Eduardo Savarese: «La scrittura, l’antidoto all’istantaneità deresponsabilizzante e anestetizzante»

Nella sezione Scrittori per lo Strega della nostra rivista, a cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone, vi proponiamo una nuova serie di 10 interviste con gli scrittori segnalati all’edizione n. 76 del Premio, e con i loro libri, allargando ovviamente lo sguardo ad altri argomenti di attualità.
Eduardo Savarese, classe 1979, scrittore e magistrato, è segnalato per il suo nuovo romanzo dal titolo È tardi! (Wojtek, 2021). Elisabetta Rasy lo presenta così: «è un’opera davvero speciale: è insieme un ritratto da vicino di sette eroine della lirica (Traviata, Carmen e altre anche attraverso l’evocazione di celebri interpreti), una storia famigliare che si spinge fino alla seconda guerra mondiale, e soprattutto un romanzo di formazione in cui l’autore racconta la difficile scoperta e poi accettazione, anche grazie alla musica, della propria omosessualità. È un libro scritto con una prosa viva e colloquiale ma straordinariamente limpida, che ci narra in modo semplice ma incisivo come l’arte e la vita possano essere felicemente intrecciate».


In È tardi! lei si spinge fino alla seconda guerra mondiale. Ciò ha evidentemente richiesto ricerche storiche accurate e meticolose. Quale metodo si è imposta di adottare per trattenere le informazioni e, poi, renderle narrativa?

Le informazioni sulla seconda guerra mondiale, in questo caso, non hanno richiesto specifiche indagini (a differenza che nel mio primo romanzo, Non passare per il sangue (e/o), dove la guerra in Grecia, dal 1943, e la guerra in Afghanistan, dopo il 2001, sono state studiate, sotto certi profili, nei dettagli): questo perché ho attinto alla fonte diretta per eccellenza, l’epistolario che intrattennero dal 1944 al 1947 i miei nonni materni, lui italiano, lei cretese.


Il suo è altresì un romanzo di formazione. Tra le pagine si coglie l’introversione, lascontrosità, l’inquietudine ela disubbidienza adolescenziale. Quali tratti assume lagiovinezza nella ricerca di coordinate, d’interpretazioni univoche della realtà, disuperamento dellecontraddizioni?

La giovinezza è entusiasmo, ricerca appassionata, curiosità, apertura: per me è stato tutto questo dal punto di vista soprattutto intellettuale (la dimensione corporale, ahimè, è stata tardiva, ma ho tentato di recuperare…). Non direi che si tratta di superare le contraddizioni, ma di prenderne coscienza e farle esplodere: come accade per le eroine liriche che, anche per questo, mi hanno entusiasmato negli anni della formazione universitaria.


L’omosessualità è uno dei temi che affronta. Trova che resista ancora una dura riottosità nel sancire alle cosiddette «minoranze sessuali» la piena affermazione dei loro diritti?

Non affronto il tema. Nel senso che non lo metto, in questo libro, di fronte a me. Lo immetto come un ingrediente del tutto naturale della mia vita, della mia esperienza, della mia formazione: e come tale lo presento al lettore. Siamo in una fase storica delicata per le questioni di genere in Occidente: dobbiamo trovare la sintesi giusta tra rivendicazione, tutela giuridica e recupero di una dimensione istintiva, non troppo pensata, più libera. Naturale, direi.


Leggendo le sue pagine pare che emerga un elogio dell’imperfezione. È il difetto, la fragilità, l’incompiutezza che ci rende unici?

Siamo lacune che si riempiono di senso per mezzo delle relazioni. Relazioni «interlacunose». Siamo come opere d’arte: l’opera d’arte vive per essere sempre rinnovata dal completamento di chi la percepisce, la indaga, la impara, la diffonde.


Francesco De Sanctis scrisse che la letteratura di una nazione costituisce una «sintesi organica dell'anima e del pensiero d'un popolo». Posto che la letteratura siauno specchio della rispettiva società in un tempo definito e che varia di opera in opera, quali potrebbero essere il ruolo e la funzione della scrittura nel frangente storico che stiamo vivendo?

La scrittura, oggi, mi pare uno dei più formidabili strumenti di consapevolezza dei processi storici che viviamo. Una fonte di interiorizzazione, anche, di processi che, temo, vengono vissuti sempre più velocemente, sempre più come tocchi rapidi sull’epidermide. La scrittura è il segnale di stop per focalizzare e assorbire il significato: l’antidoto all’istantaneità deresponsabilizzante e anestetizzante.


La scrittura contemporanea può annoverare letterate illuminate, vere pioniere quanto a innovazione e rispetto della tradizione. Qual è l’attuale status della letteratura esperìta da donne?

Mi sembra che ci siano splendide esperienze di scrittura di donne. Il mio pensiero va subito a Benedetta Palmieri e al suo Emersione, anch’esso presentato allo Strega. Non parlerei di status unitario, in generale, ma di voci (alleluia!) diversificate, di esperienze ed elaborazioni anche molto distanti l’una dall’altra. Ma accade anche per gli scrittori «maschi», non le pare?


Hegel sviluppa una definizione del romanzo: esso è la moderna epopea borghese. Lukacs afferma che questo genere, essendo il prodotto della borghesia, è destinato a decadere con la morte della borghesia stessa. Bachtin asserisce che il romanzo sia un «genere aperto», destinato non a morire bensì a trasformarsi.  Oggi, si notano forme «ibride». Quali tendenze di sviluppo ravvede di un genere che continua a sfuggire a ogni codice?

Nel romanzo oggi vediamo di tutto, da prodotti molto tradizionali a invenzioni ardimentose (ci tengo qui a citarne un esempio riuscito: Annette, di Marco Malvestio). Credo che questo sia, in linea di principio, democratico. In concreto, il romanzo è parte di un’industria editoriale che risponde, come oggi tutto il mondo, o quasi, a logiche di mercato. Direi che non è tanto il romanzo il prodotto della borghesia quanto l’editoria un insieme di processi retti dal capitalismo neoliberista, ciò che incide sul cosa, il come, il quando e il quanto va pubblicato.


La letteratura romena si fregia di una robusta altresì varia produzione. Essa è costantemente tradotta in lingua italiana, con nomi di punta quali Ana Blandiana, Herta Müller, Mircea Cărtărescu, Emil Cioran, e la rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» ne registra le pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2021. Quali scrittori romeni hanno attirato la sua attenzione?

Credo sia conosciuta e amata, anche se mai a sufficienza. Sono cresciuto a pane e Cioran. Ci tengo ad aggiungere alla sua lista tre nomi ulteriori: uno è di scrittore, Vintila Horia (un’altra delle vittime del dogmatismo di Sartre: già solo per questo merita di esser letto), il suo Dio è nato in esilio è un romanzo straordinario che mi fece conoscere Paolo Isotta. Ma visto che l’intervista riguarda un libro che nasce dal mio amore per la musica classica, mi permetto di nominare anche un compositore geniale, che vorrei si ascoltasse ed eseguisse di più, George Enescu, e un intenso, appassionato soprano: Mariana Nicolesco.







A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone

(n. 4, aprile 2022, anno XII)