Vlad Țepeș a Napoli, una storia da scoprire. Dialogo con Giuseppe Reale Una storia ancora tutta da scoprire lega Napoli alla Romania attraverso uno dei suoi miti più conosciuti a livello internazionale, il mito di Dracula. Tra leggenda, realtà e nuove scoperte, ve la proponiamo nell’intervista al professor Giuseppe Reale, direttore del Complesso Monumentale di S. Maria La Nova di Napoli e presidente del Centro culturale Oltre il Chiostro di Napoli. Professor Reale, quali sono le contingenze che hanno condotto a individuare all'interno del Complesso Monumentale di Santa Maria La Nova – nella tomba del nobile Mattia Ferrillo – il possibile luogo di sepoltura di Vlad Țepeș (1431-1476), L’Impalatore, voivoda di Valacchia, altrimenti noto come «Dracula» dal patronimico? L’interesse è nato, a partire dalla metà del 2014, grazie ai precedenti studi di Raffaello Glinni e di Michelangelo Glinni, che stavano conducendo delle ricerche storiche su delle famiglie nobiliari presenti nel XVI secolo nella cittadina lucana di Acerenza e che si erano dedicati, in particolar modo, all’interpretazione di una singolare simbologia presente a decoro sia della facciata esterna della sua antica Cattedrale romanico-normanna che delle raffigurazioni della cripta sottostante, dedicata alla sepoltura di Giacomo Alfonso Ferrillo e di Maria Balsa. Tra il 1520 e il 1524, infatti, Maria Balsa decise di far restaurare a proprie spese il duomo, danneggiato dal terremoto del 1476, in quei territori ricevuti come regalo di nozze. Queste ricerche hanno trovato una direzione di ulteriore allargamento sia alle vicende della famiglia nobiliare dei Ferrillo, per i legami parentali consolidati dalle nozze, che inevitabilmente alla tomba di Matteo Ferrillo nel Chiostro di San Giacomo della Marca nel Complesso Monumentale di S. Maria La Nova, effigiata anch’essa con la simbologia del dragone che sormonta il loro stemma nobiliare. La tesi della sepoltura di Vlad III a Santa Maria La Nova potrebbe essere legata alla presenza di Maria Balsa, la presunta figlia del voivoda, presso la Corte aragonese. Quali sono gli elementi storici riconducibili a questo legame? In verità, tutta questa ricostruzione gira proprio attorno al riconoscimento di una specifica identità per Maria Balsa in base alle fonti storiche ritenute o meno attendibili. Nel 1581 viene pubblicata a Venezia da Domenico Farri l’Apologia di tre Seggi illustri di Napoli, attribuita ad Antonio Terminio da Contorsi, come riportato sul frontespizio dell’opera; Pier Francesco da Tolentino riferisce che avrebbe ricevuto a Genova quest’opera, che una consolidata tradizione attribuisce ad Angelo Di Costanzo. Tra le illustri famiglie napoletane presentate, vi è anche la nobile famiglia dei Ferrillo «nel Seggio di Porto» da cent’anni, di cui, tra le altre cose, si scrive a proposito della futura consorte di Giacomo Alfonso: «venuta in questo Regno Andronica Cominata Moglie del grande Scanderbecco venne con lei Donna Maria Balsa figlia del Despoto di Seruia e della sorella d’Andronica fanciulla di sett’anni». Queste donne furono accolte a Corte dalla Regina «con grandissima carità».
