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Bruno Mazzoni: «C’è un nuovo interesse in Italia per la letteratura romena»
Bruno Mazzoni è un noto romenista e traduttore di due prestigiosi protagonisti della letteratura romena contemporanea, Ana Blandiana e Mircea Cărtărescu, autori che così si raccontano, ripensando agli anni bui del comunismo: «Noi non abbiamo vissuto nemmeno per un istante, fin oltre i trent’anni, nella realtà, ma in un sottomarino giallo dove tenevamo i nostri libri, i nostri incontri del lunedì. Noi siamo stati liberi in quegli anni, liberi nei sotterranei, ed eravamo felici di fare, senza pensare affatto a pubblicare, la nostra poesia ‘underground’» (M. Cărtărescu).
Professor Mazzoni, lei traduce in Italia Mircea Cărtărescu: cosa l’ha orientata verso questo scrittore?
Non conoscevo di persona Mircea Cărtărescu, ma la sua creazione letteraria mi ha colpito fin dalla lettura di Nostalgia, che in realtà era apparsa dapprima in versione mutila col titolo Visul. Per ragioni editoriali ho iniziato a tradurre il romanzo più breve, Travesti, che ha poi convinto l’editore ad affrontare anche altri, più impegnativi romanzi cartareschiani. La finezza del tratto, pur nella piena autocoscienza della sua statura letteraria, e la mitezza della persona hanno conquistato me e insieme il pubblico dei lettori che hanno avuto modo di ascoltarlo in incontri e presentazioni varie in giro per l’Italia.
Quale è la peculiarità della poesia e della scrittura narrativa cartareschiana?
L’intertestualità presente, poniamo, in testi quali Poema chiuvetei ovvero O seară la Opera è un vero banco di prova per il lettore che non abbia familiarità con la storia della poesia romena e con la sua lingua; figurarsi per il traduttore che traspone per un pubblico del tutto digiuno di quella tradizione culturale e letteraria. Ma anche tante espressioni idiomatiche, o gergali, non sono certo problema da poco. In buona sostanza, nell’atto traduttivo è la complessa commistione stilistica il vero nòcciolo dei problemi di lingua da affrontare. Quanto alla prosa, quella di Cărtărescu è una prosa affascinante, seduttiva, commista di registri alti e bassi, di un metalinguaggio scientifico, neuronale o solo medico, e di espressioni quotidiane e talvolta gergali. Ciò che mi pare segnarne il carattere originale specifico è la capacità di creare universi finzionali, perfettamente coerenti e credibili, fantastici eppure reali quanto il mondo che denota il joc prim in cui qualcuno ci ha gettato a vivere, simili a dadi su un panno verde di un tavolo da gioco.
Ana Blandiana è l’altra sua grande autrice. Quali sono le suggestioni più toccanti della sua poesia?
Il tema dell’innocenza in parte perduta, il silenzio in quanto «tăcere», il fascino dell’arte classica (si legga Apollo) e della musica, il dialogo con elementi mitici archetipali (ad esempio Baladă). Ai poeti che hanno debuttato a metà degli anni Sessanta il pubblico chiedeva di trasmettere una visione umanisticamente nuova, o forse antica, di recuperare l’io lirico, di ridare senso e spessore alle parole, di militare per la verità.
Impresa non di poco conto anche per chi traduce.
Il problema più difficile da affrontare nella traduzione di un poeta risiede nella maggiore o minore capacità di restituirne la voce lirica senza ‘tradire’ eccessivamente il timbro ovvero la tonalità della sua identità poetica. E qui devo rilevare la testura dolce-grave delle creazioni di Blandiana, in cui si risentono le suggestioni e gli echi della tradizione lirica blaghiana... nonché l’ars combinatoria – come lei stessa scrive – in cui una certa oscurità «slava» si coniuga con la solarità «romana».
Il libro di Blandiana edito da Donzelli è stata una sorpresa per tutti, dai traduttori – non trascurerei il ruolo di Biancamaria Frabotta, ottima docente all’Università di Roma La Sapienza e poeta di grande sensibilità e rigore intellettuale – fino all’editore. Grazie al volume citato, a Blandiana sono stati assegnati il Premio speciale «G. Acerbi» per la Poesia e il prestigioso Premio internazionale Camaiore di Poesia, con recensioni assai favorevoli e con successivi inviti a numerosi festival in Italia.
Come caratterizzerebbe, in generale, la poesia romena nata sotto il regime?
Si tratta di autori formatisi in prevalenza in facoltà umanistiche, a numero chiuso, con ottimi docenti. A Bucarest sono stati giustamente famosi i Cenacoli di poesia e di prosa guidati da due critici di eccezione: Nicolae Manolescu e Ovid Crohmălniceanu. Da lì sono venuti fuori i poeti e gli scrittori (si pensi a Desant ’83, ristampato) che non hanno avuto granché da negoziare con un regime ormai in stato preagonico, il che ha dato loro la massima libertà consentita di scrittura. Come ha detto Cărtărescu in una celebre intervista: «Abbiamo vissuto realmente nella letteratura, abbiamo mangiato, come si usa dire, ‘pane e poesia’, abbiamo amato più nei poemi che nella realtà, abbiamo abitato più in una Bucarest racchiusa in un verso – che così assomigliava parecchio a New York – che non nel buio e nel freddo della capitale reale. [...] Noi non abbiamo vissuto nemmeno per un istante, fin oltre i trent’anni, nella realtà, ma in un sottomarino giallo dove tenevamo i nostri libri, le nostre cassette, i nostri incontri del lunedì. Noi siamo stati liberi in quegli anni, liberi nei sotterranei, ed eravamo felici di fare, senza pensare affatto a pubblicare, la nostra poesia ‘underground’. Noi abbiamo istituito la normalità in un pezzetto di Romania e credo che con questo abbiamo fatto moltissimo».
