Con Francesco Testa su «Donne» e «Frammenti da un taccuino ritrovato» di Mihail Sebastian Le opere di Mihail Sebastian (1907-1945) sembrano finalmente uscire dal cono d’ombra in cui sono relegate da troppo tempo (le traduzioni esistenti finora, ma introvabili, la commedia Ultima notizia, e il romanzo L’incidente, risalgono agli anni ’40-50 – si veda il nostro database «Scrittori romeni in italiano») e cominciano a riscuotere un certo interesse da parte delle case editrici su proposta di traduttori che conoscono la qualità, il valore e l’importanza della sua scrittura e delle sue storie. È il caso di Francesco Testa, attento e fine traduttore, nonché appassionato cultore delle lettere romene, che per Mimesis edizioni ha curato il volume uscito nel 2023, in cui propone affiancati i primi due romanzi dello scrittore di Brăila, Donne (1933) e Frammenti da un taccuino ritrovato (1932). Nel dialogo a cura di Mauro Barindi il traduttore ci racconta il suo ‘incontro’ con Sebastian, un autore centrale della letteratura romena interbellica, che «incarna per molti aspetti la figura dell’intellettuale ebreo del Novecento»>
Mihail Sebastian è un nome piuttosto noto a chi si interessa di letteratura romena, soprattutto se prendiamo in considerazione la ricchissima produzione letteraria di epoca interbellica. Devo ammettere che la curiosità verso la narrativa di Mihail Sebastian è cresciuta lentamente, in gran parte suscitata dalla biografia dell’autore: nato da una famiglia ebraica di Brăila, cittadina portuale lungo le sponde del Danubio – la quale diede i natali anche al compositore greco Iannis Xenakis –, Sebastian incarna per molti aspetti la figura dell’intellettuale ebreo del Novecento, lacerato tra spinte assimilazioniste e pregiudizi antisemiti. In Italia, l’opera di Sebastian non ha ricevuto per lungo tempo l’interesse che avrebbe meritato. Se escludiamo la pubblicazione de L’incidente, tradotto nel 1945 da Oscar Randi e oramai irreperibile, per molti anni il mondo editoriale italiano ha decisamente trascurato lo scrittore Sebastian, la cui produzione letteraria rientra a pieno titolo nella letteratura europea del secolo scorso. Solo recentemente sono usciti in traduzione italiana i romanzi Da duemila anni (tradotto per Fazi Editore da Maria Luisa Lombardo) e La città della acacie (tradotto da Alina Monica Țurlea per Besa Muci). Un autore europeo, dunque, o come appuntò Emil Cioran in una pagina dei suoi Quaderni, «difficile immaginare un romeno più francese di lui». L’incontro con i Frammenti di un taccuino ritrovato è avvenuto diversi anni fa, quando vivevo a Bucarest, in quello splendido scantinato traboccante di libri che è la libreria antiquaria Unu, non distante da piazza Università. Data la brevità dei Frammenti, li lessi lì su due piedi, con la schiena appoggiata allo scaffale della literatura română. Solo in un secondo momento ho pensato di proporre un’edizione unica che comprendesse, oltre ai Frammenti, i quattro racconti che compongono il volume Donne Benché apparse a distanza di poco tempo l’una dall’altra (1932), Donne e Frammenti da un taccuino ritrovato sono due opere pensate e strutturate in modo molto diverso. I Frammenti, nella loro brevità a tratti quasi aforistica, paiono essere attraversati da una vena vitalista dal sapore nietzschiano, di cui è espressione la Weltanschauung dell’erratico narratore. Contro il razionalismo e la morale, l’anonimo protagonista del libro cerca un mistico contatto con l’irriducibile («L’irriducibile! È questo il mio unico modo di sentire l’eterno»), con una dionisiaca vita in sé, individuando nella coscienza umana l’ostacolo che inibisce un tale incontro. Sarebbe allora preferibile un regresso al vegetativo, perché «tra l’arbusto che cresce selvatico e un giardiniere con propositi e cesoie, tutta la mia simpatia di animale va al primo». E in questo tête-à-tête contro sé stessi, contro la coscienza che ordina e pone valori, il narratore si scopre solo, «barricato in me stesso, impenetrabile, solo con le mie superstizioni, i miei simboli, i segni e gli idoli, consapevole che nessun altro in questo mondo viva la mia stessa esistenza, che nessuno sarebbe capace di immaginarla, portare con me questo mistero da cui non riesco a separarmi, neanche se lo gridassi sulle piazze pubbliche, neanche se lo urlassi sul palco di un teatro, neanche se lo distribuissi stampato sui manifesti». A un’attenta lettura dei quattro racconti contenuti in Donne, non vi è alcun indizio che possa rimandare alla latente