Intervista all’artista Filippo Romito, a cura di Maurizio Vitiello Filippo Romito è nato nel 1946; inizia la sua carriera artistica frequentando l’Istituto Statale d’Arte di Torre del Greco e in seguito l’Accademia di Belle Arti di Napoli. Negli anni, ha tenuto personali a Bologna, Firenze, Napoli, Milano, Genova, Trieste, Roma, Ferrara, Torre del Greco, Bari, Torre Annunziata, Ancona, ed è stato presente in collettive nazionali e internazionali a Parigi, Milano, Spoleto, Pompei, Alatri, Chiaiano, Torre del Greco, Ercolano, Bari, Gaeta, Nocera Inferiore, Caserta, Termoli, ottenendo innumerevoli riconoscimenti dalla critica e premi. Per molti anni ha insegnato discipline pittoriche negli Istituti Statali d’Arte italiani. Puoi raccontare i desideri iniziali e i sentieri che avevi intenzione di seguire? Non ricordo un punto di partenza, solo che sono sempre stati il disegno e la pittura la mia passione. Quando è iniziata la voglia di “produrre arte”? Appena ho potuto, già da bambino preferivo disegnare, colorare, dipingere. Quali artisti hai conosciuto? Ne ho conosciuti tanti, però ad aver lasciato un segno particolare, ricordo: Giovanni Brancaccio che è stato il mio professore all’Accademia, poi Renato Barisani, Achille Pace, Augusto Perez e molti altri. Quali piste di maestri italiani hai seguito? Ho approfondito la ricerca sulla pittura moderna, ma non ho nessuna preferenza. Mi sono interessato al neo-espressionismo degli anni ‘70. Quali sono le tue personali da ricordare? Tantissime, tra le tante l’ultima al PAN. Puoi precisare i temi delle ultime mostre? In genere sono dettati dal momento, dalle emozioni che la vita suscita e che riporto sulla tela tra «immagini e colori» (titolo di una mia mostra). Dentro c’è la tua percezione del mondo, forse, ma quanto e perché? C’è sempre la mia lettura del mondo, non potrebbe essere altrimenti, è il mio modo per esprimere ciò che percepisco e sento. L’Italia è sorgiva per gli artisti dei vari segmenti? La Campania, il Sud, la «vetrina» milanese cosa offrono adesso? Dispiace dirlo, ma l’Italia non esprime nuovi segnali significativi. Pensi di avere una visibilità congrua? Abbastanza. Esporrò in una mostra a Bologna e, poi, ne avrò altre; mai fermarsi. Pensi che sia difficile riuscire a penetrare le frontiere dell’arte? Quanti, secondo te, riescono a saper «leggere» l’arte contemporanea e a districarsi tra le «mistificazioni» e le «provocazioni»? Pochi riescono a leggere concretamente un’opera. I «social» t’appoggiano, ne fai uso quotidiano? Li uso come vetrina per le mie opere, sono un mezzo per raggiungere una platea più ampia. Con chi ti farebbe piacere collaborare tra critico, artista, art-promoter per metter su una mostra o una rassegna estesa di artisti collimanti con la tua ultima produzione? Di solito, l’allestimento di una mostra avviene sempre in sinergia con queste figure. Perché il pubblico dovrebbe ricordarsi dei tuoi impegni? Perché spero che le mie opere suscitino nell’osservatore emozioni, turbamenti, sensazioni... Pensi che sia giusto avvicinare i giovani e presentare l’arte in ambito scolastico, accademico, universitario e con quali metodi educativi esemplari? Certamente, al di là della trasmissione della tecnica, l’insegnante deve avere la capacità di affascinare lo studente al tema della bellezza, può essere uno stimolo importante per far crescere lo spirito critico nelle nuove generazioni. Prossime mosse a New York, Roma, Londra, Parigi? Come ho detto, precedentemente, a breve ci sarà la mostra di Bologna, sono in contatto con diverse gallerie per l’organizzazione di altre esposizioni. Che futuro si prevede post Covid-19 e post-guerra Ucraina - Russia? Non sono un esperto di geo-politica, ma non vedo prospettive rosee per il prossimo futuro. Ho sempre pensato all’arte come uno strumento per avvicinare i popoli, un ponte tra culture diverse, invece le vicende di questi giorni, in cui vengono ostracizzati artisti e scrittori per il solo «peccato» di essere russi mettono tristezza e non favoriscono la pace e la comprensione tra i popoli.
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