Giovanni Ruggeri: Turismo italiano in Romania, tra chances e pregiudizi «Lavoro serio in Romania e autentica curiosità giornalistica in Italia». È la ricetta che propone Giovanni Ruggeri per incrementare il flusso turistico dall’Italia verso la Romania, opportunità non solo di crescita economica ma anche di più adeguata elaborazione dell’immagine del Paese tra gli italiani. Giovanni Ruggeri, giornalista e saggista, è autore di numerosi reportage turistico-culturali sull’Est Europa (scrive per vari periodici, tra cui il quotidiano «L’Eco di Bergamo», Touring Club Italiano, «Meridiani»), e sulla Romania in particolare, cui tra l’altro ha dedicato il libro Le icone su vetro di Sibiel (Città Aperta edizioni) e il sito www.sibiel.net. Di non trascurabile interesse, rispetto alla nostra tematica, anche la sua recente attività di consulenza e collaborazione con due importanti tour operator italiani, Utat Viaggi e Caldana Travel Service, quest’ultimo specialista dell’Europa dell’Est. In quest’ampia intervista Ruggeri ripercorre, insieme alla sua personale esperienza in Romania, un originale panorama di temi e motivi meritevoli di riflessione.
Il mio primo viaggio in Romania ebbe luogo nel maggio del 2002, reduce da precedenti trasferte in Croazia e Ungheria, che il giornale per il quale scrivevo e con il quale continuo a collaborare – «L’Eco di Bergamo», un giornale provinciale, ma nel suo genere il più grande d’Italia (più di 300.000 lettori al giorno) – seguiva con curiosità e soddisfazione fidandosi del mio “fiuto”. Al di là di alcune previe letture per inquadrare storia e cultura del Paese, partii senza una troppo definita immagine della Romania e – soprattutto – portato da una tranquilla apertura a ciò che mi si sarebbe presentato. Questa assenza di pregiudizi è stata preziosa: mi ha consentito un contatto diretto con la realtà romena, quale un italiano sbarcatovi per la prima volta nel 2002 poteva avere. L’impatto fu enorme: immenso silenzio e verde primordiale di un mondo antico, originario. Queste le primissime, indelebili impressioni, facilmente comprensibili se si considera che – dopo lo sbarco all’aeroporto di Cluj – la prima regione in cui arrivai e che visitai per intero fu il Maramureş. Non credevo ai miei occhi: una natura e paesaggio di tal bellezza e integrità come mai avevo visto prima, strade con animali al pascolo sui bordi, carretti e buoi, cimiteri vicino alle chiese con galline in libera uscita tra le tombe, e soprattutto i volti antichi, stupiti e buoni della gente. Non credevo ai miei occhi! Visitai tutto il Maramureş, quindi i monasteri della Bucovina, infine Iaşi. Ripartii con un’impressione fortissima, progressivamente approfonditasi e differenziatasi: la Romania ha un patrimonio di cultura, civiltà, natura ricchissimo, del tutto sconosciuto in Italia. Quanto a me, poi, me ne ritrovavo completamente innamorato, tanto che da allora non ho più smesso – prima professionalmente, poi privatamente – di tornare in Romania, visitandone pressoché tutte le regioni e scrivendone diffusamente.
È indubbio che la mia passione per la Romania viva di una profonda complicità d’anima col singolare mix che costituisce l’universo romeno, in particolare le sue antiche radici contadine, le sue eccellenti espressioni culturali e le sue straordinarie potenzialità di crescita (senza peraltro alcuna elusione delle ombre e contraddizioni, spesso pesanti, che affliggono il Paese). Tuttavia, di là dalle trascurabilissime mie personali preferenze, è indiscutibile che la Romania possieda un patrimonio ambientale relativamente integro e che fa da scenario spesso strepitoso per siti di grandissimo interesse storico-culturale: penso ai mai sufficientemente decantati monasteri e chiese affrescati della Bucovina, alle chiese e cittadelle fortificate nonché ai villaggi e città di Transilvania, con la loro tipica impronta multiculturale testimoniata già sul piano architettonico oltre che linguistico, all’universo fantastico del Delta del Danubio con il suo immenso mondo d’acqua, di fiori e animali, capace di conquistare chi abbia orecchie per ascoltare la voce e l’anima della natura. Facile, dunque, immaginare come per un italiano attento e sensibile ai valori ambientali e culturali sia stato naturale ritrovarsi letteralmente innamorato di questa terra. Ho detto tuttavia non a caso «sia ancora» perché va aggiunto che la Romania, a motivo del ritmo fortemente accelerato di sviluppo di questi ultimi anni, è segnata – nel bene, ma spesso anche nel male – da un processo di trasformazione che ne ridisegna tratti e lineamenti anche ambientali (nelle strade, città, villaggi). C’è da augurarsi, non senza una seria preoccupazione, che questo non ne stravolga o, peggio, deturpi l’intonazione di fondo.
