In dialogo con l’artista-poeta Giorgio Moio Giorgio Moio è molto attivo nel campo delle arti visive, della poesia e della letteratura. Ha molte frequentazioni in questi campi e non trascura progettualità e redazioni. Produce e non si ferma, nemmeno la pandemia l’ha bloccato per iniziative e futuri programmabili; anzi, resta attento a motivare il profilo di iniziative possibili. Fra trame e poesie visive contestualizza il presente.
Il mio è stato un percorso di studi di quelli che si possono dire irregolari. Dopo la maturità m’iscrissi ad Architettura (volevo costruire edifici a partire da un’estetica moderna e futurista delle facciate). Dopo due esami mi fermò l’esame di Analisi 1 (mai andato d’accordo con la matematica). Nel frattempo lavoravo come presidente di una cooperativa edile. Poi, venne la chiamata di leva. Ci vollero 5 anni prima di riprendere gli studi alla facoltà di Lettere dell’Università di Salerno. Puoi raccontare i desideri iniziali? Da ragazzo non avevo nessuna intenzione di dedicarmi alla letteratura o all’arte; volevo fare la carriera militare. Ero pure riuscito a entrare nella Scuola Sottufficiali di Viterbo. Però, capii quasi subito che la vita militare non faceva per me: era un periodo in cui fui bocciato al 4° anno delle Superiori: mi resi conto che la scelta di diventare un militare era un ripiego, non una scelta. Tornai a scuola, a studiare; cosa che mi riusciva meglio. Penso che scattò in me l’esigenza di diventare poeta leggendo a fondo Giacomo Leopardi (avevo ancora una condizione di cultura – diciamo così – tradizionale) e poi poeta visuale, incontrando in una delle solite antologie letterarie, che ci hanno fatto leggere a scuola, gli zeroglifici di Adriano Spatola e le poesie visive di Nanni Balestrini e di alcuni componenti del «Gruppo 70». Quali i sentieri che hai seguito? Come dicevo sopra, dapprima quelli tradizionali: Dante Alighieri, Giacomo Leopardi, Guido Gozzano etc. (da non dimenticare il primo Aldo Palazzeschi). La scoperta del futurismo, surrealismo, dada, lettrismo, la neoavanguardia entrano nella mia vita durante l’anno di militare: leggevo molto e marciavo poco, quasi sempre esente. Quando è iniziata la voglia di «produrre arte, poesia e letteratura»? Sui banchi di scuola delle Medie. Ma ero ancora molto naïf. Forse, la voglia scattò proprio leggendo Leopardi. Parliamo della voglia di poesia che mi consentì di scrivere a quindici anni la mia prima poesia. La voglia per l’arte arriva durante la frequentazione di Architettura. Mi puoi indicare gli artisti e i poeti bravi che hai conosciuto? In Campania, cioè nella nostra terra, Franco Cavallo, Franco Capasso, Alberto Mario Moriconi, Michele Sovente, Luciano Caruso, Stelio Maria Martini per fare qualche nome. In campo nazionale, de visu pochi – mi sono sempre mosso pochissimo, sono abbastanza schivo e poco incline alla ʽmondanità’ – Lamberto Pignotti, Giovanni Fontana, Arrigo Lora Totino, William Xerra, Mario Lunetta, sempre per fare qualche nome. Puoi precisare i temi e i motivi delle tue ricerche? I temi sono vari, per lo più all’interno della poesia sperimentale, alternativa a quella tradizionale, che si estende anche nella visualità, divenendo tutto un corpo materico. Ora, puoi specificare, segnalare e motivare la gestazione e l’esito delle collettive e rassegne importanti, a cui hai partecipato? Ho partecipato sempre ed esclusivamente a collettive di poesia visuale (ho esposto solo una volta in una mostra personale per non farmi mancare ‘niente’) in quanto le ritengo basate su progettazioni e sviluppi teorici eterogenei che riescono anche a eludere le ʽimposizioni’ del gallerista di turno, in quanto possono essere anche esposte in circoli culturali, garage, librerie, spazi culturali, etc. E questo me le fanno gradire come se fossero un libro, per poi uscire da esso e mostrarsi al pubblico. Dentro c’è la tua percezione del mondo, forse, ma quanto e perché? Per essere più chiaro, nella mia percezione del mondo c’è un concetto di collettività che non ha nulla a che vedere con il ‘villaggio globale’, perché l’arte deve essere di tutti, fruibile anche in contesti storicamente non deputati all’arte. L’Italia è sorgiva per gli artisti dei vari segmenti? La Campania, la Puglia, il Sud, la ‘vetrina ombelicale’ milanese cosa offrono adesso? C’è una sorgente artistica interessante in giro, con giovani interessanti che orbitano attorno alla scrittura asemica, un sottogenere della poesia visuale – o meglio, un genere a parte – che in Italia negli ultimi tempi si sta affermando, mentre nel mondo – come si sa – già veicolava a ridosso della nascita della poesia visiva, ossia verso la fine degli anni ʼ60. L’unico difetto dei giovani è che sembrano non seguire i maestri, anzi credono di poterne fare a meno. Comunque, in generale, quello che oggi si offre, dal nord al sud, è una certa stagnazione, proposte autobiografiche e di semplice fruizione per sperare di farsi ‘conoscere’.
