Cezar Paul-Bădescu: «Per me, la scrittura di un libro è un’esperienza di vita»

Leggere Cezar Paul-Bădescu è uno spasso. Anche quando tratta di argomenti intensi e perturbanti come la morte, le paure, le ansie. È uno spasso poiché è come un alchimista che sa dosare le parole, mescolarle, sfruttarle per trasformarle in pietre filosofali: da parole grezze si tramutano in oro. E i suoi libri, nel raccontare le emozioni e i pensieri del loro autore, raccontano qualcosa del lettore, delle sue zone di ombra, delle sue paure. Il punto è che, affrontati insieme, tutti i mostri sono meno spaventosi. In Frica de umbra mea, uscito in Romania per Polirom (2019), Cezar Paul-Bădescu affronta appunto le ombre, le proprie ombre che, in ultima analisi, sono quelle di tutti.
Scrittore, giornalista e sceneggiatore, Cezar Paul-Bădescu è stato redattore presso la rivista «Dilema», è stato caporedattore per la sezione cultura del quotidiano «Adevărul» e ha condotto per TVR2 Cartea cea de toate zilele. Nella regia di Călin Peter Netzer, ha curato la sceneggiatura del film Ana, mon amour, adattamento del proprio romanzo Luminița, mon amour (Polirom, 2006).


L’ultimo libro che hai scritto parla della morte, Frica de umbra mea («Paura della mia stessa ombra»), uscito per Polirom nel 2019; un libro che, in ultima analisi, si dimostra essere uno sulla vita. Cosa ti ha spinto a scegliere questo argomento?

Nonostante si tendi a sviare il discorso quando si parla della morte, essa continua a essere presente, anzi è strettamente legata alla vita. Se nascondiamo la testa sotto la sabbia, questo non significa che la cosa che ci spaventa sparisca. Siamo circondati dalla morte, a ogni secondo qualcuno muore, e arriva un momento in cui la questione ci riguarda da vicino: muoiono i nostri conoscenti, parenti, genitori e, inevitabilmente, noi. In Frica de umbra mea, ho scelto di non distogliere lo sguardo e di affrontare le mie paure, le mie ansie. L’ombra a cui il titolo fa riferimento non indica solo la morte, bensì anche tutte le altre ombre che ci tormentano: quelle del passato, dei traumi subiti o dell’inconscio. Per quanto riguarda la morte, non si può fingere indifferenza all’infinito, a un certo punto va affrontata e se ti eserciti in ciò sin da subito, ti sentirai più preparato.
D’altro canto, come notavi tu stessa, non è un libro soltanto sulla morte, parla anche della vita: del rapporto con i nonni, della condizione della donna nei tempi di crisi, degli amori adolescenziali rivisti attraverso il filtro della maturità, del modo in cui i mass-media giocano con noi e di cosa resta dopo che i grandi uomini che hanno scritto la storia si sono tolti la maschera.

Non solo narrativa, ma anche sceneggiatore e giornalista: quali sono le differenze tra una forma e l’altra di scrittura? Quali elementi le accomuna?

Tutte queste forme si fondano sulle parole, vi operano con le parole, ma lo fanno in modi assai diversi! Nel giornalismo, i testi devono essere funzionali, devono trasmettere un’informazione. Non è il testo a essere importante, bensì l’informazione. Quelli letterari devono essere tutto fuorché funzionali. In questo caso, è importante come viene detta una determinata cosa più di cosa viene detto. Il coefficiente letterario è inversamente proporzionale a ogni tentativo di conferire un senso pragmatico al testo: di vendere qualcosa – un’informazione, un prodotto, un’ideologia, ecc.
Molto diversa dalla letteratura è anche la sceneggiatura, il film ha un linguaggio diverso e va tenuto conto di questo. Tuttavia, l’esperienza di adattare un romanzo per il grande schermo è un’esperienza straordinaria per l’autore; poiché, tra l’altro, può vedere direttamente come gli altri interpretano ciò che egli ha scritto, cosa comprendono gli altri del suo testo, come si costruiscono i personaggi nella loro mente. Per esempio, quando ho assistito al casting del film Ana, mon amour (adattamento cinematografico del mio romanzo Luminița, mon amour) ho avuto alcune rivelazioni da questo punto di vista. Agli attori venne chiesto di interpretare una scena presa direttamente dal mio libro – si trattava di una crisi di cui il personaggio femminile è vittima in un luogo pubblico. In quell’occasione ho visto più interpretazioni della medesima scena e tra esse vi furono anche alcune soluzioni che prima non avevo preso in considerazione. Anche esse funzionavano molto bene, erano valide. Hai l’opportunità di scoprire che la tua opera è molto di più di quello che tu hai messo in essa, che ti supera, e questo ti restituisce una sensazione di straordinarietà, come quando ti accorgi che tuo figlio ti supera, il figlio della cui educazione e crescita ti sei occupato in prima persona.

