Maurizio Vitiello in dialogo con Clementina Gily Reda Maurizio Vitiello ci propone un ampio dialogo con Clementina Gily Reda, filosofa tra i maggiori studiosi di Giordano Bruno, ex docente di estetica della comunicazione all’Università Federico II e all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. È inoltre autrice di monografie su Guido de Ruggiero, Ugo Spirito, Remo Cantoni, e di scritti su Collingwood, Croce, Gentile, Paci, Eleonora Pimentel Fonseca. Clementina, puoi segnalare, in dettaglio, il tuo percorso di studi? Laureata con lode, relatore Franchini, con una tesi su Epicuro (come Marx), reindirizzai rapidamente la direzione per non restare confinata nella filologia antica; nella teoretica mi sono subito impegnata a costruire una mia lettura dei problemi che mi angustiavano (politici e metafisici) concretati in diverse monografie concepite vichianamente come unità di filosofia e filologia. È anche il metodo della recente serie su Giordano Bruno. Quando è iniziata la voglia di «produrre libri, filosofia, estetica»? Era un portato normale del lavoro universitario. Molto originale invece è stato improvvisare il lavoro con le scuole, organizzare stage utili agli studenti presso musei e scuole, così da attivare consulenze professionali: molti miei studenti hanno trovato occupazione proprio per le direzioni originali apprese negli stages. Spesso fuori Napoli. Motivo: la società delle immagini non pratica una sia pur minima educazione a leggere le immagini, che non hanno alfabeto. Quali filoni hai seguito e quali momenti hai determinato? Ho risvegliato l’interesse dei filosofi inglesi per il maestro del liberalismo italiano e della storia della filosofia: Guido de Ruggiero. Quest’anno è infine uscito un volume con articoli di amici italiani e soprattutto inglesi, giovani anche, su di lui, che sono riuscita a far conoscere loro come autore originale ingiustamente sottovalutato da Croce e Gentile. E fu comunque un grande. Un successo estero molto importante. Inoltre riuscire a dare una professionalità spendibile agli studenti di beni culturali, che trovo spesso quando giro per i musei, con gli stage presso scuole e musei, con attenzione anche alla formazione dei non vedenti, ha dato chance a molti ragazzi, specie fuori Napoli. Ho avuto dei maestri importanti, da cui ho imparato il lavoro quotidiano. Molti autori poi ho venerato, leggendoli di continuo, del presente, del passato, molti letterati oltre che filosofi. Ma nessuna pista, e perciò ho avuto vita difficile, nessuno mi ha aiutato nella carriera universitaria, anche se ci sono stati amici, ma molto teorici. E anche persone oneste e fortuna, che ci vuole sempre! Perciò ho fatto 4 concorsi… e alla fine ho vinto, come avevo vinto quelli con la scuola. Bene così. Mi considero ancora amica di chi non mi ha aiutato... ma sono un libera pensatrice, nessuna pista. Spostandoci sul lato artistico, mi puoi indicare gli artisti bravi che hai conosciuto? Tanti e tantissimi, ma i classici – come professoressa di Estetica e Teoretica, mi baso più su Leonardo e Raffaello ecc. che sui contemporanei – e sono perciò severa nei giudizi. Però quando ho avviato OSCOM alla formazione estetica, ho formato la direzione di ricerca con Antonello Leone, Mario de Cunzo, che oggi non ci sono più, e poi Riccardo Dalisi, Franco Lista e Giovanni Ferrenti: tutti esperti anche di arte coi ragazzi. Loro accettarono e mi hanno aiutato anche nelle scuole, ci sono molti filmati che li mostrano al lavoro nei musei e nelle conferenze (vedi oscom.unina, oscomunina, su YouTube; e tra poco i link aggiornati su www.oscom.academy.org). Molti artisti poi mi hanno aiutato nei laboratori, tra loro Rosellina