Centenario Fellini: un «genio immortale» anche in Romania. Intervista al regista Doru Niţescu

Nel 2020 ricorre il centenario dalla nascita di  Federico Fellini (20 gennaio 1920, Rimini – 31 ottobre 1993, Roma). La nostra rivista lo celebra con un numero monografico che si apre con un’intervista al regista romeno Doru Niţescu (n. 1978), docente di regia cinematografica, con un dottorato in cinematografia e media, e presidente del senato dell’Università Nazionale di Arte Teatrale e Cinematografica di Bucarest. I suoi cortometraggi hanno ottenuto vari premi a festival nazionali e internazionali, mentre il lungometraggio Carmen (2013) è stato selezionato nella competizione ufficiale dei festival di Sarajevo 2013, Beijing e Göteborg 2014.
Doru Niţescu ha un culto per Fellini cui ha dedicato la tesi di dottorato come pure due significativi volumi: Interviste su Fellini (2009), che raccoglie le splendide testimonianze di cinque dei più intimi collaboratori del maestro, e Il cinema-menzogna (2009), un'ampia analisi della filmografia e poetica felliniane.





Doru Niţescu, sono passati quasi 5 anni dalla nostra conversazione su Fellini ripubblicata di recente dalla nostra rivista. Le propongo di continuarla ora, dato che nel 2020 si compiono 100 anni dalla nascita del Maestro e il mondo della cinematografia gli prepara una grandiosa celebrazione. Il centro irradiante delle festività è la città in cui è nato, Rimini, che intitola l’ampia mostra itinerante (da Rimini si sposterà a Roma poi a Los Angeles, Mosca, Berlino) dedicata all’evento «Fellini 100. Genio immortale». Vorrei iniziare con un commento su questa etichetta.

Mi fa veramente piacere riannodare la nostra conversazione proprio ora quando si celebra il centenario Fellini. Gli eventi annunciati mi sembrano più che naturali, data l’universalità di questo autore, uno dei più grandi della storia del cinema, ed è un gesto di normalità celebrarlo. Più che di un anno, 2020, credo si tratti di un presente continuo, perché rivedendo i suoi film lo riportiamo continuamente in vita e gli assicuriamo l’immortalità. In più, rivedendo i suoi film, ognuno di noi, spettatori, percepisce un altro Fellini, un suo Fellini. Così che l’idea di genio immortale mi sembra ben giustificata (e non la chiamerei etichetta che ha in sé qualcosa di peggiorativo).

Quella di Fellini è stata una generazione eccezionale: essa ha prodotto, non solo in Italia, ma soprattutto in Italia, un numero impressionante di registi dalla spiccata personalità e con visuali proprie non solo sull’arte cinematografica ma anche sul mondo. Come mai tale fenomeno?

Dopo la guerra tutta l’Europa ha attraversato un periodo di ricostruzione e di riconfigurazione: a Ovest una ricostruzione accelerata, a Est una che seguiva il modello staliniano. Ma dappertutto si assiste alla rinascita delle cinematografie nazionali, e la prima è stata proprio quella italiana nel 1945 con Roma, città aperta di Rossellini, con Fellini coautore della sceneggiatura. L’evoluzione del cinema italiano nel periodo 1945-1965 è molto speciale e ha dell’incredibile che da una corrente che faceva del realismo e della veridicità la sua meta sia derivata una tale abbondanza di stili e di autori che hanno seguito direzioni estetiche così diverse e innovative. Ma una volta superati gli orrori della guerra e le cose ritornate a una certa normalità, insieme al miracolo economico italiano avviene anche il miracolo cinematografico. E ciò che caratterizza questo miracolo è proprio la visione personale sul mondo di ciascun autore, così che in Italia si ha una moltitudine di prospettive che offrono un eccezionale affresco a più voci della società del tempo. E stato il frutto di un’emulazione straordinaria che ha prodotto tanti capolavori. Fra l’altro, la forza della cinematografia italiana di allora si dimostrava anche nella sua capacità di autofinanziarsi. 

Il risultato finale e perenne delle celebrazioni di quest’anno sarà la realizzazione di un museo permanente Fellini a Rimini. Una delle sezioni del museo sarà dedicata alla storia dell’Italia così come essa emerge dai film di Fellini. Secondo lei, il cinema di Fellini rispecchia la recente storia italiana?

Il legame di Fellini con la sua città è inestricabile, in stretta simbiosi. Lui ritornava sempre a Rimini e al Grand Hotel ogni volta che iniziava a preparare un nuovo film, come se le sponde di Rimini gli alimentassero l’immaginazione e gli potenziassero l’ispirazione. (Autore paradossale, Fellini, quando girerà Amarcord, ricostruirà Rimini a Cinecittà). Ma i suoi film sono sì anche documenti delle epoche in cui è nato ciascuno. Sicuramente Fellini riscrive la storia, la ri-inventa, la ri-immagina. La verità storica schietta non l’ha mai interessato veramente. La storia riscritta da Fellini ha un’aria particolare, carica di nostalgia, di rimandi alla propria vita e alla propria biografia (reale o inventata). Basta pensare ad Amarcord e a tutto il periodo storico dell’ascesa del fascismo in Italia. Ci sono nel film tanti elementi reali, come le persecuzioni contro gli oppositori del regime, le marce e le fanfaronate che accompagnavano il regime mussoliniano, ma esse sono accompagnate da elementi di fantasia – come lo sposalizio immaginario di Aldina e Ciccio, ufficiato dal viso immenso e caricaturale di Mussolini, fatto di fiori. In altri film (e penso subito a Le notti di Cabiria e a La dolce vita) la storia sembra essere scritta dal vivo, durante la proiezione, direttamente sullo schermo sotto i nostri occhi. Si tratta o di una storia personale – nel caso di Cabiria – che fa trapelare tutto il contesto della società italiana o di un affresco – ne La dolce vita – dove la vita è narrata al presente continuo, avviluppando – e portando con sé – il protagonista Marcello. Sono molto curioso di visitare il museo di Rimini, perché sono sicuro che godrà di un allestimento perfettamente curato e documentato.

È interessante quanto dice sull’inestricabile intreccio fra storia reale, memoria personale e fantasia nei suoi film.

Fellini è il regista dalla doppia memoria: una memoria collettiva dei fatti del tempo (una cronaca in immagini del presente) e la sua memoria personale (reale o inventata) che trasferita sullo schermo diventa un organismo vivente: evolve, si propaga, si autodivora, si autointerpreta e rinasce sempre diversa, confondendosi, alla fine, con la finzione (in quanto ai ricordi reali) oppure con la realtà (quando si tratta di ricordi immaginari). Le opere dell’ultimo periodo sono invece attraversate da un’aria profetica, se pensiamo a Ginger e Fred o a La voce della luna. In questi due film la visuale cambia, come se a lui interessasse di più il mondo dei giovani; lui sembra abbandonare il passato a favore di una meditazione su ciò che accadrà. Benché tanto Ginger quanto Fred siano già anziani e il film sia un vibrante omaggio a un mondo che stava per scomparire, quello che colpisce è la prospettiva sul futuro: un mondo divorato dal consumismo, dove i valori sono scaduti o scomparsi, dove lo spettacolare sostituisce ed elimina brutalmente la profondità. In altre parole, Fellini descrive sì il nostro mondo presente: definitoria per la visione semi-apocalittica che caratterizza questi due film è una battuta de La voce della luna: «se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa potremmo capire...».

Celebrato come regista, Fellini è stato invece anche sceneggiatore, attore, giornalista, autore di pubblicità, scrittore, disegnatore, uguale in questa sua multilateralità forse solo a Pasolini o a Dario Fo. Che ruolo pensa che abbiano avuto questi suoi numerosi interessi e talenti sull’arte del regista?