La lapide sulla grande tomba di marmo che si trova nel Chiostro minore di San Giacomo della Marca, in cui sarebbero stati inumati i resti di Vlad Țepeș, presenta un bassorilievo raffigurante un gigantesco elmo da cavaliere sormontato da una testa di drago e fiancheggiato da due sfingi contrapposte, simbologia che rimanda all’Ordine del Drago, di cui faceva parte Vlad II, il padre di Vlad Ţepeş. Difatti, Vlad II di Valacchia venne chiamato «Drago» (Dracul) e tale divenne il simbolo della stirpe dei Drăculeşti, che da lui prese il nome. Ebbene, quali sono i legami tra Napoli e l’Ordine del Dragone? La raffigurazione del dragone è un chiaro riferimento all’Ordine del Drago (Societas Draconistrarum), che ne è uno dei simboli distintivi; a Napoli vi appartenevano sicuramente Alfonso d’Aragona (1393-1458), il figlio Ferrante (1424-1494), il suo camerlengo e consigliere Matteo (detto anche Mazzeo) Ferrillo (prima metà del 1400-1499) e suo figlio Giacomo Alfonso (… - 1530). In questa rete di relazioni si colloca l’ospitalità offerta alla moglie di Giorgio Castriota Scanderbeg, Donna Andronica Comneno, cacciata dalle terre di Grecia e di Albania. Un altro elemento riguarda l’epigrafe crittografata scoperta all'interno della cappella Turbolo. La sua decifrazione è ancora in evoluzione, ma le uniche parole attualmente decodificate sono proprio Blad (leggibile come Vlad) e Balcano. Ci narra la storia, senz’altro affascinante, di questa iscrizione? Quest’iscrizione nella Cappella Turbolo del grande Cappellone di S. Giacomo della Marca aveva catturato da tempo la mia curiosità per i caratteri non decodificabili univocamente, come appariva anche a una prima visione. L’analisi delle fonti storiografiche più accreditate – su tutte lo studio di sintesi di P. Gaetano Rocco del 1926 – ma anche di studi di dottorato recenti, mi ha subito restituito l’impressione di un’incompletezza ovvero di una spiegazione parziale, a partire dalla stessa descrizione che in riferimento alla duplice iscrizione si riferisce a due lapidi; così scrive P. Gaetano Rocco: «ai due lati dell’altare, in due grandi lapidi, si leggono due iscrizioni, l’una greca, l’altra latina, dalle quali risulta che detto altare gode il privilegio delle indulgenze come quello di S. Gregorio a Roma», a cui fa seguire la sola trascrizione della bolla papale in latino.
Questi dati analitici così diagnosticati si basano sulla fondatezza di una rilevazione metodologicamente corretta e, quindi, scientificamente sostenibile, al di là delle proprie legittime e personali convinzioni sugli aspetti storici e letterari richiamati dalla figura di Vlad III, detto comunemente Dracula.
C’è quindi un filo che lega l’iscrizione criptata della Cappella Turbolo e la celebre tomba della famiglia Ferrillo nell’attiguo Chiostro di San Giacomo della Marca. Un tempo potrebbero essere state disposte l’una accanto all’altra? In verità tutte le tombe attualmente allestite nei quattro ambulacri del Chiostro cinquecentesco di San Giacomo della Marca hanno una provenienza dal perimetro dell’edificio di culto, che, com’era abituale, fungeva da luogo di sepoltura per notabili e patrizi, che vantassero un diritto in tal senso. Le teorie architettoniche, sinora accreditate, avevano finora indicato in quello spazio conventuale lo sviluppo di una terza navata dell’originaria chiesa gotica; a tal proposito, scrive P. Gaetano Rocco in una sua Guida sacradel 1909, «il quale fu costruito per non lasciare disordinato lo spazio dopo che la chiesa fu ridotta a una sola navata». In verità studi più recenti dell’arch. Andrea Di Sena, nel 2005, hanno tentato anche di prendere in considerazione altre ipotesi di sviluppo, in cui, tuttavia, sicuramente le tombe sepolcrali sono state spogliate dalla Chiesa e qui ricollocate; la semplice osservazione attenta del ciclo degli affreschi, dedicato alla vita di San Giacomo della Marca, ne conferma l’adattamento figurativo alla disposizione di tombe, su cui, come nel caso della tomba in questione della famiglia Ferrillo, è indicata l’originaria provenienza dalla Cappella dedicata alla Vergine Assunta: «Virginis Assumptioni dicatum». Un elemento su cui riflettere è offerto dalla scultura centrale dell’altare cinquecentesco della Cappella Turbolo, opera molto probabilmente di Girolamo d’Auria, indicata da P. Gaetano Rocco, nel suo più ampio studio pubblicato nel 1927, come la raffigurazione dell’Immacolata «con le mani congiunte in atto di preghiera e di pietà, e quasi in un momento di estasi»; in realtà, potrebbe – uso doverosamente il condizionale! – essere anche una raffigurazione di Maria Assunta in cielo, come potrebbe indurre la sua collocazione su di una mezza luna con un richiamo alla citazione biblica