Fabrizio Pasanisi: «Conrad è una miniera pressoché inesauribile»

«Conrad è uno scrittore di grande complessità, a volte etichettato in modo sbrigativo come autore di avventure, quando l’aspetto che arricchisce le sue opere è dato dalla profondità psicologica dei personaggi, unito al contesto in cui si muovono e agli sviluppi delle storie, quelli che tengono avvinto alla pagina il lettore».
Delle molteplici sfaccettature della narrativa conradiana parliamo con Fabrizio Pasanisi, scrittore e giornalista, traduttore de Il salvataggio di Josepf Conrad (Nutrimenti 2014). Ha tradotto anche R.L. Stevenson, con Il riflusso della marea (Sellerio Editore 1994) e Gli allegri compari (Nutrimenti 2016).
Ha pubblicato per Nutrimenti Bert e il Mago (2013), menzione della giuria Premio Calvino 2012, vincitore Premio Bagutta 2014 opera prima e L’isola che scompare. Viaggio nell’Irlanda di Joyce e Yeats (2014); per Giulio Perrone Editore, A Dublino con James Joyce. Ritratto di una città e di uno scrittore (2019); A San Pietroburgo con Vladimir Nabokov (2021).


Conrad è stato capace, grazie a un ricchissimo linguaggio, nonostante l’inglese fosse soltanto la sua terza lingua, dopo quella polacca materna e quella francese, di ricreare in maniera magistrale atmosfere esotiche. Ritiene possibile ipotizzare che abbia voluto riflette i dubbi dell’animo umano nel confronto con terre selvagge?

Conrad è uno scrittore di grande complessità, a volte etichettato in modo sbrigativo come autore di avventure, quando l’aspetto che arricchisce le sue opere è dato dalla profondità psicologica dei personaggi, unito al contesto in cui si muovono e agli sviluppi delle storie, quelli che tengono avvinto alla pagina il lettore. L’aspetto esotico di buona parte dei suoi scritti deriva dalle sue esperienze di marinaio, dal lungo periodo che visse sui mari di mezzo mondo prima di dedicarsi alla scrittura, quindi mondi, luoghi, che conosceva molto bene. Confrontarsi con questo autore infinito significa penetrare nel recondito dell’animo umano, ce ne accorgiamo quando iniziamo a conoscere un personaggio in buona parte autobiografico come Marlow, narratore di diverse opere, oppure quando ci porta ai confini, o al centro, della Terra, mostrandoci il Kurtz di Cuore di tenebra, o ancora quando ci rivela una figura appartata com’è il controverso protagonista de L’agente segreto, un povero cristo che si trova impegolato in una situazione che non riesce a gestire. E lo stesso avviene con i personaggi che appartengono ad altre terre e ad altre culture, come avviene nella serie dei romanzi della Malesia. Nei libri di Conrad avvertiamo spesso le suggestioni provenienti dalla letteratura russa, da Dostoevskij, non certo per i riferimenti esotici, ma proprio per lo scavo nella mente dell’uomo, per il tentativo, sempre riuscito, di metterci davanti a noi stessi, di farci riflettere su chi siamo.

Sebbene molte opere di Conrad siano pervase di non pochi elementi di ispirazione romantica, è considerato soprattutto un importante precursore della letteratura modernista. In qual misura può aver influenzato scrittori quali Jack London, Ernest Hemingway o David Herbert Richards Lawrence?

