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«Sempre tornare». Con Daniele Mencarelli, un dialogo sulla bellezza
Il Premio Strega Giovani 2020, Daniele Mencarelli torna in libreria con un nuovo romanzo, Sempre tornare. Pubblicato da Mondadori, ci troviamo davanti a un inno alla bellezza, quella umana, della giovinezza, dell’ignoto, della speranza. Persino tra le pieghe delle brutture, Daniele, il protagonista diciassettenne di questa avventura, ci lascia intravedere stralci di bellezza, di meraviglia, di speranza. E gli incontri sono tanti quanti i passaggi che il giovane Daniele riesce a ottenere, facendo l’autostop, tra il litorale romagnolo e la capitale.
Non ha soldi con sé. Nemmeno i documenti. Ha soltanto l’illusione di poter esplorare il mondo senza pensieri, strapparsi dalle radici e, invincibile, camminare da solo in mezzo alla vita.
E in mezzo alla vita ci camminerà, Daniele. A un certo punto, persino senza una valigia, con la febbre nel corpo e l’insicurezza di chi è sempre più vicino alla meta, ma la sente lontana per colpa dello spazio e del tempo cresciuti alle sue spalle, una creatura che ora lo spolpa dalle energie.
Di come sia stato scrivere la storia di un adolescente mentre adolescenti non si è più, di cosa si celi dentro la bellezza e di cosa accadde a voler recidere le proprie radici, ne abbiamo parlato assieme a Daniele Mencarelli.
Essere adulti significa saper mediare, saper vivere nei grigi, perché non si può essere solo bianco e nero. Sono questi gli adulti visti con gli occhi di un adolescente. E tu scrivi questo romanzo in età adulta. Ci troviamo davanti quasi un gioco di specchi. Com’è stato indossare i panni di un adolescente? Quali le sfide?
L’adolescenza porta con sé una specie di duello, una lotta nel trovare il grigio dei grandi temi. Ora, questo duello, per me, non è mai finito. Lo sento ancora oggi. Per me comprendere la nostra natura profonda è ancora una domanda su cui ci rifletto, perché una risposta esclude l’altra. O siamo i figli di chi ci ha fatto oppure siamo figli del caos.
D’altro canto, il grigio ci aiuta a sopravvivere.
A livello di scrittura, la difficoltà è stata quella di trovare una certa ingenuità linguistica.
Dici a un certo punto: «L’infelicità invecchia». Come si fa a non invecchiare per colpa dell’infelicità? Daniele, il protagonista, ha soluzioni?
Il primo grande testimone che Daniele, il personaggio, incontra è Enrico, il giovane pediatra. In quest’ottica, l’infelicità è aderire ai sogni degli altri. Di contro, la soluzione per non invecchiare di infelicità è fare quello che vogliamo fare veramente.
I miei genitori sono dei grandi lavoratori. Quando dissi loro che volevo fare il poeta — avevo diciott’anni circa —, mio padre mi chiese: ma ci mangi?
Ecco, per sottrarsi all’infelicità precoce bisogna fare ciò che ci piace, mantenere il dialogo con la propria passione.
«Dietro la bellezza ci abita qualcuno»: anche questa frase ti appartiene…
La bellezza per Daniele lo ricollega agli altri due romanzi. Qui lo ritroviamo ancora ragazzo, non è ancora riuscito a condividere con gli altri ciò che custodisce dentro di sé. Il suo dialogo è con la natura muta attorno a sé: gli animali, la natura in senso stretto.
La bellezza è un indizio che ci porta altrove perché la bellezza non si spiega. E va al di là della bellezza estetica, la quale ha una certa valenza morale, che si muove tra il giusto e lo sbagliato.
Essendo ragazzo, Daniele, il protagonista, non possiede ancora le parole adatte, le troverà negli altri due romanzi.
Un altro grande tema del romanzo è quello delle radici. Si possono recidere? Se sì, a quale prezzo?
Personalmente, ho avuto la fortuna di avere una certa linearità tra me stesso e le mie origini. Quando il protagonista volta le spalle alle proprie radici, si ritrova in mezzo a nuovi volti, a nuovi incontri.
E più che radici, userei la parola casa. Questo termine ha un suo fascino particolare. Per esempio, ci sono tantissime persone giunte qui dall’Africa, che hanno attraversato mari di deserto e che serbano nel loro cuore il desiderio di riformare una casa. La casa è il luogo dove ritorni.
Il tema dell’origine l’ho affrontato anche in una poesia che ho dedicato a un calciatore che ho conosciuto. Parlavo di lui in questi termini, come di un ragazzo divorato dalla sua stessa origine. Perché è così, le origini possono anche divorare quello che partoriscono.
A cura di Irina Turcanu Francesconi
(n. 11, novembre 2021, anno XI)
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