Con Emiliano Tognetti su «Behind the Nobel»

Behind the Nobel. Interviste a sette premi Nobel sul dopo vittoria di Emiliano Tognetti è un libro di recente pubblicato da Graphe.it, con la prefazione della nota poetessa e scrittrice romena Ana Blandiana. Ciò che emerge dalle interviste è una vera meditazione sul tema del destino dell’individuo dopo il conferimento di un’onorificenza tanto prestigiosa e «ingombrante». I contributi dei vincitori (due Nobel per la Pace e cinque scienziati) rispondono a questioni profonde come i misteri dell’Universo: che cosa succede all’equilibrio personale, di fronte a un evento del genere? Come si gestisce la responsabilità nei confronti del futuro del Pianeta e delle giovani generazioni? È difficile mantenere una coscienza intellettuale integra quando ci si trova una somma del genere a disposizione?
«Il vero tema delle domande e delle risposte, però, è la capacita dell’animo umano e della coscienza intellettuale di non mutare e di mantenere l’equilibrio, lo sguardo critico e persino l’umorismo di fronte ai più alti onori, capaci di sconvolgere una vita come le grandi disgrazie», scrive Ana Blandiana nella prefazione. E ancora: «Ma al di là delle idee e dei sentimenti, al di là dei ricordi e degli aneddoti, delle analisi e delle conclusioni, relative al compimento tra il loro destino e la storia del mondo a cui il premio Nobel ha dato loro accesso, al di là delle sorprese, delle emozioni e dei fasti dell’evento più spettacolare, che segna un ‘prima’ e un ‘dopo’ nelle loro vite, ciò che mi ha commosso profondamente, quando ho letto questo libro, è stato il modo in cui tutti e sette i vincitori concludono la loro riflessione sulla propria vittoria; riferendosi al debito che essa impone verso gli altri, nel tempo, verso chi verrà dopo di loro, i meno fortunati».
L’impressione che si ricava da questo libro è quindi che l’investitura amplifichi la natura dell’individuo senza distorcerla: dietro al nome che viene proclamato c’è sì un essere umano, imperfetto come tutti; ma c’è anche un’intenzione radicata di servizio verso il mondo, che si attua (prima e dopo la premiazione) nella ricerca, nell’attivismo, nell’esercizio della politica.


Che cosa succede ai vincitori di un premio Nobel, quando la cerimonia è finita e loro tornano alle proprie vite? Lei si è posto questo interrogativo. Da quale curiosità è scaturito?

Grazie per la domanda; la curiosità devo dire che non è mia, ma dell’editore. È lui che mi ha lanciato questa idea, durante una telefonata in piena pandemia da Covid-19; non voleva un libro sui Nobel, ma era una sua semplice curiosità. Quando poi abbiamo riattaccato la telefonata, ho cominciato a pensare a questa idea, come a una sfida e gli ho mandato un messaggio dicendogli che ci avrei provato ed ecco il libro!


Due Nobel per la Pace e cinque scienziati: è possibile rintracciare una comune immediata reazione alla proclamazione?

Sorpresa e gioia, stupore oserei quasi dire, almeno in sei dei sette premiati. Uno di loro, diciamo che ne aveva il presentimento, dopo molte candidature, e alla fine è meritatamente arrivato. Non vi dico chi, perché lo potrete leggere nell’intervista.


Il premio «Nobel» è un’onorificenza tanto prestigiosa quanto «ingombrante». In quale misura è investito l’equilibrio personale di fronte a un evento del genere?

Da quello che dicono, è travolgente. Vieni proiettato in una dimensione «globale» e vieni «autorizzato», passami il termine, a dire la tua opinione su ogni argomento dello scibile umano. Questo a volte può essere un rischio, perché finiamo per politicizzare e polemizzare su molte questioni e rischiamo di prendere per «verità», l’opinione di una persona, sicuramente autorevole, ma che magari non ha competenza su un determinato campo di studi o su aspetti sociali ed etici nei quali, la sua opinione vale quanto la mia.


Il premio «Nobel» è sì un’onorificenza ma comporta altresì il riconoscimento di un compenso. È difficile mantenere una coscienza intellettuale integra quando ci si trova una somma del genere a disposizione?

A quanto ho potuto apprendere, i soldi sono l’ultimo dei pensieri. Certo, migliorano la vita, ma non è l’aspetto che ho colto da persone che, nella maggior parte dei casi, hanno alle spalle carriere accademiche o professionali molto lunghe e consolidate. Ad esempio, alcuni premi per la Pace, che sono stati dati a persone giovanissime, che si sono impegnate per una situazione drammatica, quelle hanno saputo utilizzare i soldi non per «diventare ricche», ma usandoli per creare fondazioni per proseguire nella loro missione, che il Nobel ha proiettato su scala mondiale.


