Caterina Corni: «L’arte dovrebbe essere un po’ di più alla portata di tutti»

A giugno, la nostra inchiesta esclusiva sulla donna artista si arricchisce di una nuova serie di interviste che approfondiscono e allargano ulteriormente la prospettiva sull’argomento. Il progetto, a cura di Giusy Capone e Afrodita Cionchin, andrà avanti nei prossimi numeri, continuando ad arricchire la nostra rete per il dialogo interculturale. Tutti i contributi sono riuniti nel nostro spazio appositamente dedicato a questo progetto, Inchiesta esclusiva donna artista.
Caterina Corni, curatrice d’arte, laureata in Storia e Critica delle arti presso l’Università Statale di Milano, punta la sua attenzione all’«Outsider art», una forma d’arte pura fuori da ogni regola o dettame del mercato. Convinta inoltre che l’arte è strumento terapeutico, ha organizzato laboratori coinvolgendo pazienti psichiatrici o nel carcere femminile di S. Vittore, attività da cui le detenute hanno avuto benefici sull’equilibrio mentale. Dal 2005 ha stabilito un rapporto speciale con l’India, paese sospeso fra tradizione e modernità che le ha dischiuso nuovi orizzonti creativi.


Stante la sua personale esperienza, quali contorni assume lo status muliebre della donna artista?

Credo che il ruolo e la posizione della donna nell’arte sia profondamente cambiato nel corso dei secoli. La figura femminile ha sempre dominato la rappresentazione artistica dall’antichità ai giorni nostri, filtrata dallo sguardo maschile e spesso ridotta a una rappresentazione bidimensionale, in bilico tra peccato e santità. Le prime raffigurazioni di donne nell’arte risalgono alla preistoria, pensiamo alle celebri Veneri del Paleolitico (Venere di Willendorf, Venere di Savignano), quest’ultima caratterizzata dall’ipertrofismo del ventre, dei seni e dei fianchi, simboli di fertilità volti a enfatizzare il ruolo riproduttivo della donna, mentre la testa, sede dell’intelligenza, appare significativamente sottodi-mensionata e appena abbozzata.
Nell’iconografia classica di epoca arcaica, invece, si afferma il modello scultoreo della Kore, immagine tipizzata di un femminile eternamente giovane e imperturbabile. Altri soggetti femminili fortemente presenti nelle società classiche, dove il ruolo della donna resta marginale, sono le rappresentazioni delle divinità femminili, soprattutto Afrodite, dea dell’amore e della bellezza. Nel Medioevo la donna è presente soprattutto nella pittura sacra, complice il fortissimo influsso del Cristianesimo, dove domina incontrastata l’immagine della Vergine Maria e delle Sante, frutto di una visione teocentrica che investe tutti gli aspetti della società.
Tra il ’400 e il ’500 l’arte è dominata da nudi di Veneri e altre figure mitologiche, diretta espressione del Neoplatonismo, dottrina filosofica incentrata sui temi della bellezza e dell’amore in grado di elevare l’uomo dal regno della materia a quello dello spirito. Tra la fine del ’500 e l’inizio del ’600 comincia a delinearsi la figura della donna artista, grazie a personalità pionieristiche come la pittrice Artemisia Gentileschi e ‘l’architettrice’, che riescono a imporsi in un ambiente prettamente maschile, spianando la strada ad altre donne pittrici in tutta Europa, specializzate nella ritrattistica e nella pittura paesaggistica poiché il nudo dal vivo era loro severamente precluso, così come la frequentazione di accademie, botteghe e scuole. Per questo motivo le donne pittrici erano soprattutto figlie d’arte, che avevano il privilegio di frequentare l’ambiente intellettuale e artistico e di formarsi nelle botteghe paterne, come Lavinia Fontana, ritrattista prediletta delle gentildonne, prima donna ad aver ottenuto una commissione pubblica per una pala d’altare, e Sofonisba Anguissola, pittrice di corte in Europa, la cui fama fu tale da ottenere il plauso di Michelangelo e del Vasari che la cita nelle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori.
Sarà il ’700, sulla scia delle idee illuministe, il secolo che sancirà l’inizio del lungo cammino verso l’emancipazione femminile. Le donne dell’alta società iniziano, infatti, a egemonizzare i salotti letterari, animando dibattiti e discussioni con i più importanti intellettuali dell’epoca. In ambito artistico non si può non citare Angelika Kauffman, uno dei nomi più importanti del Neoclassicismo, la cui arte ha spaziato dalla ritrattistica alla pittura di genere storico e religioso, fino ad allora considerata genere maschile per antonomasia, e Rosalba Carriera, ritrattista veneziana, nota per l’estrema eleganza e delicatezza delle sue opere, derivanti da un passato da miniaturista. Queste poche donne, di cui ancora oggi non si parla abbastanza, hanno avuto il merito di scardinare un sistema volto a escluderle, riuscendo a ritagliarsi un posto di rilievo tra i grandi nomi della storia dell’arte.


Sprigioniamo l'Arte, opera a più mani, laboratorio di tessitura


Lei è una curatrice d’arte. Ebbene, come si accosta una donna a questa professione, quale cursus studiorum dovrebbe seguire e quali difficoltà possono incontrarsi?