Per rispondere a questa domanda ricorderei in breve l’esordio artistico di Fellini. Arrivato nella Città eterna, il giovane Fellini inizia come giornalista, collaborando a vari giornali, scrivendo una serie di materiali molto ispirati e accompagnandoli dai propri disegni. Il suo talento di caricaturista, per altro, è ben noto. Fellini è stato un creatore pluridisciplinare, un caricaturista straordinario, un fantastico narratore (negli ultimi anni sono stati pubblicati più libri con i testi scritti da lui nei primi anni), un artista visuale completo. Il suo passaggio dal giornalismo al cinema è degno di un film: in Fellini su Fellini racconta succosamente come un giorno è capitato da lui Rossellini proponendogli di collaborare con Sergio Amidei per la sceneggiatura che sarebbe poi diventata Roma, città aperta. A Rossellini deve anche le sue prime esperienze di attore, precisamente nel film Il miracolo (del dittico L’amore), dove recitava con la Magnani. Le sue apparizioni successive, nei propri film, non sono da attore, bensì come scelta autoriale: quando Fellini rinuncia deliberatamente di parlare tramite dei personaggi e assume totalmente il ruolo di guida: A Director’s Notebook, I clowns, Roma, Intervista.
Dunque, parlando di Fellini mi risulta difficile limitarlo alla professione di regista. Io lo associo alla nozione di autore a tutto tondo e, nel caso di un autore di film, tutte le sue esperienze confluiscono nella sua visione cinematografica. D’altronde, Fellini stesso lo dichiara in : nel gran finale, Guido, il protagonista, chiede perdono e fa pace con tutti i personaggi che lui reca dentro di sé; solo dopo quel momento si può produrre quella meravigliosa sequenza in cui i personaggi (reali, passati, immaginati) si prendono per mano in una danza della vita e della morte. Fellini ha capito, dunque, che noi siamo la somma delle nostre esperienze e dei nostri incontri e che abbiamo dentro di noi vari mondi.
Personalità paradossale, Fellini ha realizzato verso la fine della vita anche alcuni spot pubblicitari di una strana bellezza: Barilla, Campari, Banco di Roma. Sempre allora ha ripreso un progetto abbandonato alla fine degli anni ’60, Il viaggio di G. Mastorna, che ha trasformato, insieme a Milo Manara, in una serie di fumetti. L’ultima opera felliniana, postuma, è Il libro dei sogni, cioè i suoi disegni pubblicati in un’edizione splendida dalla Rizzoli nel 2008. Alcuni di essi avevano circolato nelle pagine donate agli amici, ma la loro ricchezza visiva è venuta fuori solo in quel volume, ultimo baleno del genio di Fellini.

Come per molti longevi, anche nella creazione di Fellini possiamo distinguere, credo, più tappe. Quali sarebbero, secondo lei, queste tappe felliniane e che cosa le caratterizza?

Nella mia monografia Il cinema-menzogna ho definito l’itinerario dell’opera felliniana così: dal neorealismo al favoloso e dall’autobiografismo alla significazione. Certo, l’inizio è stato influenzato dal neorealismo, però l’approccio del Nostro vi è del tutto inedito: Fellini respinge il neorealismo visto come approdo obbligatorio alla realtà per passare piuttosto dalla parte della «menzogna», dello spettacolo, che lui trova sempre più interessante della verità. Persino nei film che potrebbero sembrare schiettamente neorealistici si scopre che la realtà è solo un pretesto, un canovaccio su cui si tesse un mondo immaginario di straordinaria ricchezza. 
Ma ho sempre considerato che la svolta è avvenuta con La dolce vita, segnale chiaro di un grande cambiamento; in questo senso l’ultima sequenza del film è illuminante: Marcello, in riva al mare, è guardato insistentemente dall’occhio spalancato di un mostro marino morto: l’incosciente viene a galla e prende il controllo! I film dopo La dolce vita (a iniziare da ) sono in gran parte esplorazioni dell’inconscio. Da un punto di vista formale, i film della seconda tappa della sua carriera diventano densi, barocchi, estremamente visivi, agli antipodi della semplicità de La strada o de Le notti di Cabiria. In questa seconda tappa Fellini crea più capolavori, ma qui mi soffermerei su uno solo: L’intervista. Film di maturità, quasi un testamento, L’intervista è costruito intorno ai ricordi di Fellini su Cinecittà, dal primo approdo del giovane Federico nella città del film italiano e fino al presente, quando Mastroianni fa la parte di Mandrake in una pubblicità. Qui Fellini costruisce un film-confessione, pregno di una nostalgia che tocca il climax nell’incontro – dopo anni – fra Mastroianni e Anita Ekberg, entrambi anziani.



Marcello Mastroianni e Anita Ekberg in La dolce vita



Eppure, a dispetto delle tappe e delle differenze, è possibile considerare che la sua creazione ha anche dei tratti caratterizzanti e distintivi che ci permettono di riconoscere il marchio Fellini in ognuno dei suoi film?