Parlando di letteratura, hai detto che essa è per te autoterapia, promovendo una visione poco frequentata dai «veri» scrittori. Di letteratura parli anche in Le giovinezze di Daniel Abagiu (Ciesse Edizioni). Cos’è la letteratura per te?

La letteratura può essere molte cose, ma a me interessa in primis la sua capacità di offrirti conoscenza e soprattutto autoconoscenza. Io scrivo per conoscere e conoscermi e, attraverso questo processo, mettermi in pace con il mondo e con me stesso. Le stesse cose le cerco anche quando leggo, dalla posizione di «consumatore» di letteratura. (Scrivo consumatore tra virgolette poiché nel caso della letteratura si tratta di un processo speciale, in cui il consumo presuppone la partecipazione all’atto creativo, in quanto il lettore ri-crea un mondo sullo schema offerto dallo scrittore). Certamente, si tratta di un processo terapeutico, una sorta di seduta di analisi che tieni con te stesso, appellandoti all’anamnesi, all’esplorazione dell’inconscio, all’interpretazione dei ruoli nel psicodramma e altre questioni simili. Tutto, purché tu possa apprendere a gestire il rapporto con te stesso e con gli altri, con i traumi o i momenti di gioia, con le nostalgie e con gli amori. Per me, la scrittura di un libro è un’esperienza di vita, un’esplorazione del mio io e del mondo che mi circonda, e il libro pubblicato è un invito rivolto ai lettori perché mi affianchino e intraprendano la loro esplorazione.

Da dove prende spunto l’ironia nei tuoi libri? Nella sua essenza lo spirito romeno è il risultato di una tradizione con radici nella Grecia antica, quindi nella tragedia.

Sai com’è quando cucini e senti il bisogno di aggiungere qualcosa di acido per controbilanciare una pietanza troppo grassa o troppo dolce? Lo stesso discorso vale per l’ironia o lo spirito leggero dei miei libri. È il sughetto acidulo che accompagna un pezzo di carne grasso. Alcuni grandi chef sostengono che sia il sugo a rendere speciale un piatto. La carne è la medesima. È importante e assicura consistenza al piatto. È il sugo che fa la differenza.

In che modo scrivi? Hai abitudini particolari? Rituali indispensabili? Prendi appunti? Ti ritiri in una stanza per conciliare la concentrazione oppure riesci a scrivere in qualsiasi ambiente?

Come dicevo, la scrittura per me è una forma di autoterapia, quindi scrivo quando ne sento il bisogno. Non ho un orario prestabilito di scrittura in quanto non vivo di questo e nemmeno ho l’ambizione di rifornire il mercato del libro di un mio volume a intervalli regolari per mantenere intatta l’attenzione del pubblico in merito alla mia produzione e per raggiungere la notorietà. Non mi interessano queste faccende – e lo dico non perché non potrei raggiungerle, come la volpe con l’uva acerba, ma perché mi rendo conto che non mi farebbe sentire più felice, più appagato. So com’è, ci sono stato dentro. Per un lungo periodo, ho condotto una trasmissione televisiva quotidiana per la rete pubblica e non era raro che le persone mi riconoscessero per strada – alcuni mi fermavano per parlarmi o per congratularsi con me. (Tra parentesi, la popolarità si ottiene oggi non scrivendo libri, ma comparendo in tv – o ancora più facile – diventando blogger o influencer). A cosa possono servire queste cose? Dopo alcuni istanti in cui ti è stato solleticato l’orgoglio, ritorni ai tuoi problemi, e la fama non ti aiuta in alcun modo. Qualcuno magari mi considererà un ingenuo, ma io preferisco coltivare il mio orto, in tranquillità.








A cura di Irina Francesconi Turcanu
(n. 4, aprile 2021, anno XI)