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Con Giulia Caminito su «L'acqua del lago non è mai dolce», ora anche in romeno
L’acqua del lago non è mai dolce (Bompiani, 2021) di Giulia Caminito è di recente uscito in traduzione romena con il titolo Apa lacului nu e niciodată dulce, traduzione e note di Oana Sălișteanu, nella Collana «Raftul Denisei» della casa editrice Humanitas Fiction di Bucarest.
Laureata in Filosofia politica, Giulia Caminito ha esordito con il romanzo La Grande A (Giunti 2016, Premio Bagutta opera prima, Premio Berto e Premio Brancati giovani), seguito nel 2019 da Un giorno verrà (Bompiani, Premio Fiesole Under 40).
Nel romanzo L'acqua del lago non è mai dolce Caminito guarda dentro e fuori di sé per raccontarci in prima persona cosa ha significato il passaggio a questo nuovo secolo per chi oggi ha trent'anni, come lei, nella provincia di Roma, sul lago di Bracciano, dove è nata. È un antico cratere, ora pieno d'acqua: sulle rive del lago di Bracciano approda, in fuga dall'indifferenza di Roma, la famiglia di Antonia, madre coraggiosa con un marito disabile e quattro figli. Antonia è onestissima e feroce, crede nel bene comune eppure vuole insegnare alla sua figlia femmina a non aspettarsi nulla dagli altri. E Gaia impara: a non lamentarsi, a tuffarsi nel lago anche se le correnti tirano verso il fondo, a leggere libri e non guardare la tv, a nascondere il telefonino in una scatola da scarpe e l'infelicità dove nessuno può vederla. Ma poi, quando l'acqua del lago sembra più dolce e luminosa, dalle mani di questa ragazzina scaturisce una forza imprevedibile. Di fronte a un torto, Gaia reagisce con violenza, consuma la sua vendetta con la determinazione di una divinità muta. La sua voce ci accompagna lungo una giovinezza che sfiora il dramma e il sogno, pone domande graffianti. Le sue amiche, gli amori, il suo sguardo di sfida sono destinati a rimanere nel nostro cuore come il presepe misterioso sul fondo del lago.
«Non piangere». È questo l’imperativo categorico a cui noi donne dobbiamo ubbidire?
Io questo imperativo immaginario o reale lo infrango spesso, sono una persona che raggiunge la commozione molto facilmente e che dedica giornate al pianto, con cura e precisione, cercando fonti plausibili per il diluvio interiore. Ma la mia protagonista è il contrario di me e non piange mai o assai poco. Nei libri metto tutto ciò che non sono, mi trasformo e mi supero, mi peggioro, mi infilo l’armatura.
La disabilità è uno dei temi trattati nel suo libro. C’è spazio, nell’agorà, per i duepercenti?
Diciamo che nel romanzo non è un tema vero e proprio perché non lo approfondisco, ma è qualcosa che riguarda uno dei personaggi, il padre. Massimo cade in cantiere da una impalcatura e rimane paralizzato a vita. Con la moglie, Antonia, hanno tre bambini, più uno nato da una precedente relazione di lei. Gli equilibri in casa erano già precari perché i due cercavano di farsi assegnare una casa popolare da anni. Antonia in particolare ha fatto della casa la sua ossessione. Dal momento in cui Massimo si infortuna le cose precipitano, il suo ruolo cambia e anche le loro vite. Ho provato con questo personaggio a creare un percorso emotivo all’interno del libro che passa dalla rassegnazione alla depressione, alla cattiveria e poi all’emozione, alla vergogna e alla riconciliazione. È quindi una traccia che si può notare in controluce rispetto alla storia della protagonista Gaia, che è la sua unica figlia femmina.
I partiti sono morti; morta è la supremazia della rappresentanza sulla ‘governabilità’. Ebbene, ritiene che la somma di comportamenti individuali commendevoli possa produrre rivoluzioni politiche?
Le buone pratiche e il buon senso di certo hanno ormai un ruolo politico e sociale vero e proprio. Il romanzo affronta questo distacco dalla vita politica e dalla presa di coscienza di una dimensione collettiva del vivere e dell’abitare tramite lo sguardo impietoso, egoista e tragicamente adolescenziale della protagonista. I fatti del mondo e le disgrazie sociali sono per lei semplici voci alla radio, il suo presente è quello delle amicizie, dei piccoli tradimenti, delle vendette da compiere al più presto e degli oggetti da riuscire a possedere. Con questo io non ho provato a descrivere gli adolescenti tutti, ma solo a raccontare come anche io, vivendo in provincia, dentro una bolla di pettegolezzi, primi amori e scarpe appena comprate, non abbia incontrato la politica e il pensiero critico almeno fino all’università. Con i miei coetanei ai tempi si parlava di televisione, relazioni struggenti e cosa indossare il sabato sera. Il resto era un brusio insignificante in sottofondo. Le torri crollavano, le guerre continuavano, i governi cascavano e noi eravamo molto soddisfatti di aver modificato le marmitte dei nostri motorini o aver imparate a camminare sui tacchi alti.
