«Cattolici e ortodossi, le divergenze non sono insormontabili». Parla il cardinal Gualtiero Bassetti Un gesto simbolico nei confronti di un Pastore per esprimere gratitudine e affetto a un’intera comunità. Va letto così il conferimento, lo scorso 12 luglio, del titolo dell’«Ordine Nazionale “Servizio fedele” in grado di Gran Croce» al cardinal Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, da parte dell’ambasciatore di Romania presso la Santa Sede, Bogdan Tataru-Cazaban, a nome del Presidente della Repubblica romeno Klaus Iohannis. L’onorificenza, la più alta che venga concessa dal Presidente della Romania anche ai cittadini stranieri, è stata conferita al cardinal Bassetti – secondo quanto si legge nella motivazione ufficiale – «per la promozione della dignità della persona umana e del dialogo interconfessionale, per il sostegno accordato alla comunità romena e alla Diocesi Ortodossa Romena d’Italia, contribuendo in particolar modo allo sviluppo dei rapporti tra la Romania e la Santa Sede, in occasione della ricorrenza dei 25 anni dal ripristino delle relazioni diplomatiche tra i due Stati».
Sono commosso e onorato nel ricevere questo altissimo tributo che il Presidente della Romania ha voluto conferirmi. Allo stesso tempo lo accolgo come un segno del sentimento di grande vicinanza da cui mi sento legato al popolo romeno, che ha tanto sofferto in passato. Vicinanza rafforzata dalla comune fede cristiana. Sì, sono stato in Romania diverse volte. È un Paese bellissimo, con la natura spesso ancora incontaminata e con scorci paesaggistici assai suggestivi. L’ultima volta che l’ho visitata è stato nel 2012, insieme ai vescovi dell’Umbria. L’impressione che ho avuto è stata quella di un Paese in lenta ripresa. Si notava la trasformazione di Bucarest in una moderna città europea, con nuovi edifici pubblici, grandi supermercati e centri commerciali. Ho notato anche le difficoltà di comunicazione per la mancanza di autostrade, che pure si stanno costruendo. Soprattutto mi ha colpito lo spirito religioso in ripresa ovunque e il lavoro delle Chiese ortodossa, cattolica e greco-cattolica per riorganizzarsi dopo le persecuzioni del passato e intraprendere il cammino di evangelizzazione verso un popolo che ha sete di verità e di Dio. Chiesa ortodossa e società romena presentano aspetti e figure diversi, non di rado contrastanti: quali di questi l’hanno colpita di più, e perché? Ho avuto la grazia e la gioia di incontrare il patriarca Daniel e di apprezzarne il sincero spirito ecumenico. Anche i vescovi cattolici e greco-cattolici hanno mostrato il volto di una Chiesa viva che, superato il tempo della prova, è capace di offrire una forte testimonianza del Vangelo in una società aperta, come ho detto, alla dimensione dello spirito, ma, inevitabilmente, soggetta al fenomeno della secolarizzazione. Si è fatto degli amici in Romania e tra i romeni in Italia? Direi di aver conosciuto e stretto legami con molti fratelli nella fede cristiana. In Italia custodisco una speciale amicizia con il vescovo Siluan e sono molto vicino anche a diversi parroci romeni che operano da noi. Per quanto Lei sa, in quali diocesi cattoliche italiane si sono sviluppati i più fruttuosi rapporti tra comunità cattoliche e comunità ortodosse romene? È a conoscenza di attività comuni durevoli, quindi non occasionali o di rilevanza solo formale? Qui in Umbria i rapporti sono molto buoni e fattivi, specie a Perugia e a Terni, dove le comunità romene sono più numerose. Ma anche da tante altre diocesi italiane vengono segnali di un’ottima collaborazione tra le due comunità. Posso citare Lucca, dove sono stati celebrati da poco i dieci anni di presenza della Diocesi Ortodossa Romena. Ad Arezzo, la diocesi che ho guidato per dieci anni. A Torino, dove esiste una delle comunità più numerose d’Italia, intorno alla parrocchia di santa Parascheva, sono nate vocazioni