Claudio Gallo: «Salgari, disinvoltamente, aveva eletto a protagonisti i non europei e le donne»

«Il romance contemporaneo deve moltissimo a Salgari. È il padre di una corrente letteraria, scritta e disegnata, che continua ancora oggi. Come si può constatare scorrendo l’elenco dei narratori contemporanei valorizzati dal Premio “Emilio Salgari” di Letteratura Avventurosa».
Così Claudio Gallo (n. 1950), uno dei più grandi studiosi italiani di Emilio Salgari. Ha lavorato come bibliotecario presso la Biblioteca civica di Verona dove, fra l’altro, ha realizzato alcune mostre dedicate alla letteratura popolare e ne ha curato i cataloghi. Docente di Storia del Fumetto presso l’Università di Verona, studioso della letteratura popolare, è fondatore e direttore della rivista salgariana «ilcorsaronero». È stato co-curatore della collana «Emilio Salgari – L’Opera Completa» (RCS – Fabbri, 2002, 2007) e consulente editoriale per la collana «Emilio Salgari – I Grandi Romanzi di Avventura» (Mondadori, 2011). Suo ultimo lavoro, scritto insieme a Giuseppe Bonomi, è la nuova biografia Emilio Salgari. Scrittore di avventure (Oligo, 2022), pubblicata nel 160mo anniversario dalla sua nascita e basata su testimonianze e documenti in parte sconosciuti, per offrire una rappresentazione aderente alla realtà, evitando rigorosamente interpretazioni romanzate assai diffuse in passato.


Generalmente i personaggi salgariani risultano inseriti in un accurato contesto storico, eppure lo scrittore vide mai la Malesia, l’India o il Mar dei Caraibi, luoghi dell’anima su cui sventola il vessillo della fantasia. Si è riusciti a ricostruire le fonti storiche e geografiche lette e utilizzate da Salgari?

Emilio Salgari sentiva di poter comunicare con un grande numero di lettori: giovani, vecchi, colti, ignoranti, ricchi e poveri. Era convinto che il bisogno di identificarsi in eroi autentici, forti, coraggiosi e integri avesse le sue radici nella notte dei tempi, all’origine del mito. L’Iliade, l’Odissea e i poemi cavallereschi gli erano ben noti.
I suoi compagni di viaggio erano i grandi scrittori europei di cui conosceva e apprezzava le opere: Jules Verne, Robert Louis, Stevenson, Gustave Aimard, Jack London, Fenimore Cooper. Leggeva diari di viaggio, reportages, cronache, libri di argomento scientifico, romanzi, giornali e riviste come «Il Giornale Illustrato dei Viaggi» e «Il Giro del Mondo»; studiava atlanti e portolani. Raccoglieva tutte le informazioni possibili sul mondo conosciuto e, in particolare, sul vicino e lontano Oriente: carte geografiche (che talvolta lui stesso disegnava), illustrazioni, clima, flora, fauna, usi e costumi, vocaboli esotici, lingue; dispiegando ai suoi lettori terre lontane e ignote.
Alla tradizione letteraria europea del romance aveva aggiunto qualcosa di originalmente italiano: la passione, il tradimento, gli odi, elementi tratti dal nostro miglior melodramma.
Salgari, disinvoltamente, aveva eletto a protagonisti dei suoi romanzi i non europei e le donne. Geniale e innovatrice la creazione di Sandokan, l’amatissimo principe bornese spodestato, un personaggio che poco o nulla aveva a che fare con i modelli, nella quasi totalità europei o americani, proposti dalla tradizione del romanzo occidentale.


Salgari è stato citato come uno dei principali precursori della fantascienza in Italia. Benché fosse definito il «Verne italiano», in realtà, secondo Gianfranco De Turris, «non era molto portato per la speculazione avveniristica e raramente inserì nel complesso delle sue opere marchingegni e macchinari che andassero oltre la tecnologia del proprio tempo.» Trova che vi siano eccezioni?

È vero, ha pubblicato solo le Meraviglie del Duemila e qualche racconto «fantascientifico». Ma occorre prima un ragionamento che guardi al contesto culturale del tempo.
Come è noto nella letteratura fantastica italiana delle origini, tra fine Ottocento e inizio Novecento, si individuano almeno due caratteristiche: l’elemento politico che si manifesta nell’immaginare il futuro (Giustino Ferri, Emilio Salgari…) e l’elemento positivistico caratterizzato dalla fiducia nel progresso scientifico. Gli scrittori italiani, però, manifestavano una certa sfiducia nelle scienze, nelle filosofie, nelle opzioni politiche e nelle forze della produzione – il positivismo, il socialismo e l’industrialismo – che concordi annunciavano un futuro meraviglioso. Riscoprivano la saggezza e la libertà di scrittura del letterato che si poneva dei dubbi. Perché mai – si interrogavano – il futuro dovrebbe essere necessariamente migliore del presente? Per Salgari la società nel futuro è condizionata dall’elettricità, che satura l’aria e induce l’uomo a una frenesia senza precedenti che i viaggiatori nel tempo non riescono a sopportare. Così un trapianto di testa, immaginato da Onorato Fava, ha risultati imprevedibili; quando in una novella di Capuana (L’acciaio vivente, «Il Giornale d’Italia», 1913) l’acciaina, sostanza misteriosa, viene iniettata nella vene della bellissima moglie di uno scienziato per conservarne la statuaria bellezza [1] gli esiti sono inquietanti. E così anche in Komokokis Edoardo Carot, il protagonista, sfidando le leggi che governano il mondo sotterraneo, incarnate nella linfa vitale che emana dalla strana luce prodotta dal moto molecolare della materia, sacrifica la donna amata. L’acciaina, l’elettricità, la sperimentazione chirurgica, la luce molecolare incrinano la fiducia dell’uomo nella scienza. Sembrano tutti convenire con Luigi Capuana, più che mai Emilio Salgari tanto affine allo scrittore, quando afferma che sarebbe bene che certi esperimenti dell’uomo non riuscissero mai. Tutto si tiene e non c’è nulla di diverso dalla narrativa di anticipazione di Antonio Ghislanzoni (Abrakadabra. Storia dell’avvenire, 1874) che immagina l’apocalisse futura, o di Giustino Ferri (La fine del secolo XX, 1900, ora ripubblicato dalle edizioni Black Dog) che annunciano l’irreversibile declino del mondo occidentale.