Leone, Maria Petraccone, Silia Pellegrino, Felice Garofano, Giuseppe Di Franco, fotografi e filmaker e via dicendo. Per parte mia, essendo persona di parole e pensiero, ho riportato in auge l’ecfrastica, una didattica medievale che insegnava a leggere le immagini. Quali sono i tuoi libri da ricordare, e perché? Quelli che ho scritto? Tutti, ovviamente. Sono importantissimi. Ma i miei libri io definirei piuttosto quelli che ho letto: Tolstoj continua a essere il primo, Musil, Proust, Virginia Woolf e tutti questi romanzi medievali, ma anche Wilbur Smith, Dan Brown, gialli, urania: sono onnivora. Fumetti tanti, ma solo strisce. Ogni tanto rileggo i miei classici, in parte, visto che sono tutti lunghissimi. Anche da bambina leggevo moltissimo, miti greci e Salgari soprattutto. Dentro c’è la tua percezione del mondo, forse, ma quanto e perché? Si, c’è tutta la mia percezione del mondo e la mia metafisica. Mi sono reputata fortunatissima di avere il tempo di pensare a risolvere i problemi di quando ero adolescente, la politica, con Epicuro meditai anche Marx, che era al momento interesse comune – e diventai laburista. Metafisico, soprattutto, e con Bruno ho trovato pace. Logico, e l’estetica mi ha dato le risposte che cercavo. Ora, puoi specificare, segnalare e motivare la gestazione e l’esito dei convegni che hai organizzato o a cui hai partecipato? Ne ho organizzati sul gioco, sulla formazione estetica, sulla filosofia politica… ora sull’intelligenza artificiale e sul sacro… un convegno per me è un modo di porre un problema, gli interventi mi hanno molto aiutato a correggere le mie impostazioni nel dialogo. È una teoria che ha la sua continuità, se letta nel modo giusto. Se fossi più egocentrica, scriverei un’autobiografia perché nulla è stato a caso. Oggi sento le conclusioni dei discorsi venire su dritte come fusi e mi meraviglio della compostezza raggiunta. Perciò ho iniziato a cercare un modo di scrittura non così difficile come il filosofico, di raccontare la storia di Giordano Bruno e di Leonardo, e di Croce, come ho fatto. Perché mi pare che sono molto più interessanti dei divi di oggi. Sono convegni intriganti. Il più bello forse, alla Fondazione Dorso, dove si poteva davvero creare una convergenza culturale per la formazione estetica, con Provveditori e artisti ed esperti dei diversi settori… ma non è stato nemmeno pubblicato. Ho avuto fortuna ma peccerella, come diceva Titina De Filippo – che certo ne ha avuto molta di più di me. Ora questo sul Senso del Sacro sta avendo molto successo. L’Italia è sorgiva per gli artisti dei vari segmenti? La Campania, la Puglia, il Sud, la «vetrina ombelicale» milanese cosa offrono adesso? Io non sono così nazionale… studio sempre moltissimo. Vedo Napoli e già poco la provincia, poi l’estero, ma solo sui miei argomenti di studio. Mi sono mossa per la Mostra del Sacro e altre perché credo che Napoli offra pochissimo per tutti. Mi sto dando da fare per creare una mostra dei giovani, prima che se ne vadano tutti, e per meditare professioni attuali da potenziare come possibile, anche con direzioni ecologiche e soprattutto tecnologiche – ma di tecnologia umanistica, visto il grande patrimonio di storia dell’arte che abbiamo. Pensi di avere una visibilità letteraria congrua? No, certo che no. Potrei lavorare molto di più in rete, tanti amici anche coetanei lo fanno e sono bravissimi. Ma ho proprio tanto da fare. Andare tutti i giorni in rete posso fare per poche ore, compresi i webinar. E dunque faccio poco anche su facebook. Sto registrando delle lezioni online per corsi di formazione… dovrà bastare a chi è così interessato a me. In realtà, io devo ancora rispondere ai nuovi problemi