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«Oggi prevale una critica di tipo impressionistico». In dialogo con Giuseppe Muraca
Apriamo la nuova stagione con un’ampia intervista a Giuseppe Muraca, critico letterario e saggista. Nato a Vena di Maida (CZ), un paese di origine albanese. Si è laureato all’Università di Napoli in Lettere moderne e ha insegnato per 40 anni Italiano, Latino e Storia. Ha fondato e diretto la rivista «L’utopia concreta» e ha fatto parte della direzione delle riviste «InOltre» e «Per il ’68» e della redazione del giornale «Ora locale». Dal 1991 al 1996 è stato direttore editoriale della Casa editrice Pullano di Catanzaro. Ha pubblicato vari libri, tra cui Il primo Palazzeschi (Conte, Napoli 1981), Breve resoconto (poesie) (Catanzaro 1987), Da «Il Politecnico» a «Linea d’ombra» (Lalli, Poggibonsi 1990), Utopisti ed eretici nella Letteratura italiana contemporanea (Rubbettino, Soveria Mannelli 2000), Luciano Bianciardi, uno scrittore fuori dal coro (Centro di documentazione, Pistoia 2011), Piergiorgio Bellocchio e i suoi amici (Ombre corte, Verona 2018), Passato prossimo (Ombre corte, Verona 2019), Il giovane Palazzeschi (Ombre corte, Verona 2021), L’integrità dell’intellettuale. Scritti su Franco Fortini (Ombre corte, Verona 2022), Lottare per le idee. Roberto Roversi, poeta e protagonista della cultura italiana contemporanea (Pendragon, Bologna 22023) e Luciano Bianciardi tra illusioni e disincanto (Clinamen, Firenze 2023), Un fare comune (Il Convivio 2024). Ha collaborato e collabora a numerosi giornali e riviste, tra cui «Questa Calabria», «Il Dialogo», «Il Quotidiano del Sud», «Rendiconti», «La Balena bianca», «il manifesto», «Il Grandevetro», «Dalla parte del torto», «Lamezia storica» e a tanti altri.
Con riferimento all'esistenza di una metodologia della critica letteraria e all’impegno specifico di autori e studiosi della letteratura dal punto di vista della critica, la critica letteraria e il saggio letterario nella fattispecie sono un genere letterario. La critica letteraria è un campo di indagine separato dalla teoria della letteratura?
Per un panorama della saggistica letteraria italiana da De Sanctis in poi rinvio al libro di Alfonso Berardinelli La forma del saggio. Definizione e attualità di un genere letterario, Marsilio, Venezia 2002, uno dei maggiori critici letterari contemporanei. Secondo me, la critica letteraria non può essere separata dalla teoria della letteratura, ma quest’ultima deve essere considerata una branca di essa.
Secondo William Kurtz Wimsatt Junior e Cleanth Brooks, «poiché i poeti hanno una forte tendenza a formulare giudizi intorno alla propria arte e a far uso di questi giudizi come facenti parte del messaggio dei propri componimenti, potremmo rinvenire teorie letterarie di qualche sorta fin dall'epoca cui risalgono i primi componimenti poetici».
Ciò vale anche per i narratori?
Certo, ciò vale anche per i narratori, ma solo i grandi autori hanno un alto livello di autocoscienza critica dei propri mezzi e della propria opera.
Un autore, con l’immaginazione di un possibile lettore o fruitore della propria opera, può considerarsi già critico di sé stesso?
Il rapporto tra autore e lettori è molto importante. In fondo si scrive per essere letti, e allora ogni autore pensa ai lettori cui intende rivolgersi, ma la maggior parte di essi quasi mai con la consapevolezza critica necessaria.
Professore, la sua attività critica va da Aldo Palazzeschi ad Ardengo Soffici, da Carlo Muscetta a Franco Fortini, da Luciano Della Mea a Luciano Bianciardi, da Alberto Asor Rosa a Romano Luperini, fino ad arrivare a Carmine Abate. Quali sono i principali nodi affrontati?
Ho iniziato a scrivere di Letteratura alla fine del 1976, in prossimità della Laurea in Lettere moderne presso L’Università di Napoli. Prima come militante politico mi ero dedicato principalmente alla stesura di documenti politici e di qualche poesia, finite nel dimenticatoio. Oltre alle letture scolastiche e dei classici (Omero, Virgilio, Catullo, San Francesco, gli Stilnovisti, Dante, Petrarca, Boccaccio, Machiavelli, ecc.), alle spalle avevo uno studio matto e disperatissimo di autori dell’Ottocento e del Novecento della Letteratura universale. Sin dalla prima elementare avevo avuto degli insegnanti che avevano con i loro consigli coltivato la mia passione per la letteratura, a cui dai 14 anni si è aggiunta quella per la nuova musica e per il cinema. Il mio primo articoletto aveva come argomento la Beat generation e venne ospitato dalla rivista «Il Dialogo», fondata a Londra e diretta dal mio amico Giuseppe Cimino che si era da poco trasferito nella capitale inglese. Da allora ho pubblicato centinaia di saggi e articoli sulla letteratura italiana degli ultimi due secoli, e in particolare del Novecento, collaborando a tantissimi giornali e riviste. E saltuariamente mi sono interessato anche di Letteratura americana, francese e tedesca e ho scritto anche di cinema e di musica. I miei articoli e i miei libri sono incentrati su vari nodi tematici: la letteratura d’avanguardia, il rapporto fra letteratura e politica, politica e cultura, fra intellettuali e potere, sul ruolo del marxismo nella società contemporanea, sulla nuova sinistra, ecc. Ma ho scritto anche racconti, un romanzo mai finito e rimasto inedito, e poesie. Infatti nel 1987 ho pubblicato il libro di liriche Breve resoconto, ma mi considero principalmente un critico letterario. Il mio ultimo libro Un fare comune (Il Convivio 2024) è dedicato al ruolo di alcune importanti riviste nella società italiana del secondo Novecento, da «Il Politecnico» di Elio Vittorini a «Diario», la rivista di Piergiorgio Bellocchio e Alfonso Berardinelli. Senza dimenticare che io per oltre 40 anni ho fatto di mestiere l’insegnante cercando in tutti i modi di trasmettere ai miei studenti l’amore per la storia degli uomini, la cultura e la letteratura, ecc.
