«Le Imperfette. Storie di donne nell’Inghilterra vittoriana». In dialogo con Emanuela Chiriacò Le Imperfette. Storie di donne nell’Inghilterra vittoriana e post vittoriana (Primiceri Editore, Padova, 2020) a cura di Emanuela Chiriacò, è una raccolta di dieci racconti inglesi, nove dei quali mai tradotti prima in italiano, pubblicati tra il 1880 e il 1923; un quarantennio durante il quale si assiste al superamento dello stereotipo vittoriano femminile e all’affermazione della New Woman. In ambito letterario, un passaggio che coincide con la rottura dalla tradizione letteraria vittoriana e la nascita del modernismo. Il titolo Le Imperfette si ispira al verso di apertura della poesia Edge di Sylvia Plath (Collected Poem 1960): The woman is perfected. Al culmine della vita, nella compiutezza raggiunta sull’orlo, si definisce la donna, la sua perfezione; e imperfette sono le donne confinate in ruoli o ambiti di irrilevanza, ritenute folli o moderatamente atte alla vita, inette o ripudiate, invisibili nei secoli, nei molti luoghi e nelle diverse culture. I racconti proposti sono di: George Moore – Ella D’Arcy – George Egerton – Netta Syrett – Arthur George Morrison – George Gissing – Virginia Woolf – May Sinclair – Elinor Mordaunt – L. Parry Truscott.
Oggi è quasi impossibile immaginare quanti pochi diritti avessero le donne nell’Inghilterra vittoriana. In un mondo totalmente maschilista, per via del loro sistema riproduttivo erano considerate emotive e instabili, per estensione, quindi, incapaci di prendere decisioni razionali; e una volta sposate erano trattate poco meglio degli schiavi. Agli occhi della legge, come spiego nella mia introduzione al libro, una donna dopo il matrimonio cessava di esistere; nel sistema patriarcale subiva il passaggio da figlia a moglie con un’unica prospettiva di completamento del paradigma vittoriano: diventare madre. Il controllo da parte del marito non era solo relativo ai suoi possedimenti ma anche al corpo. Per una donna sposata rifiutare il sesso era preludio di annullamento del matrimonio; il marito poteva picchiarla, anche violentarla senza conseguenza alcuna. Solo nel 1891 queste pratiche aberranti cessarono di essere diritti di cui poter godere da parte di un uomo. Questo ci dice quanto uomini e donne vivessero due sfere molto diverse; i primi quella pubblica e le seconde quella privata. Le donne contenute nel libro ci raccontano esattamente questa evoluzione che porta alla nascita della New Woman, non alla sua affermazione. Oltre al superamento dello stereotipo vittoriano femminile, si assiste alla nascita del modernismo. Di quali peculiarità si connota siffatto movimento che coinvolge la cultura tutta? Sì, il progetto accompagna anche il passaggio dalla tradizione vittoriana alla nascita del modernismo; io ho approcciato i bagliori della nascita del modernismo che ha una spinta consolidante dopo la fine della prima guerra mondiale, i cui orrori cambiano le priorità valoriali, e gli scrittori, dal canto loro, non possono ignorare i progressi tecnologici e i cambiamenti sociali del XX secolo, cimentandosi con la ricerca di nuove tecniche narrative e poetiche, e un approccio distaccato dall'opera, a cui si uniscono la mancata interferenza dell’autore o dell’autrice, la narrazione della coscienza, e la frammentazione modernista. Contrariamente a quanto si possa pensare, la prima ad utilizzare la locuzione flusso di coscienza in ambito letterario è May Sinclair e non Virginia Woolf; l’espressione compare infatti in una sua recensione ai romanzi della collega Dorothy Richardson, e in particolare in riferimento a Pointed roofs, contenuto in Pilgrimage (all’epoca erano solo tre in tutti, in seguito diventeranno tredici) sulla rivista The Egoist (aprile 1918, Vol. 5, No. 4). «The woman is perfected» è l’incipit di Edge di Sylvia Plath. Può definire la ʽperfezione’ muliebre? Il verso che lei cita ha ispirato la scelta del titolo della raccolta Le Imperfette, e per rispondere alla sua domanda riprendo le parole della coordinatrice del progetto, Antonia Santopietro (Zest Letteratura Sostenibile/Literaria Consulenza Editoriale), che nella sua nota a margine dice: «Al culmine della vita, nella compiutezza raggiunta sull’orlo, si definisce la donna, la sua perfezione; e imperfette sono le donne confinate in ruoli o ambiti di irrilevanza, ritenute folli o moderatamente atte alla vita, inette o ripudiate, invisibili nei secoli, nei molti luoghi e nelle diverse culture». La scelta del titolo voleva dunque rafforzare l’indefinibilità della perfezione muliebre, che non è un ideale a cui tendere, ma un recinto culturale in cui tenere addomesticato un’ideale femminile che configura la perfezione come il contraltare all’ossessione della virilità. Quanto ha contribuito la narrazione nella comprensione delle questioni di genere? Il suo contributo è stato assoluto, e con la costruzione cronologica progressiva dei racconti ho immaginato le autrici in particolare, ma anche alcuni autori passarsi il testimone letterario per approfondire e comprendere le questioni di genere. Molte delle autrici contenute nel progetto sono state rivalutate da studiose dell’argomento, ad esempio Ann Ardis, Elaine Showalter ed Emma Burris-Janssen hanno lavorato su George Egerton; Rebecca Bowler e Claire Drewery su May Sinclair, e ovviamente tutti gli studi approfonditi sulla più conosciuta Virginia Woolf. I racconti proposti sono di George Moore, Ella D'Arcy, George Egerton, Netta Syrett, Arthur George Morrison, George Gissing, Virginia Woolf, May Sinclair, Elinor Mordaunt, L. Parry Truscott. Si può seguire un file rouge dal punto di vista formale, guardando squisitamente agli aspetti stilistici? Nella costruzione del progetto ho tenuto conto del fil rouge di cui parla; anche qui c’è una sorta di staffetta linguistica e stilistica che si manifesta di racconto in racconto tracciandone l’evoluzione. In George Moore, ad esempio, si percepisce il germe della ribellione alla tradizione letteraria vittoriana soprattutto per i temi che predilige trattare: sesso, prostituzione, adulterio e omosessualità; Egerton restituisce il mondo interiore dei personaggi attraverso l’uso di momenti psicologici o passaggi quasi onirici; Morrison con il racconto dello slum, del periferico, pone scorci di modernità tematica e linguistica con sconfinamenti dialettali e l’ambiente povero del sobborgo sembra confluire nel paesaggio interiore del protagonista; Gissing, pur con il suo lavoro consono al mercato letterario tardo vittoriano, rimane fedele a quello stile ma lo arricchisce con un’analisi psicologica e dialoghi accesi intrisi di intenso sarcasmo saturnino. Truscott che, con il tentativo di catturare la natura simultanea e sfaccettata del pensiero e dell’esperienza, va oltre il desiderio di mostrare qualcosa di lineare e semplicistico e offre un esempio di flusso di coscienza potente regalando una dimensione quasi visionaria al racconto.
Intervista realizzata da Giusy Capone |