Quali piste di maestri hai seguito? Ho seguito il surrealismo di André Breton e Paul Eluard; la scrittura materialistica dei «Quaderni di critica»; la neoavanguardia di Sanguineti; l’avanguardia napoletana, anche in campo visuale, dei vari Luciano Caruso, Stelio M. Martini; la scrittura di Emilio Villa; lo strutturalismo barthesiano e l’umorismo di Aldo Palazzeschi, Franco Cavallo e Corrado Costa. Nel campo artistico l’informale, l’arte povera, la poesia visiva dei capisaldi (Pignotti, Miccini, Sarenco, Perfetti, Diacono, etc.), il libro d’artista e il libro-oggetto. Pensi di avere una visibilità congrua? In questi ultimi anni sì, ma negli anni passati qualcosa mi è stato negato per quanto abbia dato alla poesia, alla letteratura in genere. Quanti ‘addetti ai lavori’ ti seguono? Quali linee operative pensi di tracciare nell’immediato futuro? Una sorta di accordo programmatico e creativo tra ciò che abbiamo vissuto e ciò che viviamo per viverlo anche dopo. Pensi che sia difficile riuscire a penetrare le frontiere dell’arte? Quanti, secondo te, riescono a saper ‘leggere’ l’arte contemporanea e a districarsi tra le ‘mistificazioni’ e le ‘provocazioni’? È molto difficile oggi riuscire a penetrare le frontiere dell’arte in quanto velata da una propensione commerciale che la rende stereotipata e priva di novità. E questo fa in modo che non si riesca nemmeno a ‘leggere’ l’arte contemporanea che presuppone una base di libera visione, non strumentalizzata dal mercato. I ‘social’ t’appoggiano, ne fai uso quotidiano? Dei ‘social’ ne faccio un uso quotidiano unicamente per diffondere i miei scritti creativi. Pochissime volte m’intrometto in post di tipo generico. Con chi ti farebbe piacere collaborare tra critico, artista, art-promoter per metter su una rassegna estesa di operatori collimanti con la tua ultima produzione? Ce ne sono abbastanza di critici e artisti che stimo e con cui mi farebbe piacere collaborare. Specie con quelli che si mettono sempre in gioco. Ma non me la sento di fare dei nomi: farei un torto a qualcuno. Perché il pubblico dovrebbe ricordarsi dei tuoi impegni artistici e letterari? Non lo so e non m’importa più di tanto se si ricorderanno di me. So solo che il mio impegno artistico e letterario non pretende riconoscimenti: vuole solo lasciare delle proposte, lanciare qualche piccolo sassolino di novità in uno stagno paludoso come è la cultura odierna. Pensi che sia giusto avvicinare i giovani e presentare l’arte, la poesia e la letteratura contemporanea in ambito scolastico, accademico, universitario e con quali metodi educativi esemplari? Certo. È quello che si attende da sempre, magari facendo partecipe il giovane anche sul piano pratico e non soltanto su quello teorico che mi pare sia vecchio come il cucco. Inserire qualche novità, magari proponendo artisti e poeti bravi anche fuori dal solito contesto (ma ci sono docenti in grado di rischiare?) non accademica nelle scuole sarebbe solo salutare per l’arte, la poesia, la letteratura contemporanea. Che futuro prevedi nel post-Covid-19? Non lo so. Mi accontenterei che domani, al risveglio, possa finalmente vedere per strada persone senza le mascherine che si riabbracciano.
A cura di Maurizio Vitiello |