L’indagine sul ruolo degli intellettuali è apparsa sempre allacciata alle questioni relative ai rapporti tra sapere e potere, tra pensiero e azione, tra teoria e pratica, tra utopia e realtà. È corretto affermare che l’intellettuale debba essere considerato, a questo punto, un attore sociale senza alcun futuro, esclusivamente un’orma del passato?
Con la crisi del marxismo e della sinistra è venuto meno la figura dell’intellettuale rivoluzionario che con la sua attività voleva partecipare in prima persona alla trasformazione della cultura e della società. Ora, molti parlano di eclissi dell’intellettuale o di decadenza o addirittura della sua scomparsa, ma non è vero. La verità è che oggi l’intellettuale in linea generale è diventato massa ed è ben integrato negli ingranaggi del potere, venendo meno così la sua autonomia e la sua funzione di critica del sistema e dei valori correnti che soltanto pochi continuano ad esercitare.
Gli intellettuali con il loro pensiero poco docile, anzi sovente sovversivo, hanno contribuito a mettere in crisi i valori fondanti dei dogmi, delle credenze, dei costrutti ideologici vigenti nelle società e culture di appartenenza. Quanto gioca, oggi, la vocazione a dissentire? Essa è barattata col perseguimento del consenso?
Come è noto, nel corso dei secoli, e in particolare dai tempi dell’Illuminismo, gli intellettuali hanno assunto sempre più un ruolo di primo piano nell’opera di denuncia e di critica dei valori e della cultura dominanti. Oggi non è più così: tutto si è omologato e anche le voci critiche vengono assorbite dal sistema, mentre la stragrande maggioranza di loro sono sempre alla spasmodica ricerca del consenso e del successo. I tempi dei Fortini e dei Pasolini sono ormai lontani e la società letteraria non esiste più ed è venuto meno qualsiasi tipo di impegno.
Migliaia di scrittori, centinaia di case editrici, 82.719 le opere librarie pubblicate in Italia nel 2021. Tutti scrittori?
Oggi c’è molta confusione e si pubblicano troppe opere e purtroppo può capitare che abbia più successo un’opera di scarsa qualità letteraria che un’opera di prima grandezza, che magari viene scoperta e valorizzata dopo la morte dell’autore. Il numero degli autori aumenta sempre di più, tanto che Grazia Cherchi, prima di morire, ha affermato che non se ne può più e che persino gli ortopedici si sono messi a scrivere romanzi. Ma in realtà gli scrittori e i poeti di qualità sono pochi e non è facile individuarli, anche perché i ‘critici giornalieri’ non sempre hanno le idee chiare, molti dei quali sono legati ai grandi gruppi editoriali e fanno gli interessi delle testate a cui collaborano.
Se nei primi decenni del Novecento le tendenze dominanti furono quelle derivate dal positivismo e dallo spiritualismo franco-tedesco ruotanti intorno alle posizioni crociane, dalla metà degli anni Trenta affiorò la critica «ermetica». Nel secondo dopoguerra ritrovarono vigore la filologia e il metodo storico, mentre il pensiero marxista ha attraversato l'intero campo della critica influenzandone vasti ambiti. Quali tendenze ravvede?
Dopo la crisi del marxismo e dello strutturalismo, oggi prevale una critica di tipo impressionistico. Al tempo stesso la critica militante non esiste quasi più e ha preso il sopravvento la critica accademica, che è un’esercitazione di tipo specialistico che ha il suo gergo, spesso incomprensibile e finalizzata alla carriera universitaria. Ma d’altro canto è anche vero che i critici godono di maggiore libertà. Comunque, se è vero che il compito del critico è quello di interpretare l’opera allora bisogna sempre mettere al centro dell’indagine critica il testo, ma al tempo stesso porlo in relazione con il contesto. In ogni caso il critico deve utilizzare tutti i metodi necessari per raggiungere il suo scopo, cioè svelare tutti i valori insiti nell’opera letteraria, senza credere nell’ideologia dell’ideologismo, tenendo conto che l’importanza del critico nella società contemporanea cresce sempre di più.
A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 9, settembre 2024, anno XIV) |
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