Il teatro di Carlo Goldoni. In dialogo con Carmelo Alberti Carmelo Alberti, professore presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, insegna teoria e storia del teatro e dello spettacolo, antropologia teatrale, ed è direttore responsabile di «Venezia Arti», Bollettino del Dipartimento di Filosofia e Beni culturali della stessa università. È membro dei comitati scientifici di alcune prestigiose riviste come «Arts and Artifacts in Movie - AAM TAC - Technology, Aesthetics, Communicarion. An International Journal», della «Rivista di letteratura teatrale» e direttore della collana editoriale «La fenice dei teatri» presso l'editore Bulzoni di Roma. In più è critico teatrale, collaboratore di vari quotidiani e delle riviste «Histrio», «Ariel», «Venezia Arti», «Drammaturgia».
Nel XVIII secolo il primo veicolo di diffusione del teatro è costituito dai commedianti che viaggiano per le contrade dell’Europa, recando con sé il loro repertorio oppure le commedie che hanno avuto successo sulle piazze teatrali più importanti. I teatri di Venezia sono quelli che coinvolgono in ogni stagione le migliori compagnie e che influenzano maggiormente l’attività scenica delle altre città italiane e straniere. Per esempio, Cesare Darbes, il Pantalone sulla cui abilità Goldoni definisce uno dei passaggi più incisivi della sua «riforma teatrale», nel 1749 lascia la città lagunare alla volta della corte di Augusto III, Elettore di Sassonia e re di Polonia, dove recita fino al 1756 nella compagnia italiana. L’attore porterà con sé i copioni goldoniani, al punto che il suo pezzo forte, I due gemelli veneziani, pare che venga triplicato per dimostrare la sua versatilità. Contano, poi, gli scambi e le relazioni fra i letterari, oltre che l’attenzione dei viaggiatori che giungono a Venezia e che, nel ripartire, portano con sé i testi acquistati presso i librai lagunari. Un grande italianista, Ramiro Ortiz, italiano ma fondatore dell’insegnamento di italianistica in Romania all’inizio del Novecento, ha dedicato un interessante studio al periodo francese di Goldoni. La sua tesi è che nella sua attività parigina Goldoni è stato animato dall’ambizione di competere con Molière. Come considera Lei questa interpretazione e in genere come vede il confronto Goldoni-Molière? Passiamo dalle libertà alle limitazioni: in una conferenza di un secolo fa su Goldoni, Nicolae Iorga, grande storico e letterato romeno, osservava (e ammoniva i romeni) che il comico di Goldoni non è mai volgare. Mi sono ricordata di questa fine osservazione assistendo di recente a Bucarest a due spettacoli goldoniani particolarmente volgari. Secondo Lei quali sono i principali pregi del teatro goldoniano che nessun regista dovrebbe tradire? Credo che sia difficile «tradire» i grandi scrittori: quando capita di assistere a rappresentazioni scadenti dei capolavori di Shakespeare, Molière, Goldoni, Pirandello, s’avverte comunque il respiro di una drammaturgia solida, che emerge al di là dei travisamenti. Le esigenze di coniugare tradizione e sperimentazione possono scadere in soluzioni improbabili, ma l’unità di misura rimane il giudizio dello spettatore. La commedia goldoniana possiede il pregio di essere un perfetto congegno scenico, che fin dalla prima battuta immette nell’azione e che utilizza a pieno la capacità di coinvolgere il pubblico nell’osservazione del «mondo». Perciò rimane un autore attuale: non è un caso che nel corso degli anni si siano accentuate le letture critiche sulla drammaturgia di Goldoni, mentre le sue commedie hanno mantenuto una presenza costante nei cartelloni dei più importanti teatri italiani ed europei. La novità è costituita dal fatto che sempre più, dal primo Novecento ad oggi, l’interpretazione goldoniana ha avuto impulso dagli esiti delle messinscene, da ciò che i registi e gli artisti hanno sperimentato direttamente sui palcoscenici. Sul fronte delle ricerche si sono raffinate le tecniche d’indagine storico-filologica, mai slegate dalle finalità espressive. Però è dai palcoscenici che, per lo più, proviene la sollecitazione a riaprire di continuo il caso Goldoni, a riannodare i fili di una vicenda umana e artistica davvero esemplare, che non smette ancora di sorprendere e di interessare. Capita spesso che si confonda la riforma goldoniana con il teatro delle maschere. Con Il servitore di due padroni