«Italo Calvino. Lo scoiattolo della penna». Dialogo con Giorgio Biferali «Raccontare uno scrittore come Calvino è capire che se da una parte ci sentiamo vivi solo quando scriviamo, dall’altra la scrittura verrà sempre dopo la vita», sostiene Giorgio Biferali nella sua nota introduttiva al volume Italo Calvino. Lo scoiattolo della penna (La Nuova Frontiera, 2017): un vero e proprio omaggio a un autore i cui libri sono stati una presenza costante nella sua vita.
I centenari sono un’occasione per leggere o rileggere libri belli. Potremmo partire da qui, da quell’articolo sui classici che Calvino ha pubblicato sull’Espresso nel 1981: Leggere i classici e meglio che non leggerli.
Pensando al Sentiero dei nidi di ragno, il romanzo d’esordio di Italo Calvino, nato proprio dall’incoraggiamento e dallo sguardo del suo amico (e primo lettore) Cesare Pavese, Calvino riesce a raccontare la Resistenza attraverso gli occhi di un bambino. Con leggerezza, quindi, come quella di uno scoiattolo che è sempre sospeso a metà tra cielo e terra.
Sicuramente, come dicevo, la leggerezza, intesa come cifra stilistica e sentimentale, e anche lo sguardo, il guardare, da Pin, il protagonista del Sentiero, a Palomar, che appunto osserva il mondo in tutte le sue forme e cerca di capire come farsi da parte.
Ho cercato di mostrare, dall’inizio alla fine, quel filo sottile, a volte invisibile, che lega il percorso di vita di Calvino alle sue opere, e non solo perché si tratta di un testo rivolto ai ragazzi. Credo che spesso le scuole e le accademie dimentichino che dietro alle opere si nascondono sempre degli esseri umani.
La più grande paura di Calvino, pensando al nostro millennio, era che non fossimo più capaci di immaginare, di pensare a occhi chiusi. Basterebbe conservare quella forza, quella capacità, quell’attitudine, per portare avanti il suo messaggio.
«La Resistenza mi ha messo al mondo», ha confessato una volta. Quell’esperienza, per lui, è stata una sorta di spartiacque, è stata quella che l’ha spinto, insieme agli inviti di Cesare Pavese, a scrivere il suo primo romanzo, e quindi, in effetti, a diventare uno scrittore.
Per quello che dicevo, la corrispondenza continua tra la vita e le opere, che sembrano annullarsi, e invece non fanno altro che alimentarsi a vicenda, continuamente.
È un racconto rivolto ai ragazzi, le illustrazioni, bellissime, aiutano a mettere a fuoco le parole, e magari portano i ragazzi a confrontare i loro pensieri con quelli che ha avuto Giulia Rossi leggendomi.
Il fatto che la critica, come aveva già anticipato Harold Bloom, abbia perso la cosiddetta aureola, la sua centralità nell’universo editoriale e culturale. Quelli che scrivono di libri sui giornali, soprattutto di libri di cui si parlerà molto, sembrano un po’ degli uffici stampa, dovrebbero essere pagati dalle case editrici, più che dai giornali. Leggevo una stroncatura sull’opera di Paul Auster in un libro di James Wood (appena pubblicato da minimum fax), e stiamo parlando di Paul Auster, un gigante. Ecco, una cosa del genere, qui, sembra davvero impossibile.
Il saggio, com’è giusto che sia, ha cambiato forma, ed è destinato a cambiare ancora. Pur non credendo molto nei generi, mi piace molto quando leggo un libro che è a metà tra un saggio e un romanzo, o che magari è tante cose insieme.
Per me ci sono libri belli e libri meno belli, non sono più felice se quelli vengano scritti dalle donne e quelli meno belli dai maschi, e viceversa.
Ho amato molto Cioran, soprattutto nel periodo dell’università, mi ha aiutato a decifrare alcuni autori che non riuscivo a capire, e soprattutto a conoscere meglio i miei sentimenti. Appena potrò, voglio scoprire l’opera di Mircea Cărtărescu, ho tanti amici che l’hanno letto e sono rimasti folgorati.
A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone |