Bruno Mazzoni: «La presenza di tanti titoli di scrittori romeni in Italia è un dato ormai acquisito» Bruno Mazzoni è un noto romenista, con alle spalle già quattro lustri spesi, in qualità di ammirato e instancabile traduttore, per la diffusione della letteratura romena in italiano. Nel 2021 gli è stato assegnato, nell’ambito della prima edizione del Premio per la Traduzione Letteraria istituito dal Pisa Book Festival, il Premio alla Carriera per la sua trentennale attività accademica all’Ateneo di Pisa e per il suo impegno traduttivo. Già insignito del Premio Nazionale per la Traduzione del Ministero dei Beni Culturali nel 2008, Bruno Mazzoni ha tradotto in italiano numerosi autori romeni, tra cui spiccano Ana Blandiana, Mircea Cartarescu, più volte candidato al Nobel per la letteratura, accanto a Max Blecher, Matei Călinescu e, di recente, Cătălin Pavel. Di sicuro la mia attività di professore di Lingua e Letteratura romena per più di un trentennio a Pisa, e in particolare poi quella di Preside, per due mandati, della Facoltà di Lingue e Letterature straniere dell’Università di Pisa, hanno costituito una solida base di rapporti collegiali e di studio, oltre che di amicizia, con uno stuolo significativo di docenti prestigiosi, sicché mi ha molto lusingato il fatto che la prima edizione del Premio alla Traduzione, istituito lo scorso anno dal Pisa Book Festival, sia stato destinato all’impegno traduttivo da me dedicato nel corso di due decenni per far conoscere al pubblico italiano un certo numero di opere, in prosa e in versi, di autori importanti di una letteratura, qual è quella romena, che non ha goduto negli ultimi settanta anni di particolare visibilità editoriale. Ogni nuovo libro di Mircea Cărtărescu è di per sé una sfida, ancor prima che linguistica, intellettuale, per la sua capacità di indagare gli abissi dell’animo umano (basterebbe pensare anche solo al racconto L’uomo della roulette che apre mirabilmente uno dei suoi libri già ampiamente consacrati, Nostalgia), di penetrare nei meandri delle neuroscienze, della fisica quantistica, di dialogare senza alcun complesso di marginalità con i grandi autori della letteratura universale, da Kafka a Borges, da Sábato a Pynchon, di creare fascinosi mondi paralleli, di comporre, alle soglie del XXI secolo, uno stupefacente prosimetro, Il Levante, che riattualizza in chiave eroi-comica una certa tradizione epica romena, per non dire della sua cospicua produzione in versi… Dinanzi a tanta e tale versatilità non si può che restare ammirati, e lo stupefacente Solenoide è di fatto il coronamento dell’opera-mondo costituita dall’ampia, ambiziosa trilogia di Orbitor, che in italiano ho inteso rendere col fortunato aggettivo, anche se magari appena un po’ pretenzioso, Abbacinante. Se fosse lecito fornire un’anticipazione sui contenuti dell’uscita ormai imminente, nel mese di maggio, di «Sotto il vulcano» – la bella rivista diretta per la Feltrinelli da Marino Sinibaldi, che per il terzo numero ha voluto cooptare l’amico Andrea Bajani, e che mutua il titolo dal celebre romanzo di Malcolm Lowry – è possibile dire al lettore estimatore di Cărtărescu che vi troverà un’affascinante evocazione delle peculiarità della capitale romena viste attraverso il particolare prisma ottico del nostro autore. Come sa il lettore colto, dietro l’emblematico personaggio letterario di Zacharias Lichter c’è la figura reale di un delirante vagabondo bucarestino, attaccabrighe, di nome Gelu Ghelber, ma a tale riguardo Matei Călinescu stesso ha tenuto a specificare: «nella mia intenzione questo libriccino è stato (…) un tentativo in primo luogo autobiografico: il tentativo di articolare con modalità mature l’esperienza di una fascinazione puramente soggettiva, l’esperienza che aveva fatto uno dei miei Io profondi di un tempo, un Io essenzialmente infantile, dotato di poteri guaritori (…) per ritrovare qualcosa almeno della sua ingenuità, della sua apertura riguardo a miti e archetipi (…)».