Goldoni rende omaggio alle qualità interpretative del Truffaldino Antonio Sacco; anche Strehler ha saputo creare uno spettacolo che esalta la magia del teatro all’improvviso, con la consapevolezza di rendere contemporanea l’arte dei comici del passato. In ogni caso non si tratta di slealtà, ma piuttosto del proposito di ritrovare il respiro di un gioco linguistico e mimico che ha contrassegnato l’esperienza culturale dell’Europa moderna. Le Memorie di Goldoni sono un testo succoso sul Settecento veneziano e un’informazione preziosa sul loro autore. Che cosa ci insegnano le Memorie sul teatro goldoniano e sul teatro in genere? Nel Settecento la modalità dell’autobiografia si propone come il passaggio necessario per definire le vocazioni e le affinità, anzitutto in ambito letterario. Le «memorie» goldoniane hanno un elemento in più, rispetto ai modelli in auge; si presentano come un ragionamento sulla dignità artistica della professione teatrale. Inoltre, il commediografo veneziano definisce, spesso, intorno alle sue opere una cornice esplicativa che sia in grado di dimostrare il forte legame fra il «mondo» e il «teatro». Nelle Memorie conta principalmente il senso di responsabilità di colui che scrive e che deve analizzare le vicende del suo tempo con equilibrio e rispetto. Lei non è solo uno studioso di Goldoni ma anche un professore che parla di Goldoni ai suoi studenti. Che interesse dimostrano i giovani e che cosa considera essenziale trasmettere loro su questo autore? Spesso, durante le lezioni, capita di accorgersi che si sta trattando un autore sconosciuto ai più. Al pari di altri episodi rilevanti della cultura, si tende a preferire una conoscenza basata sugli stereotipi. A mio parere non c’è un metodo specifico per superare tale ostacolo. Si tratta di rendere ogni esperienza storica un aspetto della nostra contemporaneità. Con gli studenti aiutano molto le immagini, le proiezioni e i resoconti biografici; e Goldoni offre molte opportunità, in tal senso. Un’ultima domanda sulla spinosa questione dell’edizione critica nazionale delle opere goldoniane. Si sa che si tratta di un’impresa vasta e complicata, date le numerose edizioni settecentesche che si intersecano l’una con l’altra, il numero ingente di componimenti teatrali di vario genere e non solo teatrali, le numerose varianti di ogni singola opera. In che stadio si trova ora questo lavoro? Le edizioni delle opere di Carlo Goldoni si susseguono, fortunatamente, nel corso degli anni con un interesse sempre maggiore. Mentre la crescente attenzione filologica sta producendo una mappa attendibile delle stampe goldoniane, si conferma la disposizione del commediografo veneziano a trascrivere, stampare, correggere e ristampare, soprattutto i testi destinati al palcoscenico, alla stregua di un lavoro ininterrotto quanto necessario, in virtù dell’estrema labilità della parola rappresentata, che comunque deve passare attraverso la mediazione degli attori e il vaglio degli spettatori. Dopo la grande raccolta approntata da Giuseppe Ortolani, che risale ai primi anni del secolo scorso, si è voluto proporre una Edizione Nazionale delle opere di Goldoni, basata sulle stampe curate dall’autore dal 1750 agli anni ultimi della sua vita, allo scopo di definire l’evolversi della scrittura goldoniana nel corso del tempo. Da qui deriva l’utilità di stampare un apparato di varianti per ciascuna opera, per giungere a una fisionomia definitiva. La collana pubblicata dalla Marsilio Editori di Venezia procede bene, anche se il numero di testi ancora da stampare è troppo vasto rispetto alla povertà delle risorse economiche disponibili. Fino ad oggi sono stati editi 60 volumi circa, fra i quali vi sono, oltre le singole pièce, delle raccolte di libretti, intermezzi e scritti polemici. Tra le ultime proposte si trovano: Introduzion, Prologhi, Ringraziamenti (2012), Drammi comici per musica (2013), La scuola di ballo, Il festino (2015), Artemisia (2016). Ma per ogni volume s’impongono scelte specifiche, però penso che occorra fornire al lettore e allo studioso lo strumento per poter eventualmente approfondire le singole problematiche. Tuttavia nel corso degli anni si è convenuto di privilegiare la coerenza dei testi affinché essi possano restituire la grandezza di Goldoni.
Intervista realizzata da Smaranda Bratu Elian
(n. 4, aprile 2016, anno VI) |