Le dinamiche interpersonali della sua narrazione narrano di diffidenza, sospetto, paura. Si può giungere innocenti alla morte, scevri di malizia ed egoismo?
Credo proprio di no. Gli eccessi di Gaia, la protagonista, sono esasperati ed esasperanti ma penso che ognuno di noi possa trovare vicinanza e distanza rispetto alle sue paure, ai suoi tremori e alle sue scelleratezze, perché sono dolenti ma anche banali, riferiti a cose semplici e comuni, come un voto sbagliato, una risposta cattiva da un compagno di classe o un’amica infedele. È Gaia stessa nel libro a dire ad alta voce «Io odio gli innocenti» quelli di carne e quelli di carta, che trova nei libri che legge.
La narrazione ha un valore stimabile? Essa è incidente rispetto alla sua crescita soggettiva?
Io ho sempre vissuto nelle narrazioni. Fin da bambina le storie che inventavo, senza bisogno di scriverle ma agendole tramite giochi e giocattoli, sono state fonte di trasformazione ed evoluzione della mia persona, tanto che non mi è più possibile dividermi, non c’è più uno spazio di me che non narri. Anche la mia ansia è narrativa, si sprigiona sui finali possibili e temuti delle mie giornate e del mio stare al mondo.
La scrittura contemporanea può annoverare letterate illuminate, vere pioniere quanto a innovazione e rispetto della tradizione. Qual è l’attuale status della letteratura esperìta da donne?
Ci sono scritture di donne molto diverse tra loro. Mi sembra si stia sperimentando e che ora la scrittura delle donne goda di maggiore rilievo e attenzione rispetto al passato, se pensiamo alla seconda metà del Novecento.
Le scrittrici sono e sono state sensibili a diverse ideologie, visioni del mondo, sensibilità politiche e filosofiche; personalità diverse tra loro e spesso assolutamente inconciliabili. Riesce a scorgere un fil rouge che annoda le plurime e molteplici anime della letteratura declinata al femminile?
Di certo torna lo sguardo sulla condizione delle donne stesse, l’evoluzione delle donne nella società, il cambiamento del ruolo familiare, i temi della maternità, della gestazione, della crescita dei figli, ma anche le amicizie e le sorellanze, il recupero di figure di donne del passato da parte di altre donne del presente, la voglia di mettere in dubbio tutti gli stereotipi possibili circa le donne e le loro vite, l’impatto che i social media e i nuovi lavori legati alle tecnologie stanno avendo nelle esistenze delle donne, come è cambiato il lavoro di cura esercitato dalle donne, come vengono considerate le donne non più giovani ai giorni d’oggi, il rapporto col corpo e la sessualità, il peso della violenza sui corpi delle donne, le nuove frontiere della non binarietà, il valore delle donne afrodiscendenti nel dibattito sul contemporaneo. Questi solo alcuni dei molti spunti che ritrovo.
Dagli anni ’60 del Novecento il corpo delle donne diviene l’interprete della discussione politica, il movimento femminista esplora i paradigmi e i ruoli stereotipati delle donne, mentre l’azione dei collettivi arricchisce le meditazioni sulla differenza di genere. Quale significato assume, oggi, il termine ‘femminismo’?
Si parla oggi di femminismi al plurale proprio perché ci sono molte visioni diverse su alcuni temi della contemporaneità come per esempio il velo islamico, il sex work, la transessualità. E’ nato e cresciuto un femminismo dei social e della comunicazione che segue i trand e che si avvale di attiviste web, alcune volte più credibili di altre. Ci sono molte giovani donne che vogliono sapere di più sulle sfide del contemporaneo. Restano centrali i temi del lavoro, dell’autonomia, della libertà sessuale, della violenza subita, del diritto all’aborto e all’autodeterminazione come madri.
Sul significato della scrittura e anche della lettura ci si continua a interrogare nei modi più diversi. Quale potrebbe essere, per lei, il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?
È una domanda enorme. Credo continui ad avere il valore di raccontare in maniera complessa il passato, il presente e le proiezioni possibili sul futuro. La lettura oggi si fa in modo più frammentato, su dispositivi diversi. Molte persone non vedenti o ipovedenti grazie alle nuove tecnologie leggono con maggiore facilità, mentre resta la sfida di coinvolgere sempre di più le nuove generazione a una lettura prolungata e impegnativa che metta tra parentesi il rapporto morboso che si ha con i dispositivi elettronici.
La letteratura romena è costantemente tradotta in italiano e la rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» ne registra le pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2023. In che misura pensa sia conosciuta in Italia?
Penso che la letteratura romena abbia un peso rilevante nella cultura italiana, molte opere sono state lette e tradotte. Romania e Italia sono paesi vicini e affratellati, culture che si parlano e che non possono non trovarsi anche nel terreno della letteratura.
A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 7-8, luglio-agosto 2023, anno XIII)
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