Nella mia ricerca su Fellini ho identificato più tratti distintivi e in primo luogo penso a un certo tipo di visione del mondo e degli uomini che, nel tempo, ha ricevuto proprio il suo nome: felliniano. La visione felliniana è fatta di contrasti che coesistono naturalmente insieme: bello e brutto, santo e diavolo, spettacolo e profondità, fede e peccato. Dal punto di vista dello stile, Fellini è un calligrafo del cinema, tutti i suoi film sono concepiti con un’attenzione totale per ogni particolare, seguendo una scaletta elaborata, complicata e spettacolare. Commentando La dolce vita, il grande teorico Luigi Chiarini osservava che i film di Fellini sono tutt’uno con il loro stile, un insieme indivisibile.
Aggiungerei ai segni distintivi inconfondibili del mondo felliniano la musica – e non posso non menzionare la lunga e felicissima collaborazione con Nino Rota; e il circo (o in genere lo spettacolo) con la sua accozzaglia di personaggi: nani, clown, acrobati, ipnotizzatori, che sotto varie forme migrano in tutti i film di Fellini.
Ma vorrei parlare anche di una sensazione mia personale che riscontro ogni volta che rivedo i film di Fellini: da un lato, mi sembrano estremamente leggeri, con una naturale progressione drammatica, senza nessuna forzatura narrativa, come se fossero fatti di getto e alla leggera; dall’altro, sento acutamente la loro profondità. È questo doppio rapporto che mi affascina e mi contraria, mi dà la sensazione che il film si rivolga solo a me

Chi ha conosciuto Fellini o ha lavorato con lui ha conservato il ricordo non solo di un creatore-mago, ma anche di una certa visione della vita. Come la descriverebbe lei questa visione?

Mi ricordo che raccontando del suo primo incontro con Fellini, il noto compositore Nicola Piovani mi diceva che ogni volta che vedeva Fellini passando per Cinecittà aveva la sensazione di incontrare un creatore del Rinascimento. Ugualmente, Gianfranco Angelucci – amico e stretto collaboratore di Fellini – mi raccontava che, standogli sempre accanto, era arrivato veramente a percepire la sua profondità, l’attenzione e il suo interesse per tutto quello che vedeva intorno a sé, anche per gli esseri (a prima vista) insignificanti.
Secondo come lo percepisco io oggi, Fellini mi sembra che abbia scavalcato la sua epoca, che sia riuscito, non so come, a diventare fin da vivo, atemporale, a staccarsi dalla realtà storica e sociale e a rapportarsi direttamente al mondo delle idee, dei concetti e dei sentimenti. La vita è uno spettacolo sembra dire Guido nell’affascinante finale di .

Come suggeriva anche Piovani, Fellini esercitava probabilmente una certa fascinazione su quanti venivano a contatto con lui. Eppure lui era un personaggio conviviale, sempre circondato da artisti, amici, persone. Ed è sicuro che era affascinato da alcuni – se così appaiono nei suoi film; ma ne era pure influenzato?

Credo che nella vita di Fellini ci sia stata una persona di un’importanza soverchiante: Giulietta Masina. Non l’attrice Masina, Masina la moglie! Giulietta non sembrava affatto il tipo di donna da cui Fellini potesse essere attratto. Quando Rinaldo Geleng gli ha domandato direttamente come mai la loro coppia era così solida, Fellini ha risposto che nessuno lo faceva ridere come Giulietta. Ho riflettuto a lungo su questa risposta e credo che dietro a essa ci sia una comunicazione spirituale incredibile fra i due. Fellini ha detto varie volte di avere la sensazione che lui e Giulietta si conoscessero da sempre, cioè da molto tempo prima di incontrarsi. Credo che Giulietta Masina abbia incarnato il rapporto di Fellini con la spiritualità, era l’equilibrio di cui lui aveva bisogno per creare liberamente, per essere libero. In più, è stata sempre Giulietta Masina a dare la migliore definizione dello stile felliniano: nulla si sa, tutto si immagina.

Come quasi tutti i grandi creatori, Fellini doveva avere anche lui un modo tutto suo di lavorare nei film: con gli attori, con gli operatori, musicisti, insomma con tutta la squadra. Ci sveli qualcosa del suo laboratorio di procedimenti specifici.

