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Carmen Trigiante: «Penso che il femminismo debba essere recuperato e approfondito»
Maternità imPropria è il tema di riflessione e discussione che ci propone Carmen Trigiante nel suo ultimo libro incentrato su questo argomento che ancora oggi è altamente scottante nella società. Uno stereotipo consolidato nei secoli e che sembra non volere in alcun modo sgretolarsi.
Il saggio ripercorre le tappe del concetto di maternità nella Storia, dal matriarcato al periodo fascista, affronta il problema delle aberrazioni legislative, della legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita, e delle difficoltà di programmare un approccio genitoriale nel mondo del precariato, infine approda su un terreno nuovo e personale, frutto della filosofia postantropocentrica, postumana ed epicurea dell’autrice.
Carmen Trigiante ama, infatti, definirsi artista filosofa postantropocentrica che si dedica alla sceneggiatura, alla regia di webseries su temi sociali e animalisti, alla collaborazione con importanti magazine culturali. Con la scelta di praticare l’Arte pittorica e letteraria in maniera itinerante, cerca la simbiosi creativa uomo-Natura, nei significati emozionali dei suoi colori. Ha creato il brand artistico-letterario Arte Libri Filosofia Itinerante.
«Noi della ‘Generazione senza figli’ siamo come l’Odradek di Kafka, quell’oggetto simile a un uomo, che appare però privo di senso». Qual è il supposto, ipotetico, immaginifico motivo addotto, generalmente, da chi circonda una donna priva di prole?
Generalmente, quando gli ‘inquisitori’ si sono sincerati, perlopiù con indelicate domande, del fatto che la mancanza di figli sia una scelta e non una necessità dovuta a ‘handicap procreativi’, emerge il giudizio sulla donna, additata come «egoista, interessata all’esclusiva realizzazione di sé stessa e priva di istinto materno».
Bisognerebbe domandare a chi mette in scena certe allucinazioni se ha ben chiaro quale sia l’istinto più egoistico presente nell’uomo. Scientificamente e filosoficamente, è proprio l’istinto riproduttivo. La natura ha radicato nei viventi un istinto talmente forte da annientare spesso ogni capacità razionale, in ossequio al bisogno dell’uomo di travalicare i limiti temporali e biologici del proprio corpo, consegnando la propria eredità genetica ai posteri. Premesso che non intendo con questo accusare di ‘egoismo insano’ gli aspiranti genitori, né additare l’istinto riproduttivo di cui la natura ci ha intelligentemente dotati, è mia priorità sfatare il luogo comune che dietro la procreazione naturale ci sia un valore altruistico, e dietro la scelta di non procreare, o di procreare utilizzando gli strumenti scientifici oggi disponibili, ci sia un movente egoistico.
La disistima che avvilisce le donne e le rende oggetto di stereotipi e cliché ha ragioni culturali e dove ha condotto?
Ha ovviamente origini culturali, che traggono forza nel patriarcato da sempre vigente, seppur attraverso fasi alterne e differenti. Il risultato di questa forma di schiavitù subdola, che vuole ricondurre la donna a un ruolo stereotipato di mamma (anche laddove non più moglie) devota alla sola causa riproduttiva, dando valore e riconoscimento sociale alla donna-ma-donna, impone ancora alle nostre contemporanee una inaccettabile violenza psicologica, ed è una delle cause delle violenze di genere. Pensiamo alle reazioni veementi verso quelle donne che, a un certo momento della loro vita, scelgono di sottrarsi alle forme antropocentriche vigenti in famiglia e nella società e cercano una diversa emancipazione di sé e della propria individualità.
Il tema della ‘maternità surrogata’ è fortemente divisivo. Reputa che possa essere considerata quale un paradigma decisivo per declinare una nuova grammatica filosofica?
Come spiego nel mio saggio, la maternità e la genitorialità iniziano laddove c’è un atto d’amore. Ciò prescinde dalla modalità con la quale il processo riproduttivo ha origine. Oggi la scienza mette nelle condizioni un malato di rene di poter sopravvivere grazie al rene di un donatore. Un cadavere, in sostanza. Per quale ragione logica dovremmo scandalizzarci laddove a essere donato (temporaneamente) fosse l’organo che consente la procreazione? Una riflessione attenta ci pone sui binari della coerenza, che credo sia imprescindibile quando si parla di un approccio filosofico e bioetico.
