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Con Carola Carulli su «Tutto il bene, tutto il male»
Tutto il bene, tutto il male è il romanzo di Carola Carulli pubblicato nel 2021 da Salani Le Stanze, che scardina i nostri schemi mentali sulla famiglia, la maternità, gli stereotipi e cliché sull'amicizia fra donne.
Bisogna avere coraggio anche per essere felici, e Sveva nella casa dei suoi genitori non lo è mai stata. Sarah, sua madre, ha puntato tutto sulla bellezza e sulla conquista di un ruolo in società, per osservare il mondo da una posizione comoda. Ma a Sveva non importa dei bei vestiti o delle scuole esclusive, né di cercare un uomo perbene e un matrimonio sicuro. Per questo, ogni volta che può scappa da sua zia Alma, la mamma che avrebbe voluto, la stramba con gli occhi di colori diversi, l’irregolare di famiglia, la ribelle a cui non va mai bene niente. In lei ha trovato un’amica e una complice, qualcuno da cui imparare il senso dell’amore, l’indipendenza e – perché no? – anche gli sbagli. Se la disobbedienza è un tratto ereditario, Sveva è certa di averla ricevuta da lei e dalla bisnonna, che aveva poteri da sensitiva e che da molto lontano continua a vegliare su di loro. Quando Alma rimane incinta di Tommaso, creatura solitaria che appartiene unicamente al mare, il fragile e complicato equilibrio famigliare rischia di rompersi. Per tutti loro arriva il momento di rimettere ordine dentro se stessi o, forse, di accettare che la vita è destinata a restare eternamente inesatta e che le persone più importanti sono quelle che ti piovono addosso senza preavviso. Con delicatezza e una scrittura ricca di sfumature, Carola Carulli getta uno sguardo originale sulla maternità, sull’ambivalenza dei legami di sangue e sulla straordinaria capacità delle donne di ferirsi e di curarsi l’un l’altra.
Carola Carulli, dopo essersi diplomata al liceo classico, ha frequentato l’università Roma Tre e si è laureata in Lettere con indirizzo Comunicazione e Spettacolo. A 18 anni ha iniziato a scrivere articoli per un quotidiano locale romano e a lavorare in radio occupandosi di cronaca e costume. Ha collaborato con «I Viaggi di Repubblica» e «L’Espresso» e condotto il telegiornale, in diretta, sull’attuale canale satellitare Marco Polo (ex Inn). Ha pubblicato un romanzo dal titolo Bambole di carta (Fermenti editrice, 1998), vincendo un premio letterario indetto dalla Regione Calabria per giovani autori. Entrata in Rai con una semplice domanda, è stata chiamata per una sostituzione nel Tg2 Cultura, e dal 2001 al 2007 ha lavorato come giornalista nella redazione Spettacoli del Tg1. Nel 2007 è passata alla redazione del Tg2, inizialmente come redattrice e inviata per Costume e società, e poi come conduttrice del Tg2.
Tutto il bene, tutto il male: quali sono le ragioni insite nella vicenda narrata sottese a tale, forse, apparente ossimoro?
Nel titolo ci sono le luci e le ombre che attraversano le nostre vite e di conseguenza quelle stesse ombre e luci fanno parte delle nostre famiglie, dei luoghi in cui cresciamo, delle persone che ci mettono al mondo. Le famiglie inghiottono e partoriscono amori e odi. Ho voluto mettere in risalto le ombre, che si vedono però solo attraverso la luce.
Il suo romanzo narra di famigliari agli antipodi tuttavia legati da un laccio sentimentale inscindibile, quello della famiglia. Perché i legami parentali sono sempre così passionali, in grado, al contempo, di allontanare e attirare, congiungere e dividere, annientare e generare?
Non dimentichiamo mai le case della nostra infanzia. Le case sono fatte di episodi, di abbracci spesso mancati, di parole non dette. Le famiglie sono spesso costruzioni mentali, che si declinano anche nel mancato amore. È lì nella nostra infanzia che accade tutto, che impariamo a stare al mondo. Imperfette e indissolubili, spesso le nostre stesse famiglie generano il male, senza nemmeno saperlo. E quando lo si scopre tutto cade, tutto si rovescia è la verità ci racconta un’altra storia.
Sveva e Alma: innumerevoli contraddizioni e un dolore indicibile. Qual è l’antidoto alla sofferenza?
Non esiste un antidoto alla sofferenza. La vita è costellata da sofferenze. Esiste però una ricerca, una passione che ci deve accompagnare durante questo cammino. Ci sono persone e anime che possono aiutarci a cambiare prospettiva e sguardo. Bisogna imparare a restare in ascolto, del dolore degli altri che spesso e anche il nostro. Quel dolore va attraversato, bisogna camminarci dentro mai scansarlo. Tornerebbe a trovarci lungo il corso della nostra vita. Alma lo mostra a Sveva e la ricostruisce proprio dal suo dolore.
Lei è poliedrica nell’esternazione dei suoi interessi: scrittura e giornalismo. Quanto crede nel sincretismo culturale, nella contaminazione di mondi apparentemente da intendersi come monadi?
Ogni mondo è tanti altri. Io scrivo di persone, di notizie, di cultura. Scrivo di storie e di accadimenti culturali. Ogni evento che accade e che racconto inevitabilmente, a volte meno a volte di più, diventa parte del mio pensiero, che non è mai unico. Si cresce, si evolve, si conosce e si cambia idea. Il mio mondo, il mondo in cui viviamo, è costruito sulle storie. Scrivere un romanzo è come scrivere di realtà. È solo più divertente, fai fare ciò che vuoi ai tuoi personaggi, ma è anche più faticoso poi lasciarli andare.
Questo è un libro che gratta il fondo della sfera affettiva; vaglia meticolosamente i sentimenti, emozione, ossessione, attrazione, passione, per poi scaraventarli, di nuovo, sul fondo, senza sterili edulcorazioni. Qual idea ha voluto che emergesse dei rapporti umani?
I rapporti umani sono complicati, incostanti e spesso ipocriti. Nel libro racconto l’egoismo, la mancanza di coraggio, le ossessioni per la perfezione. Alma costruisce, mentre lei è una città ferita fin da bambina, eppure riesce a comprendere gli altri, laddove gli altri hanno buchi più grandi di lei. Non giudica, è una donna nuova, rivoluzionaria, libera. Dal giudizio degli altri che è la prima forma di prigione che conosciamo. Quando smetteremo di preoccuparci dei giudizi altrui, saremo veramente liberi. Di essere ciò che siamo davvero per dare il meglio di noi al mondo.
In un tempo politico, sociale ed economico che grida l’impellente bisogno di tessere un dialogo con sé stessi, la conflittualità interiore può essere lenita dalla scrittura?
La narrazione è un valore che si aggiunge al nostro vivere, sia che si scriva un romanzo sia che si racconti una Storia. Perché siamo fatti di storie, l’umanità è andata avanti con quelle. Saperle scrivere e tramandare è sì il valore aggiunto. Perché siamo memoria, nostra personale e degli altri. Il presente è un nanetto sulle spalle del passato, ma è il passato che lo fa guardare lontano per vedere ciò che accadrà.
Scrittura e lettura sono le facce della stessa medaglia. A me hanno fatto bene entrambe da quando sono bambina. Ogni conflitto è personale come la soluzione. L’importante è fare ciò che ci rende felici, e trovare il coraggio per farlo davvero.
A cura di Giusy Capone
(n. 12, dicembre 2021, anno XI)
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