Letteratura romena in Italia: un muro di disinteresse che inizia a sgretolarsi
Quale attenzione viene riservata in Italia alla letteratura romena?
Una risposta a questo quesito deve essere necessariamente parziale. Troppo poco si è fatto in questa direzione, se si eccettuano i due utilissimi lavori bibliografici, ormai di vent’anni fa, di Pasquale Buonincontro e di Ioan Guţia sulla presenza della letteratura romena in Italia. Negli ultimi anni, d’intesa con il prorettore dell’Università «Babes-Bolyai» di Cluj-Napoca e con le cattedre di Italianistica di Cluj e di Bucarest, abbiamo però rilanciato il progetto, ideato dal compianto Marian Papahagi, di un’ampia Enciclopedia delle relazioni culturali italo-romene. Mi auguro che la costituzione di un comitato romeno e di un comitato italiano sia condizione sufficiente a portare a buon fine l’impresa. Un’impresa di cui in questo momento si sente, forse più che mai, l’opportunità congiunturale.
E il mondo editoriale italiano?
Mi pare che il muro di disinteresse verso i valori della cultura romena cominci a mostrare positive crepe. A parte Mircea Cărtărescu, Ana Blandiana e altri autori consacrati per filiera ‚europea’ (Eliade, Ionesco, Cioran, Celan), hanno iniziato a circolare opere ad esempio di Norman Manea (vincitore del celebre Premio Nonino), di Paul Goma, Lena Constante, Constantin Noica, Andrei Oişteanu, Ioan Vieru, Panait Istrati. Ma ormai cominciano a farsi conoscere anche autori della cosiddetta lettura «migrante», ad esempio con Mihai Butcovan.
Nelle manifestazioni culturali sparse per la Penisola, c’è posto per la Romania?
Certo. Accanto a inviti in sedi universitarie e a presentazioni presso librerie di varie città d’Italia, abbiamo cercato sempre di offrire un riflettore agli autori romeni in occasione di prestigiosi festival nazionali e fiere del libro. Di più: al Salone del Libro di Torino ospite del 2012 sarà proprio la Romania. Ricordo poi anche Il Premio Letterario Internazionale «Giuseppe Acerbi», Narrazione per la conoscenza e la vicinanza dei popoli, che si tiene a Castelgoffredo, vicino a Mantova: l’edizione 2005 è stata dedicata alla Romania, con particolare generosità: gli organizzatori di questo Premio hanno selezionato e dato in lettura 300 copie dei libri di ciascuno degli autori selezionati, facendosi carico peraltro di editare un magnifico volume, Letteratura di Romania, che costituisce un’eccellente introduzione alla civiltà non solo letteraria romena.
In Italia opera l’Associazione Italiana di Romenistica (AIR): quale è la sua azione per la diffusione della cultura romena?
L’AIR è innanzi tutto un’associazione a carattere «professionale», che ha tra i suoi scopi principali la dignità degli studi universitari, la mutua conoscenza fra quanti operano nel settore, la volontà di rappresentare presso gli organismi e le autorità competenti le esigenze della relativa comunità scientifica. Essa prevede incontri periodici, distribuiti fra le varie università in cui s’insegna il romeno o presso le due istituzioni romene presenti in Italia, nonché un convegno annuale aperto in genere alla partecipazione anche di non soci.
Altre iniziative a suo parere meritevoli?
Dopo un troppo lungo periodo di stagnazione, finalmente l’Istituto Culturale Romeno ha da qualche anno dato vita a utili e opportuni progetti finanziati non solo per le traduzioni, ma anche per mobilità di professori e artisti vari, nonché mostre, concerti ecc. Mi auguro che l’attività delle due importanti istituzioni romene di cultura operanti in Italia, l’Accademia di Romania in Roma e l’Istituto di Ricerca e di Cultura Umanistica di Venezia, possano trovare una maggiore intesa, per giungere a progetti congiunti, con eventi a periodicità costante.
Intervista realizzata da Afrodita Carmen Cionchin
(n. 1, gennaio 2012, anno II)
* Nota bibliografica: opere di Ana Blandiana e Mircea Cărtărescu tradotte in italiano da Bruno Mazzoni. Ana Blandiana: Un tempo gli alberi avevano occhi, Roma, Donzelli 2004 (a cura di B. Frabotta e B. Mazzoni); Mircea Cărtărescu: i romanzi Travesti (2000), Nostalgia (2003) e Abbacinante. L’ala sinistra (2008), presso Voland, Roma; la raccolta di racconti Perché amiamo le donne (2009), Voland, Roma; il volume di versi Quando hai bisogno d’amore (2003), CD doppio, Roma, Ed. Pagine.
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