Quali sono le difficoltà nel programmare un approccio genitoriale nel mondo del precariato?
Il capitalismo individualista ha smembrato il senso di gruppo e, per questa ragione, il precariato investe non solo la vita lavorativa dei giovani, ma la vita emotiva, affettiva e la capacità di autodeterminarsi nel mondo. Le certezze che aveva la generazione precedente, ormai offuscate, erano proprio quelle che consentivano, nel bene o nel male, una programmazione famigliare stabile.
Il suo è un saggio etico-filosofico che ripercorre le tappe del concetto di ‘maternità’ dal matriarcato al periodo fascista, affrontando il problema delle aberrazioni legislative e della legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita. A quali conclusioni è giunta, considerando il terreno della filosofia postantropocentrica, postumana ed epicurea su cui si muove?
L’importanza di una prospettiva postumana si scopre maggiormente in una società che ha perso i riferimenti precedenti e brancola nel vuoto valoriale. Oggi si avverte la necessità di emanciparsi da una mentalità antropocentrica ormai desueta e riscoprire sé stessi come elemento della grande macchina cosmica: una immensa catena, nella quale ogni anello ha pari valore ed è in grado di comprendere che la propria sopravvivenza è vincolata alla capacità di costituire rapporti equilibrati con gli altri, umani e non umani.
La scrittura contemporanea può annoverare letterate illuminate, vere pioniere quanto a innovazione e rispetto della tradizione. Qual è l’attuale status della letteratura esperìta da donne?
Oggi, sembra dato per scontato, quasi fuori moda, parlare di femminile, in ogni campo. È come se la donna avesse raggiunto tutto ciò che poteva sperare e dovesse tenersi stretto lo scettro al quale poteva ambire. Sembra quasi che parlare di temi legati al femminile sia diventato un cliché, capace di sconfinare nel banale, o, peggio, nel saccente. È come se ci si sia stancati di questa battaglia e le ultime guerriere debbano calibrare bene i fucili, prima di fare fuoco. I fucili sono le parole, quelle che incidono sulla carta il sangue gettato da generazioni di donne, in uno stillicidio che giunge ai nostri giorni. Non sono d’accordo con il tentativo di edulcorare il problema, di tradurlo in sordina, per relegarlo in un angolo, dal quale esso può urlare «Presente!» all’appello, ma senza dar troppo fastidio. Accade nel mondo del lavoro, accade nella letteratura, laddove si citano temi importanti, senza però addentarli, sbranarli, per paura di quel politically correct che va tanto di moda.
Sullo status della letteratura contemporanea, direi che ci sono sempre, come in ogni epoca, quelle onde anomale che travolgono tutto con la propria forza e portano nuova linfa. Se parliamo di bestseller, possiamo citare il caso della Ferrante, che, usando le parole del «The Wall Street Journal», «dimostra profonda comprensione nei confronti dei conflitti e degli stati psicologici dei suoi personaggi».
Oppure di Cristina Caboni, con La rilegatrice di storie perdute, che ci riporta al primo Ottocento, quando alle donne era proibito esercitare la professione di rilegatrice, affrontando il problema delle donne che lottano per la propria indipendenza. Abbiamo poi, soprattutto nella letteratura di nicchia, autrici di straordinaria bravura, spesso anche autoprodotte, che non temono il confronto con le ‘linee editoriali’ e perciò sono capaci di portare nuova linfa al mondo della cultura. Potrei citare la talentuosa Roberta Mezzabarba o la blogger Patrizia Zito, che ho avuto modo di conoscere personalmente e che toccano temi radicali, con spregiudicata franchezza.