omosessualità dell’autore. Bisogna riconoscere, però, che Stefan Valeriu, il protagonista del libro, si avvicini all’universo femminile con un distacco inquietante, oserei dire glaciale. Nella prosa di Sebastian, infatti, il femmineo viene spesso rappresentato con immagini che rimandano al mondo vegetale, come nel caso di Renée, la moglie del latifondista francese, il cui corpo «arde di passione per poi tornare freddo solo un attimo dopo, viscoso e liscio come le foglie di una palma nana». Quello stesso corpo che solo qualche pagina prima metteva in mostra una «grazia vegetale». In altri passaggi, tale metafora lascia il posto a figure che richiamano la sfera della zoologia, come nel secondo racconto, dove la rassegnazione di Emilie viene associata al temperamento di un «animale docile», un «animale addomesticato»; e quando Stefan prova a figurarsi l’unione fisica di Emilie con Irimia C. Irimia – lassù, nella mansarda parigina di Saint-Ouen –, li immagina «accoppiandosi in silenzio come due cani bastardi»; e il travaglio che porterà Emilie Vignou al decesso, è reso ancor più drammatico dalla descrizione che ne fa Sebastian: «respirava a fatica, le si rigiravano gli occhi nelle orbite come un’oca ingozzata», «ci guardava con gli occhi annebbiati e supplichevoli di un cane che annega». Tali immagini mettono chiaramente in luce la difficile, se non impossibile, relazione del protagonista con l’universo femminile. L’algido erotismo di Stefan Valeriu – alter ego letterario di Mihail Sebastian – maschera appena una misoginia che possiamo ritrovare anche nei Frammenti da un taccuino ritrovato, dove la donna resta sempre un’anima straniera, lontana, quasi un oggetto inerte che sorprende i risvegli del protagonista: «attendo allora con occhi impassibili che dalla finestra rilucano i riflessi azzurri del sole, la prima luce del giorno venuta a mettere ordine in questa perdizione. Nessuna delle mie donne è stata capace di comprendere come in quel momento lei cessasse di esistere, mentre si stringeva con gioia incosciente al petto di un uomo che aveva smesso di fare l’amante per divenire un fuggitivo». Il misoginismo che permea entrambe le opere di Sebastian, molto diffuso nel mondo culturale di inizio Novecento – pensiamo a Otto Weininger e al suo Geschlecht und Charakter [Sesso e carattere] – è il segnale forse più evidente del solipsismo dell’autore, incapace di uscire da sé, e gli incontri erotici di Stefan Valeriu/Mihail Sebastian dimostrano l’impossibilità di legarsi autenticamente al femmineo, ridotto a mero bios.
Certamente no. Nella Romania interbellica, l’antisemitismo aveva attecchito non solo tra gli strati più umili della popolazione – dove gli stereotipi anti-giudaici trovavano il loro archetipo ideale nell’accusa di deicidio –, ma anche tra gli intellettuali dell’accademia romena. Basti pensare che nella prefazione al libro Da duemila anni, firmata dal professore Nae Ionescu – figura di riferimento per la «giovane generazione» bucarestina –, leggiamo in modo terribilmente tautologico che «l’ebreo soffre perché è ebreo». Tradito dal suo stesso maestro, che in quella prefazione ripropone i topoi classici dell’antisemitismo cristiano, Mihail Sebastian scopre sulla propria pelle quanto l’assimilazionismo non sia riuscito a tener lontano lo spettro dell’odio anti-ebraico. Sul controverso rapporto Nae Ionescu-Mihail Sebastian, l’opera di riferimento è certamente Diavolul și ucenicul său (Il diavolo e il suo discepolo) di Marta Petreu. Circa la questione dell’antisemitismo in Romania, i testi che mi sentirei di consigliare sono lo studio antropologico di Andrei Oişteanu L’immagine dell’ebreo (tradotto dal sottoscritto e da Horia Cicortaș per Belforte editore) e il volume di Leon Volovici Ideologia nazionalista e “questione ebraica”. Saggio sulle forme dell’antisemitismo intellettuale (ancora inedito in italiano). Vedremo. Credo sia importante riproporre al pubblico italiano L’incidente, romanzo che chiude la carriera letteraria di Sebastian, prefigurando tra l’altro il drammatico epilogo della sua vita, morto investito da un camion nel 1945, mentre aspettava il tram per recarsi a lezione all’università di Bucarest. La vecchia edizione italiana è ormai irreperibile, e poi, come sappiamo, le opere in traduzione hanno una loro ‘scadenza’, necessitano di ri-traduzioni che le rendano più fruibili ai lettori contemporanei e al mutare, inevitabile, della lingua e dei suoi usi.
A cura di Mauro Barindi
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