Il bisogno di mettere etichette e di ritagliare generi ha fatto parlare di un Conrad modernista. Al di là del termine in sé, che potrebbe risultare un contenitore buono per tutto, un po’ come dire di un autore che è «contemporaneo», cosa accomuna Conrad a Joyce, o a Virginia Woolf? Molto poco, a parte l’epoca storica in cui hanno vissuto. La ricchezza del linguaggio conradiano non deriva da una specifica ricerca estetica, o non solo, quanto soprattutto dalle proprie radici, dal fatto di essere nato di lingua polacca, e di essere arrivato solo in seguito alla conoscenza del francese e dell’inglese. Le frasi di Conrad sono spesse articolate, ricche di incisi, cosa insolita nella letteratura inglese, abbondano di puntini sospensivi, di trattini, di punti e virgola, e tutto questo non è soltanto il frutto di una precisa volontà formale. A causa della particolarità del proprio linguaggio faticò a essere accettato nel mondo delle lettere britanniche, scontrandosi in qualche modo con un ambiente affetto da un atavico snobismo. Virginia Woolf scrisse che Conrad aveva corteggiato l’inglese «più per le qualità latine che per quelle sassoni», e aggiunge che «la sua amante, il suo stile, è a volte un po’ sonnolento…». La lingua di autori americani come London o Hemingway è più fluida, meno impegnativa da seguire, ed è, soprattutto, uno scoglio più facile da affrontare per il traduttore. Poi, l’influenza di Conrad esiste, è spesso documentata, anche se proprio Hemingway non ebbe parole positive per l’autore di Lord Jim, e anzi sostenne che proprio quest’opera fosse brutta, liquidandola senza mezzi termini. Nel caso di Jack London abbiamo una lettera di quest’ultimo nella quale, dopo la lettura di Vittoria, egli manifesta a Conrad tutta la propria ammirazione, e gli dice di aver cominciato a scrivere dopo aver letto le sue prime opere. Conrad gli rispose chiamandolo collega, e non si riferiva solamente all’aspetto letterario, ma anche al legame con il mare che riguardò entrambi. Se dovessi segnalare lo scrittore più conradiano tra i contemporanei, sceglierei comunque V. S. Naipaul, che scrisse anche un saggio illuminante sull’autore anglo-polacco.

«...attraverso il potere della parola scritta, di farvi ascoltare, di farvi sentire... ma prima di tutto di farvi vedere. Questo è tutto, e nulla più. Se ci riuscirò, troverete qui, secondo i vostri desideri: incoraggiamento, consolazione, paura, fascino – tutto quello che domandate – e, forse, anche quello scorcio di verità che avete dimenticato di chiedere.» Il romanzo d’avventura di Conrad quanto deve alle arti visive, in particolare all’Impressionismo?

D’autres fois, calme plat, grand miroir / De mon désespoir, «Altre volte, calma piatta, grande specchio / Della mia disperazione!». Conrad cita in esergo, in Linea d’ombra, il Baudelaire de La Musique, il cui primo verso è: La musique souvent me prend comme une mer!, «La musica spesso mi prende come un mare!». In Linea d’ombra lo scrittore racconta in modo velatamente autobiografico la trasformazione di un giovane in adulto attraverso un rito di passaggio, quello che nella narrazione coincide con l’incarico per il protagonista del comando di una nave, e della conseguente dis-avventura in cui egli si imbatte. Il sottotitolo è: Una confessione. Siamo nel cuore dell’opera conradiana, che già in questo sottotitolo, e nel richiamo sfumato del titolo stesso, rivela l’intento dell’autore, quello di raccontarci non soltanto una storia di mare, ma di farcela vivere attraverso le emozioni del protagonista/narratore, di offrircela nel modo intimista, appunto, della confessione. «Mi aggredì la precoce malattia della tarda giovinezza e mi portò via. Via da quella nave, voglio dire». Conrad ci offre il proprio canto e il proprio dolore in quest’opera della maturità così intrisa di nostalgia, dove i temi dell’impressionismo ci sono tutti. Mentre leggiamo Conrad, con la bonaccia che coglie la barca condotta dal protagonista, mentre il sole nel cielo e la malattia a bordo non danno tregua, ci sembra di essere davanti, oltre che ai versi di Baudelaire, al celebre quadro di Monet Impression, soleil levant, quello da cui prese il via un’intera stagione pittorica. È facile poi accostare certi squarci conradiani alle marine di William Turner, ritrovare in tanti dipinti del pittore londinese, spesso ritenuto un pre-impressionista, lo stesso porto del Tamigi nel quale si apre Cuore di tenebra.


I critici letterari del tempo da una parte commentavano benevolmente gli scritti di Conrad e dall’altra marcavano che il suo stile «esotico», la sua narrazione complicata, i profondi temi letterari ed il pessimismo spesso scoraggiavano il lettore. Quanto è stato complicato tradurre Conrad?