Il desiderio di conoscere sempre più a fondo la Romania – desiderio che mi ha portato, in modo tanto naturale quanto a suo tempo imprevedibile, a studiarne e parlarne la lingua (unica vera via di accesso alla cultura e all’anima di un popolo) – mi ha spinto a concentrare il mio impegno professionale in una pubblicazione che, nella prospettiva e contesto suoi propri, potesse essere simbolicamente espressiva, nel suo intento comunicativo, dei valori culturali e umani della Romania. Sibiel e il mio libro sul suo Museo delle icone su vetro (patrimonio ancora completamente sconosciuto alla grande massa in Italia) sono così anche la punta di diamante e, se posso dire, un simbolo del mio affetto per questo Paese. Conobbi il villaggio e il suo museo nel 2003 e subito rimasi impressionato dalla straordinaria storia di questa produzione artistica sorta nei secoli scorsi ad opera di anonimi contadini e destinata ad altrettanti contadini, per non dire dell’altrettanto grande pagina di umanità e spiritualità scritta dalla vicenda del fondatore di questo museo, Padre Zosim Oancea, e dal suo villaggio. Dirò di più: pur bellissimo per il suo paesaggio e la sua atmosfera, questo villaggio potrebbe avere dal punto di vista storico e paesaggistico molti altri villaggi “concorrenti” in Romania, ma nessuno avrà mai la straordinaria storia cui hanno dato vita, in pieno comunismo, Padre Zosim Oancea e la gente di Sibiel creando il Museo delle icone su vetro. Se poi si considera che, sul piano personale, io sono estremamente sensibile alla sproporzione tra umiltà delle origini ed elevatezza dell’espressione, nonché a quella tra penuria di mezzi ed eccellenza dei risultati, facile capire come la singolare concentrazione di queste realtà a Sibiel mi imponesse, per così dire, un lavoro e un impegno tanto grandi quanto ineludibili come la realizzazione di questo libro. Ben altro discorso e spazio, poi, meriterebbe – ma non è questa la sede idonea – una riflessione sui risultati della mia azione, che sono stati, nell'ordine: molto grandi per la mediatizzazione del Museo di Sibiel in Romania e in Europa; spesso commoventi per la partecipazione e l'interessamento di privati cittadini romeni e di istituzioni (Chiesa ortodossa e Chiesa cattolica, istituti di cultura, ambasciate ecc.) che risiedono non in Romania ma in altri Paesi europei; a tutt'oggi pressoché nulli per quanto riguarda il coinvolgimento della Chiesa ortodossa romena e delle istituzioni pubbliche romene nel prendere opportune misure per assicurare la buona conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico e religioso del Museo di Sibiel, oggi in serio pericolo per le inadeguate condizioni generali di quest'ultimo, prima tra tutte la mancanza di un impianto di riscaldamento e di microclimatizzazione. Sono molto amareggiato davanti a un immobilismo che sembra non apprezzare nei fatti il sacrificio compiuto in Romania dalle generazioni precedenti, che sono i vecchi di oggi, negli anni durissimi del comunismo.
Le statistiche segnalano che il flusso di turisti italiani in Romania conosce un progressivo incremento negli anni, giungendo ad attestarsi a poco più di mezzo milione di presenze. Un valore significativo, questo, se colto nella sua progressione temporale, ma largamente inferiore a quelli di altre destinazioni nella stessa area (penso all’Ungheria e alla Polonia, solo per segnalare due esempi). Ciò induce a prendere atto che, a livello di massa, la Romania è ancora per i miei connazionali – nella migliore delle ipotesi – una terra pressoché completamente sconosciuta, se non proprio ignorata; per non dire poi dei diffusi pregiudizi negativi che, ancora statistiche alla mano, dobbiamo purtroppo registrare presso molti connazionali. D’altra parte, operatori di settore e numerose testimonianze anche da me via via raccolte, attestano un’esperienza comune alla grande maggioranza di coloro che si recano in Romania in vacanza: quella, cioè, di partire spesso con una pressoché sostanziale ignoranza di ciò che andranno a scoprire (o tutt’al più con una meno che vaga fantasia “vampiro-draculesca”, che ben sappiamo aver nulla a che fare con la storia, il folclore e la coscienza collettiva della Romania) e di tornare a casa con la sorpresa e la soddisfazione di aver scoperto un mondo ricco di valori e, in non pochi casi, di un’umanità che conosce ancora il senso dell’ospitalità. Oltre il caso d’eccellenza, unico nel suo ambito, di Sibiu «Capitale europea della cultura del 2007», Transilvania e Bucovina in particolare lasciano sempre pieni di ammirazione gli italiani che vi si recano.
In due parole: lavoro serio in Romania e autentica curiosità giornalistica in Italia. Mi spiego. Oltre a programmare in modo coerente ed efficace sistematiche operazioni di promozione all’estero, la Romania deve lavorare seriamente all’interno del proprio territorio, in primo luogo per la realizzazione delle infrastrutture indispensabili ad un turismo che funzioni, quindi formando adeguatamente il personale che lavora in questo settore (dove non sono consentiti né improvvisazione né pressappochismo) e vigilando tra l’altro (pare un dettaglio, ma conta molto) sulla corretta definizione del rapporto prezzo-qualità dei servizi (luogo di pericolosa insidia per operatori tentati di irresponsabile avidità, letale per un nuovo flusso turistico). Giudicando quel che accade, o non accade in Italia, a me pare che le autorità romene non abbiano un reale interesse a far crescere il flusso di turisti italiani in Romania: le attività di promozione – tanto per la stampa quanto per i tour operator – sono meno che modeste. Dispiace dirlo, ma è così. Intervista realizzata da Afrodita Carmen Cionchin (n. 2, febbraio 2012, anno II) |