Per Fellini il legame con la realtà era sempre mediato dalla presenza della cinepresa. Non a caso nell’ultima sequenza di Intervista Fellini riprende un «raggio di sole» in mezzo a un set vuoto, dove l’unica fonte di luce è un proiettore. La realtà felliniana è sempre reinventata: il mare non è reale, ma è di seta, la nave è una piattaforma sul set, Via Veneto viene ricreata a Cinecittà e sempre qui viene ricreata la Rimini della sua infanzia. Un primo «procedimento» è dunque ricreare la realtà. Poi basta pensare al caleidoscopio di figure strane, alcune belle, altre deformi, alcune innocenti, altre repellenti. Un altro «procedimento» consiste nella scelta degli attori: Fellini, proprio per captare la stranezza desiderata, ricorreva spesso ad attori non professionisti.
Sul set Fellini controllava tutto, ogni dettaglio veniva analizzato, soppesato per poi essere conservato o eliminato. Ma nella seconda parte della sua carriera, Fellini si ritira ancor di più in Cinecittà, preferendo costruire scenografie gigantesche nel Teatro Cinque e accentuare la loro artificiosità per non permettere agli spettatori di confonderle con la realtà. Lo scopo di questo «procedimento» è l’effetto di estraniamento e di focalizzazione sul soggetto.

Come altri grandi registi, anche Fellini ha avuto i suoi attori prediletti, basta ricordare Mastroianni e la Masina. Secondo lei, c’era una consonanza speciale, antecedente al film, fra la personalità e la recitazione di simili attori e l’universo felliniano?

Secondo me, così come ne La strada, Zampanò, Gelsomina e Il Matto costituiscono la totalità di un ego (la forza bruta, l’anima e l’intelletto), la predilezione per Mastroianni e per la Masina è da mettere in correlazione con il bisogno di un alter ego del creatore (secondo una teoria ben nota nel mondo del cinema, ironizzata dallo stesso Fellini quando, sul palco del Festival di Venezia, ha accolto Mastroianni – a cui sarebbe rimasto legato per tutta la vita – con la battuta: «Ciao, Marcello, ti ricordi di me? Sono io, il tuo alter ego!»).
Nell’opera di Fellini ci sono due film realizzati a breve distanza uno dall’altro, che si completano e funzionano come un binomio: si tratta di e di Giulietta degli spiriti. Entrambi offrono due eccezionali recitazioni e la mia impressione è che Fellini ha tentato di sviluppare uno stesso personaggio a due facce: una maschile, con Mastroianni, e l’altra femminile, con la Masina.
E non è, di nuovo, una coincidenza che uno dei film testamento di Fellini – Ginger e Fred – riunisca per la prima e ultima volta gli stessi due, già anziani, guardando con nostalgia verso un passato ancora vivo nella loro memoria, ma completamente svalutato o dimenticato dal presente.

Che ruolo ha un creatore tanto originale quanto Fellini nell’andamento della cinematografia? Costituisce lui forse una tappa in un’evoluzione, cioè la segna in modo costruttivo e ne alimenta il progresso? Oppure è un punto estremo, singolare e irraggiungibile, che non può fare scuola, una cometa che la sfiora in un solo punto? 

Ai creatori molto originali spetta sempre un destino speciale: essi non fanno scuola‚ e neanche Fellini l’ha fatto. La forza dell’universo felliniano scaturisce dalla peculiarità del suo creatore e nessun altro può avere accesso alla sua fonte di ispirazione. Ma dopo di loro, come dopo Fellini, appaiono epigoni, imitatori, falsi continuatori, polemisti. Io personalmente in questo momento vedo Fellini (ma anche Bergman, Antonioni, Tarkovskij – per fare solo pochi nomi) come un pilastro che assicura la struttura di una costruzione. A tali pilastri si appoggiano poi i solai, i muri, si posano i mattoni, su di essi si distribuisce uniformemente il peso di tutto l’edificio chiamato cinema.

Per concludere, ritorniamo alle celebrazioni del centenario: la cinematografia romena, che ora come ora conosce uno slancio di tutto rispetto, rivolge essa un qualche omaggio a questo grande italiano? Cioè sente essa che i propri creatori cinematografici gli devono qualcosa?

Da quanto so e ho sentito, oltre alla vostra iniziativa estremamente lodevole, in Romania non si annuncia nessun evento speciale dedicato al centenario felliniano. Spero tuttavia che la televisione nazionale e forse la Cineteca romena gli dedichi una serie di programmi, se non una retrospettiva integrale delle sue opere. Comunque, ho intuito nella sua domanda una provocazione: e forse, spero, in autunno, di poter invitarla ad almeno una conferenza nella nostra università.



Intervista realizzata e tradotta da Smaranda Bratu Elian
(n. 3, marzo 2020, anno X)