Salgari fu bistrattato dalla critica e dagli ambienti letterari. L’unico attestato di stima riconosciutogli ufficialmente fu quello della regina Margherita di Savoia che,nel 1897,gli conferì la Croce di Gran Cavaliere. Quali le ragioni dell’ostracismo?

Nella biografia recentemente pubblicata insieme a Giuseppe Bonomi (Emilio Salgari. Scrittore di avventure, Oligo, 2022) abbiamo dedicato un capitolo alla critica a cui rimandiamo. Salgari lavorò per le grandi case editrici del tempo, come Treves o Bemporad. Autori e critici come Carlo B. Salvatore Quasimodo, Grazia Deledda, Fosco Maraini, Cesare Zavattini… scrissero positivamente della sua opera. Oggi Salgari si studia anche all’università. Non si può nascondere che una parte della critica a lui coeva lo snobbò. Tuttavia l’editoria, nel nostro paese come all’estero, comprese subito la novità rappresentata da questo Tusitala scapigliato italiano.


Umberto Eco in un’intervista del 1991 dichiarò: «Fino a sei anni volevo fare il tranviere. Poi a otto anni ho cominciato a leggere Salgari e i libri di mia nonna… Così iniziai a scrivere dei racconti con tanto di casa editrice personale: Matenna, cioè matita e penna». Quanto deve il romanzo italiano contemporaneo a Salgari?

Il romance contemporaneo deve moltissimo a Salgari. È il padre di una corrente letteraria, scritta e disegnata, che continua ancora oggi. Come si può constatare scorrendo l’elenco dei narratori contemporanei valorizzati dal Premio «Emilio Salgari» di Letteratura Avventurosa.
Mi consenta un’autocitazione condivisa con l’amico Giuseppe Bonomi: «È un grande processo culturale democratico, è la modernità che passa attraverso l’opera “mediana” di Salgari, in grado di modificare e orientare le scelte tecniche dell’industria editoriale per ciò che concerne il modo di costruire “fisicamente” i libri, poiché la rivoluzione che avanza è anche estetica e riguarda la carta, l’immagine, la grafica e l’illustrazione. La sua azione letteraria mette in discussione i labili e artefatti confini tra letteratura “alta” e letteratura “popolare” (per lungo tempo e, ancora oggi, con superficialità definita “paraletteratura”), e proietta immediatamente il romance italiano nella contemporaneità novecentesca. Dopo di lui, la letteratura italiana (in barba alla storia della letteratura) non sarebbe mai più stata scritta davvero allo stesso modo, non sarebbe più stata appannaggio esclusivo di ceti intellettuali, conservatori o comunque elitari».


Lei è direttore della rivista salgariana «ilcorsaronero». Quali scopi si prefigge?

La rivista «ilcorsaronero» è nata per volontà di un gruppo di studiosi e di appassionati non solo italiani per dare voce a quanti si occupano di letteratura fantastica, di genere o, in altri termini, di letteratura «popolare». Si vuole, in particolare, valorizzare l’opera di Emilio Salgari che, tra i primi, intuì la rilevanza del romanzo d’avventure. Robert Louis Stevenson, Alexandre Dumas, Jules Verne, Gustave Aimard, Thomas Mayne Reid, James Fenimore Cooper, Karl May, Jack London, Arthur Conan Doyle furono i suoi ideali compagni di viaggio e alla loro straordinaria esperienza volle legare il suo lavoro di scrittore. Uno strumento aperto per conoscere le origini e l’affermazione della letteratura popolare in Italia e all’estero ponendo in risalto la modernità dell’opera salgariana dialogando con le istituzioni culturali (biblioteche, università, fondazioni, associazioni, ecc.). La nostra unica risorsa sono gli abbonati che da vent’anni sostengono economicamente la rivista. 


Tra narrativa e poesia, la letteratura romena è costantemente tradotta in italiano, con nomi di punta quali Ana Blandiana, Herta Müller, Norman Manea, Mircea Cărtărescu, Emil Cioran, Mircea Eliade, e la rivista «Orizzonti culturali italo-romeni» ne registra le pubblicazioni nel database Scrittori romeni in italiano: 1900-2024. In che misura pensa sia conosciuta in Italia e quali scrittori romeni hanno attirato la sua attenzione?

Purtroppo devo ammettere di conoscere poco della letteratura romena pubblicata in Italia, salvo qualche agile scorreria tra i racconti fantastici di Mircea Eliade e i saggi filosofici di Emil Cioran. Mi farebbe piacere conoscere se Salgari è stato o è ancora pubblicato in Romania e se esiste una tradizione di romanzi popolari di genere che in qualche modo possono essere assimilati allo scrittore italiano e ai grandi autori d’avventura prima citati. Ospiterei volentieri eventuali saggi.


A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 4, aprile 2024, anno XIV)



NOTE

[1] Luigi Capuana, L’acciaio vivente, «Il Giornale d’Italia», 11 agosto 1913; Onorato Fava, La casa bianca, «Il Secolo XX», nn.: 60, ottobre 1905, pp. 812-821-n. 61, novembre, pp. 907-912.