del Libro dell’Apocalisse, che al cap. 12,1 parla di «una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi». In questi casi, il condizionale è d’obbligo rispetto alle varie fonti a disposizione, anche perché al momento non vi sono documenti attendibili per andare al di là delle informazioni riepilogate da Padre Gaetano Rocco che riprende, a sua volta, il giudizio di Napoli Noblissima, qualificando il monumento funebre del 1499, attribuito a Jacopo della Pile, come «la mediocre tomba di Matteo Ferrillo»; altre indicazioni sull’originaria collocazione non sono riportate che non sia la notizia sul precedente allestimento in una cappella dedicata alla Vergine Assunta nella Chiesa Monumentale gotica preesistente al suo rinnovamento tridentino, come d’altra parte inscritto sulla stessa lastra sepolcrale. Il Complesso Monumentale di Santa Maria la Nova è, certamente, uno dei principali attrattori turistici e culturali del centro storico di Napoli. In qual modo i visitatori possono essere guidati alla conoscenza della «Tomba di Dracula»? L’interesse suscitato e la diffusione internazionale, grazie ai vari media, hanno certamente contribuito ad avvicinare per questo complesso monumentale di origini medievali un pubblico di visitatori più attento non solo alla scoperta delle bellezze storico-artistiche ivi ammirabili, ma che trova nel mito letterario della figura di Dracula quella fascinazione esoterica del mistero oggi sempre più diffusa soprattutto tra il mondo giovanile. Si tratta, in realtà, di un modo – direi – postmoderno di dare espressione e figurazione a quel mondo simbolico dell’Oltre e dell’Altrove, fluttuante nelle sue espressioni tra miti e leggende, e che, tuttavia, riguarda le grandi domande della nostra esistenza. In tal senso, il racconto di questo luogo, anche attraverso il contributo di queste ricerche, intende, in ultima analisi, evidenziare la connessione tra un linguaggio misterico apparentemente inusuale e la domanda sull’inconoscibile dell’esistenza. In secondo luogo, la figura storica di Vlad III ci aiuta a rappresentare quel mondo di conflitti e reciproca ostilità, che ha insanguinato la penisola balcanica nella lotta tra crociati e truppe ottomane e che, per molti aspetti, in zone diverse del globo è ancora uno scenario assolutamente a noi prossimo. Professor Reale, ci racconta un aneddoto a cui è particolarmente legato a proposito, naturalmente, dell’ipotetica tesi della sepoltura di Vlad III a Santa Maria la Nova? Posso solo ricordare la sorpresa e lo stupore quando Raffaello Glinni, il giornalista Paolo Barbuto de «Il Mattino» di Napoli, insieme a Marco Perillo della redazione, vennero qui in un pomeriggio uggioso, mentre stavamo per chiudere, a chiederci e a raccontarci di Vlad, di Dracula, dell’Ordine del dragone e di altri riferimenti simbolici, che erano lontani dai miei immediati interessi di studio, ma che, da quel momento, hanno costituito un mio specifico impegno di ricerca soprattutto con il mio ritrovamento del Codice La Nova dell’epigrafe nella Cappella Turbolo. Ricordo simpaticamente che con il direttore del Museo delle Antiche Genti di Lucania, Nicola Barbatelli, che quel giorno accompagnava Raffaello Glinni, vi fu un momento di reciproco disappunto poi risoltosi in un’amichevole stima. «Dracula» a Napoli, come anche Bram Stoker, che raggiunse la città partenopea nel 1876 e soggiornò nel Sud Italia per tre mesi. Allo scrittore che in quegli anni cominciava a pubblicare racconti del genere gotico, Napoli doveva apparire come un luogo esotico e ricco di misteri, da qui l’idea di una possibile influenza nella redazione del suo celebre romanzo Dracula. D’altronde, molti scrittori del genere gotico furono influenzati da Napoli. Oggi, il mito di Dracula e dei vampiri è più vivo che mai. Perché continua a suscitare tanto fascino e interesse? Vi è sicuramente il fascino di un linguaggio letterario, che si è ben presto trasformato – anche grazie a delle belle produzioni cinematografiche – in mito e leggenda, fino a ispirare una vera e propria saga vampiresca, come avvenuto con personaggi di serial tv dedicate ai più giovani, in cui trovano spazio anche emozioni e sentimenti lontane, in prima battuta, dall’originaria crudeltà del personaggio. Questo «linguaggio del mistero», ereticale rispetto all’ufficialità delle religioni, dice la costante fondatezza di domande trasversali e perciò costitutive del nostro vivere, che trovano forme del tutto personali e creative, per ‘viaggiare’ in mondi onirici imperscrutabili, in cui la leggerezza di una storia da romanzo consente un attraversamento lieve e senza immediate deduzioni etiche per i singoli individui. A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone |