«Lunga vita allo spirito bohémien!» Giuliana Carbi Jesurun in dialogo con l’artista Luciana Tămaș

Una volta che la pandemia si è infiltrata nelle nostre vite, ho cominciato a pensare che, ove possibile, da idee, pixel, cellulosa, pellicola..., ancora e ancora, sarebbe stato utile costruire una (nuova) ‘arca’. Forse non è un caso che il sentimento che ognuno di noi, in squadre più piccole o più grandi, possa contribuire alla realizzazione di tale obiettivo, l’ho avuto lo scorso anno, durante il periodo vissuto a Trieste, dove la ‘tasca’ di una struttura cittadina con un’inclinazione di 45-55 gradi (da cui il nome della strada – Via del Monte) ospita una possibile imbarcazione di questo tipo. Tra quel punto di riferimento, situato in fondo alla strada, e il suo opposto, sull’epidermide di ogni edificio è tatuata la storia. Costruita con la pietra della fortezza antica, in cima alla montagna regna una fortezza medievale; sotto le mura, all’orizzonte, come un prolungamento del mar Adriatico, il trambusto della città, i viali, i vicoli, i pescherecci, le navi da crociera, i caffè, i miti urbani. Uno spazio dinamico, in cui, per citare la nostra ospite, la dott.ssa Giuliana Carbi Jesurun, storica dell’arte e curatrice d’arte contemporanea, l’accento è posto sulla «capacità di relazione e di propagazione dello spirito bohémien! Certo, aggiornatissimo e arrabbiatissimo»... Una sorta di antichità «2.0» e super-contemporaneità sospesa tra i secoli.


Luciana Tămaș: Lei considera l’arte e la letteratura indispensabili alla vita – una ricerca ardua per alcuni, inaccessibile ai più. Quali sono state alcune delle esperienze o degli incontri più felici che queste sue passioni le hanno portato?

No, non lo trovo difficile. È invece inesauribile, affascinante, piuttosto energetico. È il luogo più onorevole dove mettere in campo un lavoro autentico di relazioni dedicate alla bellezza.
La tua domanda è calzante: è infatti il luogo ideale dove fare splendidi incontri. La lista delle bellissime persone che ho incontrato e con le quali abbiamo progettato audaci avventure è davvero lunga perché copre molti decenni. Ho trovato generosi amici in tutta Europa – tra di essi artisti e curatori già grandi figure di questo mondo o che diventano grandi nel mentre condividiamo deliziosamente parte del nostro percorso, o giovanissimi che hanno piacere che ti scappi di trasmettergli il tuo entusiasmo e che poi magari ritrovi anni dopo, con gioia, ad averlo più forte del tuo. Ho trovato anche l’amore di mio marito Franco Jesurun e le sue visioni nel teatro e nell’arte visiva. Questi incontri – lo credo fermamente – sono sempre incontri non casuali, come è stato ad esempio per la saggia guida di Gillo Dorfles nel costruire il Concorso Internazionale di Design fin dall’anno di fondazione di Trieste Contemporanea, o con Paweł Althamer, tra i primi vincitori del Premio Giovane Emergente Europeo, o Adrian Paci, con il quale abbiamo lanciato anni fa la sfida di unire teatro arti visive e tecnologia digitale nel concorso europeo Squeeze it (approfitto per informare da questo giornale i giovani artisti romeni che la quarta edizione di Squeeze it è in corso e che è possibile iscriversi fino al 23 luglio).
Non si stacca a orari prestabiliti da questo lavoro, ed è cosa che non pesa affatto perché è parte organica, molto particolare, della propria individuale ricerca del senso della vita.


Se dovesse scegliere tra leggere un testo incitante generato dall'intelligenza artificiale e uno confuso scritto da un altro essere umano, quale sceglierebbe?

Tassativo!: sempre leggere cose stimolanti e intelligenti!… Quindi la risposta a come imposti la domanda è per la IA. Proprio adesso, d’altronde, il tema della IA è discusso da tutti perché siamo tutti curiosissimi di vedere fino a che raffinatezza arriva…
Certo già ora si intuisce quanto la IA sarà utile nella gestione dei dati e particolarmente nella riduzione dei tempi di ricerca dati, in tutti i campi professionali. Tuttavia i problemi che sorgeranno con un uso spregiudicato della IA sono enormi (e anche il suo sfruttamento commerciale sarà impressionante: a cominciare dallo scenario minimo che sarà che ognuno – dei miliardi di noi – per fare la più piccola cosa in salsa IA dovrà pagare quantomeno delle licenze annualmente).
Con l’incremento dei dati censiti e delle possibilità infinite della loro combinazione potremmo trovarci in un futuro in cui il riconoscimento delle fonti affidabili, che già è una spina non facilmente estirpabile dal fianco odierno di Internet, andrà in loop e la discussione sulla difficilissima soluzione del problema del diritto d’autore, ora accesa, scemerà del tutto (probabilmente gli interessi economici in gioco non cambieranno i dispositivi di filtro di AI, piuttosto troveranno più conveniente cambiare il nostro concetto di diritto d’autore…). Sarà dunque sempre maggiore la difficoltà che si avrà di attivare delle procedure di riconoscimento della notizia “vera” a fronte di una esemplare interpolazione logica, bellissima ma inventata di sana pianta (e, nel nostro campo ad esempio, la prima cosa che salterebbe sarebbe la certezza di obiettività della ricerca storica…)
Sono problemi che potremo affrontare e risolvere (mi auguro) se stabiliremo una fondamentale pregiudiziale: se in ogni caso mai smetteremo di saper insegnare ai nostri cuccioli di essere logici entro i limiti umani (etici) e di essere, sopra a tutto, intuitivi e sensibili perché, per quanto autoapprendimento sia da lei speso, la IA non prenderà per noi nuove “decisioni” umane. Si limiterà a simulare un numero di scenari di decisioni possibili tratte dal passato o fittizie. Senza distinguere che la vita pratica è altra cosa da quella virtuale e che l’esempio e la trasmissione di esperienza servono a farci poi riconoscere il campo di valori in cui vogliamo noi agire per proseguire.


Secondo un recente articolo di «The Guardian», una rivista di fantascienza americana non pubblicherà più debuttanti dopo che è stato scoperto che molti dei nuovi «autori» usavano l'intelligenza artificiale per generare testo. In che modo questo aspetto potrebbe influenzare la storia della letteratura?

Riprendendo quello che ho detto, essere generatori di testi non significa ancora essere generatori di significati. Questa distinzione varrà non solo per la letteratura ma per tutti i campi. In marzo, ad esempio, ha aperto ad Amsterdam la prima galleria d’arte generata dall’IA. Un caso molto trendy, certo, ma ancora insolvente alla primaria funzione di una galleria: sembra infatti che ai collezionisti (per ora) non interessi di comprare arte (IA) senza contenuti contestuali rilevanti in termini di interpretazione della nostra condizione umana.  


Il futuro «Kafka» potrebbe essere un algoritmo? Siamo pronti per una sfida del genere?

Siamo sicuri che è una sfida? Non mi disturba che a convivere con un nuovo Kafka-Uomo, che vedo difficile per ora eliminare, in futuro ci sia un nuovo possibile emozionantissimo Kafka-IA. L’idea mi diverte e incuriosisce perché la vera domanda è se questo secondo Kafka saprà andare oltre alla simulazione e, dalla mescolanza di quanto reperirà online, generare un prodotto letterario che avrà un senso per noi oggi, per il (complesso) “noi” che siamo oggi.
Un primo punto è che ci vorrà molto tempo per l’apprendimento perché… non tutto (e spesso le cose più interessanti) è già a disposizione della IA: siamo ancora agli albori della digitalizzazione del nostro enorme patrimonio di conoscenza. Quanto appartiene al campo della creatività artistica europea del passato, ad esempio, è proprio il (vergognoso) fanalino di coda della (frettolosa) corsa alla digitalizzazione stimolata dai fondi europei messi oggi a disposizione.
Un secondo punto è che le opere si possono leggere secondo livelli progressivi di complessità (dal significato letterale a quello che una volta si chiamava significato allegorico, dall’interpretazione formale puntuale alla potenza extra sistemica della rappresentazione non diretta). Ancora, molto tempo passerà (se ci riusciremo) per emancipare la IA dall’equivalente di quello che una volta chiamavamo letteratura di massa – grosso modo la produzione industriale di quello che esattamente vogliamo farci dire o che non ci dà grattacapi a leggere, che è molto diverso da ciò che, non ancora dettoci da nessuno, ci sorprende ed emoziona: riuscirà dunque davvero – non diamolo subito per scontato – l’algoritmo a farci provare “emozioni dello spirito”, che scaturiscono da quel qualcosa che non è solo la somma delle parti nell’opera d’arte (generata da un soggetto senziente)?


Trieste è una splendida città. Ho avuto modo di guardarla con gli occhi di persone che hanno saputo indicarmi i luoghi che la definiscono. Cosa significa per lei questo spazio cittadino?

Banalmente, dico solo che è la città dove sono nata e cresciuta e che la amo moltissimo e che vorrei fosse in perfetta salute anche se so bene che non lo è, e anzi ora sembra aggravarsi.


Trieste Contemporanea ha segnato la vita culturale della città: ospita mostre, presentazioni di libri, eventi multidisciplinari. Uno spirito neorinascimentale sembra animare questo spazio. Può dirci di più sulla sua storia?

Se hai sentito questa atmosfera nel nostro spazio di Trieste sono davvero felice.
Abbiamo lanciato i nostri «Dialoghi con l’arte dell’Europa centro orientale» nel 1995 pensando che questa città era il posto giusto per un progetto che funzionasse quasi come una «antenna» di ricezione e di trasmissione. Al tempo infatti il cosiddetto Ovest europeo non conosceva molto di queste sue altre culture artistiche. Ora la nostra attività è consolidata: il nostro network internazionale è ampio, i programmi di ricerca sono regolari, la nostra biblioteca specializzata è consultabile nel Servizio Bibliotecario Nazionale attraverso il Polo dell’Università di Trieste, tirocini formativi e occasioni di confronto e scambio professionale per giovani artisti e curatori sono attivi attraverso convenzioni universitarie, workshop, premi e concorsi. Tra gli ultimi nati è la collana libraryline che vuole raccogliere testi inediti e prime traduzioni di autori che hanno grandemente contribuito all’arte visiva contemporanea europea o alla sua comprensione.


Quali scrittori ritiene abbiano evocato più fedelmente la realtà triestina?

Affascinati dalla Trieste «moderna» espansa fuori dalle mura medioevali a cavallo tra Sette e Ottocento, diversi viaggiatori se ne occuparono allora e nell’Ottocento – e tra questi forse sceglierei Charles Yriarte – poi, fino al primo Novecento, rimanderei ad alcuni esempi della letteratura triestina direttamente: soprattutto nei romanzi di Italo Svevo si gusta il sapore della città; dopo la seconda guerra mondiale una interpretazione da non perdere è data da Jan Morris nel suo Trieste and the Meaning of Nowhere (Trieste o del nessun luogo).


I fratelli Karamazov o il doctor Faustus? L’est o l’ovest? Glielo chiedo perché lei è, geograficamente, al centro dell’Europa.

Siamo tutti europei. Dobbiamo solo conoscerci meglio.
E fare un migliore lavoro di squadra sul brand culturale “Vecchio Continente”!


Joyce una volta scrisse che il suo cuore era a Trieste. Sembra ovvio che il suo genio narrativo sia stato fortemente influenzato da questo spazio. Esiste una coscienza del luogo capace di ispirare?

Noi che ci viviamo non possiamo descrivere obiettivamente cosa sia, ma hai ragione Trieste ha avuto una rilevante forza ispirativa per gli scrittori e alcuni scrittori stranieri ancora oggi la hanno eletta come loro città: piuttosto direi che sia Joyce che Svevo hanno trovato una spazialità per la coscienza. Una propensione che qui ha anche declinato modernamente psicoanalisi (la Trieste austriaca fu sede di impianto della psicanalisi in Italia tramite Edoardo Weiss, un allievo diretto di Freud) e psichiatria (la famosa «riforma» di Franco Basaglia ha aperto i manicomi italiani nel 1978).


Spritz o videospritz? Bohémien o bohémien 2.0? È una realtà ipersterilizzata specifica dello spirito bohémien?

Lunga vita alla capacità di relazione e di propagazione dello spirito bohémien! Certo, aggiornatissimo e arrabbiatissimo – quindi, come dici, 2.0 – ma con la stessa proporzione propellente di anticonformismo, di libertà e di propensione alla rivolta contro le ingiustizie.
Mi piace – perché efficace oggi più che mai – il termine «sterilizzato» che usi. Ecco, ritornando alla IA, il mondo digitale, per quanti passi da gigante potrà fare, resterà sempre sterilizzato. L’importante, precisamente, è che a lungo andare non sterilizzi anche noi… per avere una nostra strana vita sana… Ben vengano i nostri grandi stupori per l’artificio cui ci prepara l’affinamento tecnologico della realtà virtuale a patto che non smettiamo, ribadisco, di riconoscerci, di metterci in relazione reale, diretta e umanamente proattiva, con gli altri e con il mondo esterno.


Alla 15esima edizione di Documenta di Kassel, in Germania, lo scorso anno è stato lanciato lo slogan: «fai amicizia, non arte!» (Make friends, not art). Adattata allo spazio letterario, questa esortazione potrebbe essere tradotta come «fai amicizia e smetti di scrivere letteratura». Questo ‘ribaltamento’ sarebbe vantaggioso per lo spirito umano?

Questo slogan del collettivo che ha curato la manifestazione tedesca forse è mal formulato o mal inteso e non ha certamente la stessa efficacia rappresentativa del Make love, not war, molto più arrabbiato cui si ispira (e ora pare che anche questo slogan anziano non ci abbia insegnato nulla).
Bene per la promozione dell’amicizia: tra i popoli e gli individui. Molto bene. Potrei dire che anche l’attività di Trieste Contemporanea ha questo come uno dei suoi obiettivi. Ma, per quanto profondo sia l’abbattimento in cui è piombato il campo della produzione di cultura europeo per le gravissime preoccupazioni della guerra e della pandemia, è proprio questo campo che deve esattamente agire come motore di massimo incitamento e apertura alla rinascita, piuttosto che produrre un disorientamento insanabile interno al suo mondo culturale di tale portata come la perdita di fiducia (che sembra intuirsi nello slogan) che «fare arte» non serva a nulla.


Qual è stato l'evento più stimolante che ha organizzato come curatore?

Piccoli e grandi progetti da citare… forse direi Both Ways, progetto di arte contemporanea (e della sua relazione con la scienza) curato in piena pandemia, con un pool di curatori e di istituzioni pubbliche di cinque paesi – tra cui la Romania – e con mostre sia a Trieste all’interno dell’EuroScience Open Forum 2020, che nei paesi, che nello spazio virtuale dove i visitatori-avatar potevano seguire le visite guidate dei curatori-reali. E citerei anche, per il costante lavoro di discussione delle pratiche curatoriali nei paesi CEE: il CEI Venice Forum for Contempory Art Curators che dal 2001 coordino a Venezia durante i giorni di preview della Biennale Arte. 


La prego di presentare ai lettori della nostra rivista lo Studio Tommaseo e gli obiettivi dell'istituzione che dirige.

È il generatore di tutto questo. In uno spazio diverso da quello di oggi nel 1974 nasce la Galleria Tommaseo: Franco Jesurun ha le idee chiare e porta allora a Trieste alcune delle più interessanti proposte di arte contemporanea italiane ma non solo. Segue anche da vicino l’emancipazione femminista e produce installazioni e performance ora storiche nella carriera di artiste come Sanja Iveković, Renate Bertlmann o la triestina Emanuela Marassi, di cui proprio recentemente a MIART di Milano abbiamo potuto vedere degli strepitosi lavori degli anni Settanta presentati da una galleria di Bratislava. Il mondo degli anni Ottanta poi richiede uno sguardo più multidisciplinare e occasioni di divulgazione e incontro con la storia recente dei movimenti artistici (di cui anche il largo pubblico comincia ad essere curioso): ci trasformiamo in organizzazione non profit aprendo anche l’associazione L’Officina che si occupa di teatro, musica, architettura, cinema, ecc. Infine negli anni Novanta, dopo la caduta del Muro di Berlino, il nostro percorso trova il sxuo magico centro di interesse: nasce, grazie ad una chiacchierata fiorentina con un amico boemo, il progetto di Trieste Contemporanea, che è un comitato di diverse associazioni culturali che dedicano parte della loro attività ad un intenso sguardo ad Est.  


Ci può anche parlare del premio Young European Artist Trieste Contemporanea, che viene assegnato da questa istituzione?

Dovresti essere tu a dirci qualcosa. Sono felice che abbiamo mostrato a Trieste il tuo lavoro, cara vincitrice 2021! Il Premio nasce nel 1999: l’adesione dei giovani under 30 dell’Europa dell’Est è in ogni edizione molto numerosa. Si chiede l’invio di un portfolio che illustri almeno cinque ultimi progetti che una giuria internazionale possa valutare. Una mostra e un catalogo vengono poi realizzati per il vincitore. Nel corso della sua storia il Premio ha visto i giovani artisti crescere, ricevere poi altri premi importanti, spesso rappresentare di lì a poco il loro paese alla Biennale di Venezia… diventare famosi… Alcuni vincitori delle prime edizioni sono Paweł Althamer (Polonia), Nicolae Comănescu (Romania), Ivan Moudov (Bulgaria), Nikola Uzunovski (Macedonia), Driant Zeneli (Albania). Sono felice di anticipare da queste pagine che il bando 2023 verrà pubblicato in settembre.


Un’ultima domanda: Trieste Contemporanea ha ospitato, nel tempo, diversi artisti romeni – Paul Neagu, Ciprian Mureșan, Nicolae Comănescu… Come ha già detto, l’anno scorso ho avuto l’onore di esporre anch’io in questo spazio carico di storia. Quali sono i suoi rapporti personali con il Paese i cui artisti sono stati così generosamente accolti nell’istituzione che dirige?

Ho visitato il tuo paese. Vorrei vedere ancora di più. Amo quello che percepiamo da qui, da distante, certo in modo grossolano – intendo il segno fortissimo che la vostra cultura e la tradizione artistica ha donato a tutta l’arte contemporanea che è, a mio avviso, un modo di avere cura gentile dell’oggetto. Direi come se il sentimento di rispetto umano verso l’artefice dovesse sempre precedere la vista e l’apprezzamento del manufatto… La potenza immaginifica di Brâncuși dell’«immissione» del piedestallo nella identità profonda e non divisibile della scultura, il formidabile surrealismo «reale» del Victor Brauner di Parigi (On the Pattern) dove la mente si unisce alla mano indissolubilmente… anche la presenza individua e collettiva degli oggetti nelle opere di Spoerri. Potrei continuare esemplarmente anche con Neagu e con il suo straordinario lascito ai suoi allievi scultori inglesi dell’idea della percezione e del tatto: curare finalmente una sua mostra assieme a Gabriella Cardazzo è stata una delle mie gioie più grandi. Speravo di riuscirci dagli inizi di Trieste Contemporanea quando lo avevo conosciuto grazie a Gillo Dorfles che era un suo grande amico e estimatore.
Credo che anche il tuo uso del legno e dei materiali poveri nella mostra di Trieste si possa leggere cosi…

La ringrazio per avermi dato l’opportunità di entrare nell’atmosfera di quello straordinario e sempre inventivo consenso spirituale rappresentato da Trieste Contemporanea!




Mostra Luciana Tămaş, Trieste, 2022 (foto ©Agnese Divo)



Mostra Luciana Tămaş, Trieste, 2022 (foto ©Agnese Divo)



Giuliana Carbi Jesurun con Luciana Tămaş, Trieste, 2022





A cura di Luciana Tămaș
(n. 5, maggio 2023, anno XIII)