Dato che il confine dell’arte travalica quello delle vite umane, e qualche anno non può fare differenza nell’immenso scenario della comunione di intenti, vorrei citare colei che, secondo me, è riuscita a racchiudere in un solo libro il dramma di essere donna, nel dibattuto scontro tra maternità, aborto, bisogno di emancipazione: Oriana Fallaci, con l’indimenticabile Lettera a un bambino mai nato. Tra le pagine struggenti, si coglie tutto il disagio di un mondo femminile mai pienamente accreditato e succube di una mentalità dura a morire. L’identificazione donna/mamma è insita in primis nelle donne, instillata da una società che non ha alcun interesse a concederci la giusta emancipazione.
Le scrittrici sono e sono state sensibili a diverse ideologie, visioni del mondo, sensibilità politiche e filosofiche; personalità diverse tra loro e spesso assolutamente inconciliabili. Riesce a scorgere un fil rouge che annoda le plurime e molteplici anime della letteratura declinata al femminile?
Direi che la sensibilità verso il dramma di vivere è presente nelle autrici su menzionate, ma anche in tante altre. Ciò che fa grande una scrittrice è la capacità di scavare nei propri personaggi, di presentarli ‘a cuore aperto’, come in un intervento dove il pubblico avrà il bisturi per estirparne la sofferenza e analizzarla, senza temere il giudizio, senza temere di scandalizzare, uscendo da quei confini che sono stati stabiliti come leciti, ed entro i quali la massa si muove, per non venire additata. Destino di un pensatore/pensatrice è quello di essere additato. È sempre stato così, e così continuerà a essere: il pensiero porta all’innovazione, e fa paura. Siamo già fortunati rispetto a Giordano Bruno sugli esiti di questi attacchi conservatori.
Quale significato assume, oggi, il termine «femminismo»?
Mi fa specie vedere che oggi si prendano le distanze da questa parola, come se rappresentasse un passato ormai deposto, contenente una radice marcia, e dal quale occorre affrancarsi. Non sono d’accordo. Probabilmente non si comprende il senso e l’importanza della rivoluzione femminista, non si tiene conto che, grazie a essa, possiamo godere di diritti che in altre parti del mondo sono utopia. Soprattutto non ci si rende conto che non si può abbassare la guardia, in nome e per rispetto di quelle nostre nonne che sono state massacrate, fisicamente e psicologicamente. Oggi si leggono poco i testi di grandi autrici come la De Beauvoir, mentre bisognerebbe farli studiare nelle scuole, e questo non per negare una evoluzione culturale in atto, ma proprio in virtù di questa. Conoscere la radice, la fonte e le ragioni profonde che hanno originato un movimento è condicio sine qua non per trovare la giusta strada. Non credo che il femminismo debba andare in pensione per timore di inficiare un rapporto di equilibrio uomo/donna, giacché la violenza non è ancora andata in pensione, giacché la donna vive ancora una situazione di disagio e pericolo. In uno dei miei romanzi, Tornano ad ardere le Favole, ho inserito un contributo emozionale di Carlo Maurizio Rositani, papà di una vittima di violenza domestica, Maria Antonietta, che oggi racconta al mondo la sua terribile esperienza, da sopravvissuta al rogo con cui l’ex marito ha cercato di ucciderla. Ciò che impressiona maggiormente è la totale assenza dello Stato, in situazioni come queste, laddove le vittime vengono spesso abbandonate alla mercé del proprio carnefice, fino alla triste conclusione. Queste voci non possono essere spente, e qualcuno deve farsi carico delle loro istanze. Ritengo, dunque, che il femminismo debba essere recuperato e approfondito, sulla strada di un progresso evolutivo che inglobi le esigenze di entrambi i sessi, e che apra nella direzione degli altri ‘abusati’ dal sistema antropocentrico in cui ancora viviamo: gli animali e la Natura.
Si può diventare l’eroina della propria storia oppure il miglior sidekick del mondo per un’eroina di proprio gusto. Si può diventare colei che fa cambiare l’organigramma di una redazione oppure colei che diffonde la notizia che l’organigramma è mutato. Si può diventare colei che contribuisce a redigere le leggi che ci conducono a una società più equa e libera dalla paura del diverso oppure colei che quelle leggi le vota. Come si fa la rivoluzione femminista?
Studiando. Trovo superflua ogni altra parola, che non sia questa.
A cura di Afrodita Cionchin e Giusy Capone
(n. 6, giugno 2022, anno XII) |
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