al sacerdozio tra i giovani della seconda generazione. Come non ricordare il Rev. Traian Valdman, figura storica della chiesa romena di Milano, dove è stato uno degli animatori più convinti del Consiglio delle chiese cristiane, voluto a suo tempo dal cardinale Carlo Maria Martini. So poi che c’è ottima collaborazione a Verona, Padova, Lanciano-Ortona, per citarne alcune. Ma le realtà sono tantissime: in Italia ci sono più di duecento parrocchie della Chiesa Ortodossa Romena, che sono punto di riferimento per oltre un milione di persone. La Chiesa cattolica esprime da diversi anni un’accoglienza fraterna verso le comunità ortodosse romene presenti in Italia, con la concessione di chiese dove poter celebrare e svolgere attività pastorale. Umanamente ciò vale alla Chiesa cattolica un’apertura di credito in ambito ortodosso, ma Lei crede sinceramente che così stiano le cose anche sul piano di un auspicabile superamento dei dissensi dogmatici e disciplinari? I vescovi italiani non hanno avuto esitazione ad aprire le loro chiese, magari non più utilizzate, alle comunità cristiane presenti nel nostro Paese. Sono tantissime le comunità ortodosse che possono ritrovarsi in un luogo sacro per poter celebrare le loro liturgie e vivere i misteri della fede secondo la loro tradizione. Questo fatto ha permesso di favorire l’incremento della fede cristiana e lo stabilirsi di tante relazioni di amicizia e di stima che, già di fatto, rappresentano un primo concreto passo nel senso della comunione. Quali reali ostacoli incontra oggi il rapporto – serio, sostanziale, non di facciata – tra Chiesa cattolica e universo ortodosso? Mi sembra che l’ostacolo principale sia di carattere dottrinale: cioè il ministero petrino. Non dimentichiamo che san Giovanni Paolo II, nell’enciclica Ut unum sint, diceva di sentirsi interpellato a «trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra a una situazione nuova». Papa Francesco, presentandosi semplicemente come «Vescovo di Roma», ha raccolto fin da subito molta simpatia e stima da parte dei fratelli ortodossi. Una commissione mista internazionale è al lavoro da anni per studiare le affinità e le divergenze dogmatiche, che non sono insormontabili… In Romania non sono ancora per nulla cordiali i rapporti tra Chiesa ortodossa e Chiesa cattolica di rito orientale (i cosiddetti greco-cattolici): cosa può fare Roma per dare una mano a entrambi? Certo, i problemi di convivenza non mancano mai, ma con la buona volontà si possono superare. La Chiesa greco-cattolica ha ora piena libertà, anche se qualche volta si sente un po’ stretta. È una storia di secoli che pesa. L’invito che posso rivolgere è quello all’amore fraterno. Le Chiese cristiane devono sempre più imparare, non solo a rispettarsi – che è il primo gradino – ma ad amarsi sinceramente per dare una testimonianza concreta del Vangelo di Gesù. Lei è molto amato dalla comunità cattolica e dalla comunità romena: quale invito cordiale e franco vuole rivolgere ad entrambe? L’invito è comune: in tempo di grande secolarizzazione i cristiani di tutte le confessioni hanno un solo impegno, quello di testimoniare l’amore di Gesù per l’umanità e la bellezza della vita cristiana. In questo non c’è differenza. Accogliendo l’invito di Papa Francesco nella sua ultima enciclica Laudato si’, c’è poi un terreno molto concreto sul quale possono operare concordemente e offrire un buon esempio al mondo: è quello della vicinanza agli ultimi della terra, messi ai margini da una società egoista, e quello della sfida ambientale, del rispetto del creato, che molti esponenti delle Chiese Ortodosse stanno sostenendo da anni, addirittura sfidando i potentati economici mondiali, i quali in molti loro atteggiamenti si dimostrano incuranti della distruzione di questo mondo meraviglioso, l’unico luogo di vita per tutti.
A cura di Giovanni Ruggeri
(n. 9, settembre 2015, anno V) |