Grazie agli sforzi dell’Accademia di Romania in Roma e dell’Istituto di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia, anche quest’anno l’Istituto Culturale Romeno di Bucarest ha previsto, all’interno del Salone del Libro, uno stand «Romania», e in tale spazio ci saranno numerose presentazioni di libri di autori romeni apparsi di recente in traduzione italiana. Fra questi, il sabato pomeriggio è previsto appunto un incontro fra Mircea Cărtărescu, il critico Marco Dotti e Bruno Mazzoni, quale traduttore, per lanciare l’essai filosofico Vita e opinioni di Zacharias Lichter edito dalla Spider&Fish fiorentina. Mentre nella giornata di domenica, alle ore 10.30, in Sala Azzurra, gli organizzatori del Salone hanno invitato ufficialmente Mircea Cărtărescu per presentare appunto Solenoide (il Saggiatore, Milano 2021) insieme con il critico Vanni Santoni e il sottoscritto. Per dopo l’estate, a inizio di settembre, Cărtărescu è stato invitato a un festival che si terrà nell’hinterland napoletano, sarà quindi di nuovo ospite dell’edizione 2022 del Festival della Letteratura di Mantova, dove mi auguro che sarà possibile presentare al grande pubblico, accanto all’ormai apprezzato Solenoide, anche l’ultima sua creazione letteraria, i cinque racconti raccolti sotto il titolo Melancolia, in stampa presso la Nave di Teseo (un pendant, sarei tentato di dire, a quarant’anni di distanza, dal celebre Nostalgia già menzionato). Mi pare indubitabile che la presenza di tanti titoli di scrittori romeni sul mercato editoriale italiano sia un dato ormai acquisito, come del resto testimoniano gli inviti sempre numerosi di vostri autori a eventi e festival letterari in Italia (oltre al Salone di Torino e all’annuale «PiùLibriPiùLiberi» – la fiera romana della piccola e media editoria – ricorderei almeno il festival di Trani, la «Punta della Lingua» delle Marche, il «Moby Dick» di Terranuova Bracciolini, quello della Poesia di Como…), senza dimenticare i due importanti libri romeni, di Blandiana e Cărtărescu, che sono entrati negli ultimi anni nella short list del Premio Strega Europeo. E andrebbero infine ricordati i prestigiosi premi assegnati in anni recenti, in Italia, ad autori romeni (mi limiterò, per motivi di spazio, al prestigioso premio fiorentino «Gregor von Rezzori» assegnato nel 2016 a Cărtărescu per Abbacinante. Il corpo). Anche se la maggior parte delle case editrici italiane tende a pubblicare titoli di scrittori contemporanei, nel senso di autori viventi, qualche riequilibrio si comincia a intravvedere grazie a meritori recuperi di testi classici, opportunamente ritradotti. Anche a me è riuscito di proporre due titoli, Accadimenti nell’irrealtà immediata e Cuori cicatrizzati (dai quali il regista Radu Jude ha tratto nel 2016 il pluripremiato film Scarred Hearts), di un autore di particolare prestigio dell’entre deux guerres, Max Blecher, grazie all’intelligente disponibilità dell’editore Roberto Keller di Rovereto. In via di principio, la mia idea è che va promossa la buona letteratura tout court, ma so perfettamente che si vanno affermando, anche a livello di Unione Europea, talune linee di tendenza che richiedono, ad esempio, che libri scritti da autrici donne debbano essere trasposti, per poter essere finanziati, da traduttrici donne. Al di là di questo paradosso, va riconosciuto che per fortuna abbiamo in Italia persone qualificate, penso poniamo a Luisa Valmarin, alla quale va il merito di averci dato in italiano l’importante romanzo di Ana Blandiana Applausi nel cassetto (Elliot, 2021); e di sicuro autrici quali Gabriela Adameșteanu, Ioana Pârvulescu, Marta Petreu, Doina Ruști hanno fornito prove più che egregie perché la letteratura romena ‘al femminile’ abbia un suo posto nel nostro panorama editoriale. La domanda è quanto mai imbarazzante, dal momento che la letteratura romena, anche la più recente, ci ha offerto un numero considerevole di opere di valore che meriterebbero di essere trasposte sul nostro mercato, e mi dispiacerebbe molto fare torto a uno o più autori, menzionando solo tre, sei o nove libri che mi piacerebbe trovare negli scaffali delle nostre librerie… Habent sua fata libelli, si diceva un tempo, anche se poi ciascuno di noi traduttori ha le sue affinità, le sue predilezioni, le sue opzioni. Com’è capitato in varie epoche storiche, ogni frattura nel continuum evenimenziale produce effetti diversificati, con l’affermarsi di nuove voci e insieme il recupero di una ricca messe di opere manoscritte rimaste per più decenni chiuse «nel cassetto» autoriale ovvero ‘disperse’, com’è stato ad esempio col fortunato recupero del romanzo, ancora non tradotto in italiano, Aspettando l’ultima ora di Dinu Pillat. Tendo comunque a credere che negli anni a noi più vicini si sia andato pian piano attenuando il pesante lascito dei decenni della dittatura – decenni che non riesco in ogni caso ad appiattire e omologare sotto un’unica etichetta, come ben sanno gli storici di professione. Anche qui il discorso richiederebbe molti distinguo e svariate precisazioni, continuo perciò a ritenere che la bussola più affidabile in tale campo sia la preziosa Enciclopedia Exilului literar romanesc, 1945-1989. Scriitori, reviste, institutii, organizatii (Ed. Compania 2003, 2010) che il compianto Florin Manolescu ha mirabilmente redatto con mano sicura di critico super partes. Seguo piuttosto marginalmente la produzione della cosiddetta letteratura della migrazione, anche se ne conosco personalmente varie ‘voci’ e ricordo con particolare simpatia alcuni suoi autori, a cominciare da Mihai Mircea Butcovan e Ingrid Beatrice Coman. La mia impressione è che occorrerà superare talune attuali forme di aggregazione, che sarei portato a definire di tipo amatoriale, per poter raggiungere un uditorio più attento e qualificato. È mia intenzione proporre al pubblico italiano l’ultimo toccante volume di versi di Ana Blandiana, Variazioni su un tema dato (2018), ma credo possa interessare anche il bel libro di Felix Aftene e Lucian Dan Teodorovici, Il baffo di Dalí e altri colori (2020), senza dimenticare che Mircea Cărtărescu porterà a compimento entro l’autunno il suo nuovo romanzo, a cui pure porrei volentieri mano.
A cura di Afrodita Carmen Cionchin (n. 5, maggio 2022, anno XII) |