Mi sono cimentato nella traduzione soltanto de Il salvataggio, considerata a torto un’opera minore di Conrad. Le difficoltà sono tante, la prima è quella di rendere in un italiano moderno la ricchezza della frase conradiana, il suo inglese così poco inglese. La traduzione rischia facilmente di appesantirsi, e questo accadrebbe a discapito di storie avvincenti; ho perciò ritenuto lecito, a volte, snellire la costruzione, per non far perdere al lettore il ritmo complessivo e per non allontanarlo da quella che era la volontà dell’autore, quella cioè di fargli vedere, quasi toccare con mano, i luoghi, i volti, le azioni. Altra difficoltà viene dalla precisione di Conrad, tanto nella descrizione dei luoghi – attraverso le moderne mappe digitali e le visioni satellitari sono riuscito a trovare in modo piuttosto preciso la spiaggia in cui si incaglia la nave de Il salvataggio –, quanto, e in particolare, nei termini legati alla navigazione. Se non si è un esperto di mare, di vele, se non si decifrano persino i termini tecnici dell’epoca riferiti al commercio, la traduzione diventa inevitabilmente approssimativa. Per fortuna esistono oggi anche in rete strumenti, come antichi vocabolari, che possono essere d’aiuto.


Conrad ha ispirato diversi film, tra cui Lord Jim, I duellanti e Apocalypse Now, liberamente tratto dal suo Cuore di tenebra. Dove risiede un fascino che travalica il tempo?

Sicuramente Conrad, soprattutto per i motivi sopra esposti, è un autore senza tempo, difficile da collocare. Si cita il suo romanticismo, ma di colpo diventa moderno, attuale, molto più vicino a noi di quanto ci dica la data di stesura dei suoi scritti. Ha raccontato il mare e tanti luoghi per noi lontani, ma ha saputo affrontare con dovizia anche il romanzo storico, e una storia come I duellanti porta in sé al tempo stesso una precisa ricostruzione di un’epoca, e il confronto tra due personalità del tutto opposte. Conrad è una miniera pressoché inesauribile, in italiano si può affrontare in numerose edizioni, ma in particolare attraverso l’opera completa voluta da Ugo Mursia, appassionato conradiano. Il lavoro di Coppola su Apocalypse Now rivela una delle possibilità su come rapportarsi alle pagine di Conrad: rimanendovi fedeli, senza alterarne il messaggio di fondo o la ricchezza di certi caratteri, ma arrivando a descrivere la contemporaneità in modo altrettanto potente, ritrovandovi i temi dello scontro di civiltà, ancora oggi così pressante, e l’impossibilità di risolverlo.




Tra narrativa e poesia, la letteratura romena è costantemente tradotta in italiano, con nomi di punta quali Ana Blandiana, Herta Müller, Norman Manea, Mircea Cărtărescu, Emil Cioran, Mircea Eliade, e la rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» ne registra le pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2024. In che misura pensa sia conosciuta in Italia e quali scrittori romeni hanno attirato la sua attenzione?

Ai tempi dei miei studi universitari – sono laureato in psicologia –, e in seguito in modo più sporadico, mi sono confrontato spesso con l’opera di Mircea Eliade, un punto di riferimento per i suoi lavori sull’antropologia e la religione. Ma se penso alla letteratura romena ci sono due autori per me imprescindibili: Ionesco e Cioran. Su quest’ultimo, del quale ho letto sempre con appassionato interesse tutte le opere edite da Adelphi, compresi gli illuminanti Quaderni, mi è capitato di scriverne a proposito del suo rapporto con un altro genio del Novecento, e altro personaggio per tanti versi sui generis, Samuel Beckett. L’autore di Aspettando Godot è l’artefice di una poetica dai contenuti prossimi a quelli di Cioran, dove gli aspetti più salienti sono resi attraverso l’ironia, o a volte addirittura una comicità tragica, e il paradosso.



A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 5, maggio 2024, anno XIV)