Il vincitore di un premio «Nobel» è un individuo con debolezze, fragilità e anche elevatissime competenze. Quanto è radicata l’idea di servizio verso il mondo, attuata, prima e dopo la premiazione, nella ricerca, nell’attivismo, nell’esercizio della politica?

Dipende sempre tutto dalla persona. Nobel o non Nobel, la persona ha all’interno una voce che la spinge verso il prossimo, e se l’ascolta o meno è una scelta di libertà: è da questo seme che nascono la ricerca, la politica, l’attivismo sani e che guardano al bene comune. Come ho già detto, il Nobel è una cassa di risonanza mondiale e spesso quel seme, può raggiungere confini che io, obbiettivamente mi potrei solo sognare; è uno strumento che può essere usato per fare del bene e credo che questa idea, se non esce dall’ambito delle competenze e del bene comune, è cosa buona che sia ben radicata, anche nel sentire comune.


Tra i contributi dei vincitori quale l’ha toccata maggiormente?

Non faccio classifiche. Posso dire che una in particolare mi ha aperto il cuore, perché il tema è estremamente coinvolgente e sempre attuale: mi riferisco al Dottor Mukwege e alla sua lotta contro la piaga dello stupro, lotta in cui si è trovato immerso, nonostante lui mirasse a un’altra missione pastorale e sanitaria.
Però poi ognuno ha dato la sua testimonianza e merita di essere ascoltato con molta attenzione, perché ognuno di loro mi ha insegnato qualcosa, che spero di essere riuscito a trasmettere ai lettori.


La prefazione del libro è scritta dalla nota poetessa e scrittrice romena Ana Blandiana, una personalità animata da forte impegno civile e passione democratica, con un percorso che la vede, prima del 1989, nelle vesti di dissidente e sostenitrice dei diritti umani, un impegno che porta avanti anche dopo la svolta dell’89. Come nasce la vostra collaborazione e qual è il contributo di Ana Blandiana al suo lavoro?

La nostra collaborazione nasce da un incontro che abbiamo avuto nel 2021 al Salone del libro di Torino, perché l’ho intervistata per il mio magazine online «Sevengifts.org» sul suo libro L’orologio senza ore. Sono molto legato alla Romania per motivi personali e familiari e quindi mi viene abbastanza «naturale» drizzare le antenne quando vedo il tricolore blu, giallo e rosso. Le cose più belle non sono programmate e la simpatia che è nata con Ana fin da subito mi ha portato a chiederle, in maniera spontanea, se voleva donarmi una sua prefazione per il libro Behind the Nobel che ho tradotto, grazie all’aiuto di mia moglie, in lingua romena solo per lei e lei dopo un paio di settimane mi ha fatto l’onore del testo che è stato messo all’inizio di Behind the Nobel. Il suo contributo principale è stato quello di leggere e comprendere il senso profondo del libro, che è quello di imparare che anche quando il nostro nome si apre alla ribalta mondiale, noi possiamo utilizzare questa fama per fare del bene al prossimo; non ultimo, è stato quello di dare un tocco di femminilità a un libro interamente maschile, come riportato all’inizio del volume a causa dell’impossibilità concreta di raggiungere premi Nobel donna, nonostante i miei numerosi tentativi.


La letteratura romena è costantemente tradotta in italiano e la rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» ne registra le pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2023. Tra i nomi di punta, accanto ad Ana Blandiana ci sono Herta Müller, Norman Manea, Mircea Cărtărescu, Emil Cioran, Mircea Eliade. In che misura pensa sia conosciuta in Italia e quali autori romeni hanno attirato la sua attenzione?

La letteratura romena è conosciuta troppo poco in Italia e purtroppo lo è la stessa letteratura italiana, nel nostro Paese; siamo una nazione che legge poco e male, anche se bisogna dire che ci sono segnali incoraggianti, soprattutto quando usciamo dagli stereotipi che il mondo social ci regala così volentieri.
Personalmente, posso dire di approcciarmi al mondo culturale di lingua rumena (comprendendo anche la Moldavia), un po' alla volta; negli anni scorsi a tal proposito, sono stato onorato dell’amicizia e della collaborazione con Nicolae Dabija, conosciuto sempre a Torino nel 2019 e che ho rincontrato durante un viaggio in Romania con mia moglie, quando abbiamo fatto tappa a Chişinău, qualche mese prima della pandemia da Covid-19.

Per Ana posso dire lo stesso e conservo gelosamente il suo libro nella mia biblioteca personale; fra i nomi che mi hai proposto la sola che mi è nota, mea culpa, è Herta Müller, della quale mi ero interessato, conoscendola letterariamente, per contattarla per il libro sui Nobel, ma dalla quale, purtroppo non ho avuto risposta. Gli altri nomi, saranno sicuramente prossime mie «vittime letterarie», che spero di onorare con un approfondimento per la mia rivista.










A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 6, giugno 2023, anno XIII)