emersi dalla ricerca: la logica simbolica, ad esempio. Quanti «addetti ai lavori» ti seguono? Non so. Ho i miei allievi di OSCOM, lavoriamo nelle scuole per loro guadagno. Ho il giornale e le pagine social. Non ho il tempo per gestire la pubblicità di me, m’interessa ancora il lavoro, fare le cose in cui credo, scrivere cose per far capire qualcosa a qualcuno. Resto un’ingenua che crede nella vita, e mi reputo molto fortunata per questo. Sono comunque molti che mi conoscono e mi apprezzano, francamente mi meraviglio spesso, sono anche tanto cortesi da dirmelo. Quali linee operative pensi di tracciare nell’immediato futuro? Bisogna riuscire a portare l’educazione alle immagini nella scuola; ma non più come ho fatto sinora, con attività rivolte alla formazione di modelli didatticamente sostenibili. Ora ci sono. Quindi siamo alla seconda parte, costruire una realtà di sperimentazioni condivise. Se no, come dicevo, non sottrarrò più altro tempo al mio egoistico desiderio di leggere in pace. E casomai divertirmi un po’. Ho imparato a disegnare. Schifezze, certo, ma mi diverto molto. Vorrei anche riprendere i miei studi infantili di pianoforte. Pensi che sia difficile riuscire a penetrare le frontiere dell’arte? Quanti, secondo te, riescono a saper ‘leggere’ l’arte contemporanea e a districarsi tra le ‘mistificazioni’ e le ‘provocazioni’? Molti più di quanto credono gli esperti. C’è una frontiera reale da parte del pubblico, che non capisce, né vuole capire l’arte, così lontana dall’uomo. L’interesse nasce nelle mostre di fotografia e varie, oggetti e classici, più che nell’arte contemporanea, che non sa toccare il sublime ed è molto intellettuale. I social t’appoggiano, ne fai uso quotidiano? Ho molti amici FB… ma supero con fastidio la timidezza di quel tutto aperto. Ma ci sto provando. Tendenzialmente sono un’eremita. Con chi ti farebbe piacere collaborare tra critico, artista, art-promoter per mettere su una mostra o una rassegna? Ecco, è un discorso da approfondire. Credo che la mostra che seguo ora potrebbe lanciarsi su un altro piano, dopo tre anni vissuti bene. Ma occorrerebbe lavorare in questo senso. La mostra c’è già, e io conto di scrivere qualcosa, se ho il tempo, sui tre anni trascorsi, c’è già una risposta al problema che avevo lanciato con il convegno Il segno del sacro inteso in modo laico, poi raccolto dalla curia. Nonostante tutto, i più aperti. Perché il pubblico dovrebbe ricordarsi dei tuoi impegni? Non obbligo nessuno. Ma si ricordano. Non gli chiedo perché, si complimentano se chiedi. Prossime mosse...? Ho finito il terzo libro del trittico su Bruno. Devo fare il volume di atti sull’intelligenza artificiale. Poi, c’è sempre il quindicinale e tutto il resto. Ma, soprattutto, vorrei trovare una via solida per le scuole. Che futuro si prevede post-Covid-19, secondo te? Ecco, questa è bella. Io penso che tutti si sono ricordati che si può anche morire. Di solito questa esperienza giova a essere meno stupidi. Siamo diventati troppo stupidi, non si ascolta nessuno, non si parla con nessuno, è sorprendente la leggerezza della cultura di molti… Spero che la paura faccia apprezzare a tutti la nostra incredibile ricchezza, rispetto alle altre generazioni. Ma temo che la rabbia che troppi hanno accumulato susciti un rigurgito di guerra anche seria. È un rischio che ci sta davanti, non credo ai profeti – bisogna lavorare perché si conservino le positività conquistate, come l’adesione alle tecnologie della scuola, che ora potrebbe davvero migliorare la propria didattica senza abbandonare i suoi meriti istituzionali. Ma occorre essere più aperti e non abbarbicarsi alle proprie abitudini.
A cura di Maurizio Vitiello |