, comprensione e venerazione, è proprio affascinante. La crescita spirituale dei personaggi è misurata dal loro rapporto con essa?
Fin dal titolo, il libro esalta la natura come luogo di conservazione dei valori, come esempio, come luogo di pace da amare, rispettare e coltivare. In questo specifico caso la natura – e specialmente gli alberi – sono un luogo privilegiato per sperimentare ed esercitare la propria spiritualità.
Le prime pagine suggeriscono un tema circoscritto a questo posticino isolato quale rifugio dell'uomo e un eventuale storia di vita o piuttosto d'amore tra lui e Marina, la prima donna. Invece man mano si è rivelato un vero e proprio microcosmo. Quali sarebbero i punti salienti che vi emergono?
In questa epoca in cui le persone sono schiacciate davanti all’enormità dei fenomeni mondiali e non si sentono più protagonisti di una vita che ormai dipende da logiche del tutto estranee, il libro è l’occasione per raccontare una mia visione della via d’uscita da questo dramma e cioè la ripartenza da sé stessi e da quelli che ci sono intorno. Un microcosmo, appunto, in cui prima rifugiarsi e dal quale poi partire sperimentando modelli nuovi e realmente progressivi di sviluppo.
Il libro affronta sulla piccolissima scala temi di economia e di sviluppo ponendo sempre al centro la sostenibilità, cioè la riduzione al minimo possibile e magari anche a zero dei fenomeni di sfruttamento, di consumismo, di scarto, di esaltazione del mercato che, in alcuni passaggi, viene anche utilizzato per uno slancio umoristico e leggero. L’economia dei 35 personaggi e del nuovo mondo che stanno fondando è un’economia che tende a non sfruttare nessuno e nessuna.
Sul finire del libro ho introdotto il tema delle migrazioni belle, possibili e necessarie che passano attraverso la mediazione di uno dei tre personaggi reali del libro, Mimmo Lucano, il sindaco di Riace che si è schierato coraggiosamente a favore dell’accoglienza e della civiltà delle relazioni col nostro «prossimo migrante». L’agricoltura da noi in Sud Italia soffre per la mancanza di manodopera (e questa cosa la sperimentiamo anche nella mia famiglia al momento della raccolta delle olive, per esempio) e così pure tanti settori artigianali e industriali.
La piccola isola trascurata dai piani di sostegno e sviluppo nazionali vive una vita stagnante, schiacciata tra l’invecchiamento della popolazione e l’abbandono della campagna e l’emigrazione dei giovani. Il libro intende dare una nuova speranza a tutti i centri piccoli e abbandonati a riprendersi da soli ma tutti e tutte insieme. Oggi si può fare e in questo il racconto mi sembra veramente rivoluzionario. Il microcosmo come luogo di ripartenza.
Lei tocca non solo aspetti della realtà locale ma anche nazionale, aspetti psicologici e interumani. Qual è stato lo scopo?
Il libro esplora tanti modi nuovi di intendere le relazioni tra le persone nel mondo del lavoro, dell’uso della natura, degli affetti, della reciproca comprensione e accoglienza.
Esalta tutte le doti che a mio parere fanno delle donne – in questo preciso momento storico – le reali protagoniste di uno sviluppo sostenibile fuori dalle logiche di guerra e di violenza che hanno caratterizzato il potere ‘della forza’, quello maschile, negli ultimi 3.500 di anni.
Giovani e vecchi sono miscelati in un’impresa civile, sociale, sentimentale, storica senza dare troppo peso alle loro età, ma sfruttando le biografie personali come momento di esempio e di scambio nostalgico a volte, ma forte e propositivo.
La spiritualità è intesa come dimensione in cui ritrovare o trovare per la prima volta la pace con se stessi e quindi con gli altri, con la natura. Le danze e gli altri momenti descritti sono totalmente inventati, creati per l’occasione e adattati ai luoghi e agli spazi del Toppo dei Greci.
Che sentimento la animava mentre avanzava nella scrittura?
Scrivere un romanzo per me è stata un’esperienza straordinaria soprattutto per la creazione dei personaggi e per il loro svilupparsi ‘autonomamente’ nel corso della storia. Mi hanno ispirato a lanciare un allarme sul mancato rispetto della natura, a suggerire una diversa percezione del tempo, a cercare l'armonia e la serenità interiore e mi hanno fatto molta compagnia nei mesi della pandemia!
Il libro sorprende per il modo in cui la vita dei suoi personaggi è governata da tanti valori in perfetta armonia: il rispetto, l'onestà, la pace, l'amicizia, la fiducia, le tradizioni. Quanti di questi sono reali?
Molti personaggi del libro corrispondono a pezzi della mia biografia, altri sono inventati su figure che mi sono venute alla mente dal passato prossimo o remoto. Alcuni sono invece reali. Due soprattutto, Rosi e Donato, sono e vivono nel romanzo esattamente come sono e vivono nella vita reale: Artisti contadini li ho definiti per rendere un’idea sintetica. Anche la loro arte e le figure dei loro quadri sono uguali al vero. Un personaggio reale è pure il Sindaco Domenico (Mimmo Lucano, sindaco di Riace) che nel libro si interessa del rilancio della piccola isola.
Vista l'armonia complessiva del romanzo, l'equilibrio perfetto delle sue varie sfaccettature, ci tolga questa curiosità. Il numero totale delle pagine è 333. C’è una ragione dietro a questo oppure una casualità?
No, è una casualità. Non c’è un calcolo numerico sotto questa cifra. Lo svolgimento delle azioni segue piuttosto il passaggio delle stagioni e i ritmi della natura. La data finale, il 25 aprile, è invece voluta e simbolica perché rappresenta il giorno della liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo nel 1945.
Ci sarà un seguito?
Vorrei scrivere anche L’Ulivo Minore e L’Ulivo Terzo, ma lascio che il tempo mi porti l’ispirazione.
A cura di Marina Socol
(n. 5, maggio 2022, anno XII) |
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