Ho una laurea magistrale in Lettere e Filosofia, con indirizzo Storia e Critica delle arti presso l’Università Statale di Milano. Mio padre è un artista e posso dire di aver respirato il profumo dell’arte fin dai primi giorni di vita, mi piace dire che l’arte è la mia linfa vitale. Sono sempre stata molto determinata e focalizzata nel raggiungere gli obiettivi prefissati. L’ambiente dell’arte non è semplice, come immagino tanti altri settori, ma quello che è fondamentale (a prescindere dall’essere donna o uomo) è credere profondamente in ciò che fai e andare avanti. Sempre.

Il curatore funge da medium tra il creatore di un’opera e il suo fruitore. Qual è oggi, secondo lei, la funzione sociale dell’arte? In che modo le opere d’arte possono offrire strumenti per osservare il mondo e i suoi mutamenti?

L’arte dovrebbe essere un po’ di più alla portata di tutti. L’arte si sta allontanando da quello che dovrebbe essere il suo ruolo sociale rifugiandosi nella cosiddetta torre d’avorio e facendo riferimento a una élite molto ristretta. Per questo motivo da un po’ di anni a questa parte sto rivolgendo la mia attenzione all’Outsider art o Arte irregolare, massima espressione di un’arte pura, vera e soprattutto fuori da ogni regola e dettame del mercato.

L’Arte può assumere una funzione terapeutica?

Assolutamente sì. L’arte possiede una fortissima funzione terapeutica. Quando ero piccola i miei genitori mi davano spesso in mano cataloghi d’arte per farmi smettere di piangere, guardare le immagini delle opere d’arte mi tranquillizzava, era la mia terapia. Ho seguito diversi laboratori per mostre che ho organizzato presso lo Studio medico Boscovich, studio medico che ha sempre mostrato particolare attenzione nel rapporto tra Arte e Salute. Penso a Tutti Pazzi per l’Arte, in cui abbiamo esposto i lavori di pazienti psichiatrici oppure a Sprigioniamo l’Arte. La creatività al femminile nel carcere di S. Vittore, qui ho seguito all’interno del carcere vari laboratori di arte visiva. Le stesse carcerate hanno affermato più volte che quegli atelier erano di fondamentale importanza per il loro equilibrio mentale.


Tutti Pazzi per l'Arte, Maria, Senza titolo
tecnica mista su carta intelata, 100x120 cm

Il suo sguardo è volto sia a Oriente che a Occidente: quali sono le principali differenze e analogie con le quali si è confrontata?

Ho iniziato a lavorare con l’arte indiana nel 2005. È successo tutto dopo un viaggio, mi sono letteralmente innamorata della sua cultura, della sua arte e del suo popolo e così ho deciso che dal quel mondo non mi sarei più staccata. L’India, pur essendo una realtà fortemente diversa dalla nostra, credo abbia subìto un forte colpo dall’avvento della globalizzazione. L’India, nonostante sia (fortunatamente) ben ancorata alle sue radici, ha sempre un occhio rivolto verso occidente. Lo si riscontra nella quotidianità così come nell’arte. Ma, questi forti influssi occidentali si fondono in modo perfetto con la tradizione. L’India è un mix, ben riuscito, di tradizione e modernità.

Lei ha incontrato tante artiste. Quali ricorda con maggior afflato?

Le artiste ‘non artiste’. Penso alle Donne affette da Alzheimer, le cui mani hanno creato opere splendide. Penso alle Donne di San Vittore e ai loro lavori carichi di rabbia e dolcezza. Penso alle Donne dei villaggi tribali indiani, custodi di maestrie davvero molto particolari.

Quali sono i criteri che adotta per selezionare gli artisti e cosa ha in serbo per il futuro?

Le opere mi devono suscitare emozione. Questa è la mia unica condizione.


Jadaiya (Arte outsider), Hindu Gods, acrilico su cartoncino, 29,5x41,8 cm

Esiste un network delle peculiari professionalità tra i modelli teorici e le prassi artistiche?

Direi che, nella maggior parte dei casi, esiste una forte competizione. Non parlerei di network.

La sua storia personale può documentare ostacoli dovuti alla sperequazione di genere?

Assolutamente no, questi ostacoli non hanno mai intralciato la mia strada. Potrei affermare che si tratta di pura fortuna oppure dire che il mio approccio a questo mondo ha avuto delle sfumature maschili.

Quali sono gli ingredienti del suo codice comunicativo rispetto al ʽfemminile’?

Io guardo l’opera, non mi interessa il femminile o il maschile in questa accezione.

Quali direzioni, a suo avviso, intraprende a oggi l’iter artistico italiano e mondiale?

Da un po’ di anni a questa parte vedo un’arte molto omologata (mi riferisco a quella che ci viene proposta nei principali canali di comunicazione) e poco interessante. È come se fiere, gallerie e musei volessero seguire solo ed esclusivamente le regole del mercato. La cultura e la ricerca appartengono a un tempo passato.



Non ti scordar di me, Laboratorio di pittura



A cura di Giusy Capone e Afrodita Cionchin
(n. 6, giugno 2021, anno XI)